Di Marzia Petrolini
Nella classe IV di Piano Quinto (CN) continuano le esperienze “capovolte”.
In che cosa consiste il metodo flipped, cioè capovolto? A casa gli alunni anticipano i contenuti della lezione attraverso video, filmati o materiali cartacei, in classe si impegnano nelle sfide più complesse. Facendo riferimento alla tassonomia di Bloom, conoscenza e comprensione avvengono nel momento di studio individuale, anziché a scuola attraverso la lezione frontale. Invece applicazione, analisi, sintesi e valutazione – fasi sicuramente più profonde dell’apprendimento – avvengono in classe. Sorge spontanea la successiva domanda: quale metodo adottare a scuola per far sì che l’apprendimento sia autentico, accrescendo le competenze e le conoscenze di chi apprende? Per sviluppare competenze è di fondamentale importanza che gli alunni siano coinvolti in prima persona, abbiano un ruolo attivo e siano consapevoli di partecipare ai progetti, alla conoscenza e al lavoro di un gruppo umano. Soluzione: utilizzare il cooperative learning, l'apprendimento cooperativo, che si basa sull’interazione all’interno di un gruppo di allievi che collaborano per raggiungere un obiettivo comune, attraverso un lavoro di approfondimento e di apprendimento che porterà alla costruzione di nuova conoscenza.
La classe IV della scuola di Piano Quinto aveva già sperimentato il lavoro di gruppo in passato, l’insegnante aveva però riscontrato difficoltà relazionali e lamentele da parte degli alunni – “Non mi piace stare con quello lì”, “Io se capito con lui non faccio nulla”, “Meglio se me ne sto da solo” – quindi voleva trovare il modo per organizzare il lavoro di gruppo in modo che tutti potessero operare e imparare in modo efficace, permettendo a tutti i componenti di arrivare a risultati migliori.
Per permettere agli alunni di arrivare in autonomia a capire il lavoro di gruppo, abbiamo pensato di metterli di fronte a tre prove: una di tipo individualistico, una di tipo competitivo e una di tipo cooperativo. Attraverso queste prove gli alunni avrebbero potuto sviluppare la competenza alfabetica funzionale e allo stesso tempo osservare la diversità di sensazioni ed emozioni nel doverle affrontare. La tipologia di prova era sempre la stessa: in tutti e tre i casi gli alunni dovevano leggere tre spezzoni di testo narrativo in ordine sparso e riordinarli in ordine logico.
Dopo aver scelto le storie da proporre, a fine aprile abbiamo coinvolto gli alunni, specificando che erano stati scelti per uno studio sperimentale partito da Roma e che quindi per ognuna delle prove avrebbero dovuto fare del loro meglio.
Per la prima prova, quella individualistica, è stato chiesto agli alunni di dividere i banchi. Le regole erano poche e chiare: ognuno di loro avrebbe dovuto lavorare da solo, cercando di riordinare la storia in sette minuti, senza parlare né copiare. Dovevano scrivere sul foglio il proprio nome, l’ora di inizio della prova e l’ora in cui avevano terminato, se non avevano finito dovevano scrivere “NON FINITO”. Questi segni di riconoscimento erano importanti per valutare quanto ognuno era stato capace di fare nel tempo assegnato. Alla fine della prova, è stato chiesto agli alunni quali emozioni o riflessioni volevano condividere. Le emozioni emerse sono state: ansia, paura di non finire in tempo, di sbagliare e di fare brutta figura.
La seconda prova era di tipo competitivo. Era molto simile a quella di tipo individualistico – alunni divisi, nessuna possibilità di parlare/suggerire, sette minuti a disposizione, nome e cognome sul foglio, annotazione del tempo di inizio e di fine – ma lo scopo non era più il valutare quanto ognuno era in grado di fare singolarmente, bensì individuare chi fossero i tre alunni migliori nel riordinare le sequenze della storia. Terminata la prova, abbiamo invitato prima il migliore, poi il secondo, quindi il terzo, ad alzarsi in piedi in modo da ricevere un segno di riconoscimento da parte degli altri: l’applauso dei compagni e l’elogio per le capacità dimostrate, con l’attribuzione di una posizione significativa davanti a tutti. Questa volta le emozioni emerse sono state: ansia di finire prima degli altri, imbarazzo per il riconoscimento davanti a tutti, gioia per il successo di un compagno, tristezza per il mancato raggiungimento personale, paura di sbagliare.
Nell’ultima prova è cambiato il setting dell’aula: gli alunni sono stati divisi in gruppi da 3 e uno da 4, tirati a sorte. L’obiettivo della prova era confrontarsi con i compagni per riordinare nel modo corretto il maggior numero di frasi, ricostruendo il racconto. Prima dell’inizio della prova abbiamo specificato che tutti i componenti del gruppo avrebbero dovuto partecipare. Trascorso il tempo a disposizione, l’insegnante avrebbe raccolto i fogli e ne avrebbe consegnato uno uguale ma vuoto, che soltanto un membro avrebbe dovuto riempire nuovamente. Ma ciascun membro del gruppo sarebbe stato responsabile del risultato della prova: se l’alunno che doveva scrivere la versione finale per conto del gruppo non fosse stato in grado di farlo, l’intero gruppo avrebbe subito una penalità. Le emozioni emerse dopo questa prova sono state: paura di essere il membro del gruppo che avrebbe poi dovuto ripetere da solo la prova, minor tensione rispetto alle prove precedenti, responsabilità di far imparare tutti, meno ansia e meno attenzione al tempo.
Gli alunni hanno potuto prendere consapevolezza delle proprie emozioni e sensazioni, che spesso non vengono considerate all’interno della scuola, ma sono importanti. Noi docenti abbiamo osservato una netta differenza tra le prime due prove e