Fra il 1990 e il 2015 il mondo è profondamente cambiato e ci troviamo di fronte a situazioni che le nostre Costituzioni democratiche non avevano previsto né regolato, su cui non abbiamo riflettuto abbastanza. Molti cambiamenti sono dovuti a innovazioni tecnologiche, altri sono frutto di scelte improvvide o di scelte non valutate a fondo, perché lasciate nelle mani di organismi burocratici e tecnocratici privi di legittimazione democratica. Si è trattato per lo più di organismi sovranazionali, che per loro natura funzionano seguendo regolamenti e direttive di base fissate al momento della loro istituzione, senza responsabilità verso nessun elettorato.
Abbiamo ad esempio abbandonato la sovranità monetaria e i controlli statali sui flussi finanziari nel corso degli anni ’90, fidandoci delle opinioni di tecnocrati, politici e accademici che sostenevano che così avremmo liberato e potenziato tutte le economie. Abbiamo anche delegato le decisioni di politica doganale, parte fondamentale della politica economica e commerciale, all’Unione Europea e al WTO. Ma nel 2008 le economie del mondo intero furono travolte da una crisi finanziaria non prevista né dalle istituzioni nazionali né da quelle internazionali. Il peggio è che nessun esperto sapeva come gestire la crisi finanziaria, che innescò una crisi economica di lunga durata. Mancavano i dati sui flussi di capitali, indispensabili per capire che cosa era successo e dove erano mancati i controlli. Nessuna organizzazione era stata incaricata di raccogliere e sorvegliare questi dati, non ci avevano pensato né i politici né gli esperti che pontificavano nei grandi meeting internazionali e dirigevano le organizzazioni burocratiche sovranazionali. Si sa che chi sbaglia paga – ma chi aveva sbagliato? Non gli elettori, che non erano stati consultati esplicitamente sull’abolizione dei controlli finanziari e della sovranità monetaria, ma si trovarono a pagarne i costi.
Nel 2001 la Commissione Europea, allora guidata dal nostro Romano Prodi, decise di aprire le porte d’Europa ai prodotti cinesi in soli tre anni, dal 2002 al 2004, passando da una quasi totale chiusura a una quasi totale apertura. Questa decisione, priva di ragionevole gradualità, per di più presa mentre le piccole medie e grandi aziende italiane ancora delocalizzavano le produzioni nei paesi dell’est Europa appena integrati nell’Unione Europea, mise in ginocchio migliaia di imprese italiane e mise sul lastrico molte migliaia di lavoratori italiani negli anni 2005-2010. Non occorreva un guru dell’economia per capire che sarebbe successo questo, eppure nessun politico italiano portò l’argomento all’attenzione degli elettori, né il nostro professor Prodi sembrò mai preoccupato delle conseguenze che le decisioni dell’organismo da lui guidato avrebbero avuto per l’economia italiana. Se ne sarà reso conto? Avrà pensato che i Cinesi avevano diritto a uscire in fretta dalla povertà, anche a spese degli Italiani? O non si sarà reso conto delle conseguenze, perché animato da fede certa nella virtù dei liberi mercati? Non sappiamo la riposta, ma possiamo capire perché molti Italiani hanno perso la fiducia nei professori di economia e nella Commissione Europea. Per i Tedeschi invece la decisione fu saggia, perché da allora importarono molti più prodotti di artigianato e di abbigliamento dalla Cina e meno dall’Italia, pagandoli di meno e vendendo in cambio molti più prodotti di alta tecnologia ai Cinesi.
Le due crisi, quella finanziaria e quella economica, misero in luce un’altra clamorosa imprevidenza dei tecnocrati e delle élite: i regolamenti della Banca Centrale Europea e dell’Eurozona legavano le mani ai paesi economicamente deboli o con molti debiti, ma non imponevano ai paesi economicamente forti e con un forte surplus annuo nessun obbligo di solidarietà. Un capestro in cui i nostri politici e i nostri tecnocrati avevano infilato il collo degli Italiani senza spiegarcelo, senza chiedere il nostro parere − probabilmente in buona fede, sperando in bene, contando di convincere la Germania a darci una mano al momento buono. Cosa che molto parzialmente accadde, dopo trattative interminabili e una modifica alla nostra Costituzione (art 81) di cui la maggioranza degli Italiani neppure si rese conto, tanto fu rapida e indiscussa, fatta in condizioni di stretta necessità. Ma la crisi già aveva distrutto larga parte della nostra produzione, che non è ancora tornata ai livelli del 2007. Contavamo sugli eurobond, che sui giornali italiani sembravano certezza già nel 2007, ma non erano mai stati previsti dai patti effettivamente sottoscritti e sono ancora di là da venire. La nostra costituzione democratica non ci fornì nessun aiuto: l’adesione all’Unione Europea ha automaticamente portato una serie di decisioni al di fuori della sovranità degli elettori e quindi al di fuori della discussione politica interna. C’è da stupirsi se molti Italiani hanno perso fiducia nelle élite e tendono a dire pregiudizialmente no alle loro proposte?
Poi ci fu la questione dell’immigrazione. Per motivi diversi l’immigrazione ha iniziato a costituire un problema attorno al 2014-15 sia in Europa sia negli Stati Uniti. Non affrontiamo qui il problema, ma anche in questo frangente le regole internazionali e gli organismi sovranazionali si rivelarono del tutto inadeguati a gestire il problema, che perciò dovette essere affrontato a livello nazionale, aprendo la via a retoriche nazionalistiche che sembravano del tutto dimenticate. Se la crisi dei migranti dall’Asia e dall’Africa non ci fosse stata, o se fosse stata analizzata e gestita subito dagli organismi sovranazionali, probabilmente Orban non sarebbe al potere in Ungheria e gli Inglesi non avrebbero votato per la Brexit.
L’ultima crisi che metterà a dura prova le istituzioni sovranazionali, inclusa l’Unione Europea, è iniziata nel 2015, quando la Cina ha esplicitamente lanciato il guanto di sfida all’Impero americano in occasione della presentazione della Belt and Road Initiative. Ne è seguita la cosiddetta ‘guerra dei dazi’ di Donald Trump, poi l’ostracismo alle aziende cinesi per lo sviluppo del 5G. Ma il primo atto di Trump è stato disconoscere l’autorità delle organizzazioni sovranazionali quali il WTO , liberare gli USA dai vincoli dei vecchi trattati internazionali e ricominciare a prendere decisioni su base politica, rimettendole nelle mani degli elettori e dei loro rappresentanti. Le élite che hanno gestito il potere prima di lui lo considerano un pazzo pericoloso, operano quotidianamente per delegittimarlo agli occhi degli elettori, ma così facendo diminuiscono la forza della democrazia. Discutere delle questioni anche duramente è cosa molto utile, delegittimare le istituzioni è molto pericoloso per il buon funzionamento della democrazia.
Ora tocca anche a noi capire al complessità del mondo reale e decidere che fare, in quanto Italiani ed Europei. In quanto Italiani contiamo pochissimo nei confronti sia della Cina sia degli Stati Uniti, perché siamo troppo piccoli. Abbiamo bisogno di contare di più all’interno dell’Europa, e soltanto contando di più in Europa possiamo contare nel mondo. Ma l’Europa unita può sopravvive nel medio e lungo termine soltanto se si dà una costituzione democratica, se dà molto più peso e più poteri al Parlamento eletto direttamente dal popolo e se provvede alla difesa comune dei confini europei. Senza queste garanzie, quale nazione potrebbe abbandonare la protezione della propria costituzione, del proprio esercito, del proprio governo?
Ci toccano decisioni importanti, le dobbiamo prendere in modo democratico, senza demandarle ad altri e senza delegittimarci a vicenda. Ce la faremo?
I vostri commenti
Per questo articolo non sono presenti commenti.
Lascia un commento
Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!
Accedi
Non sei ancora registrato?
Registrati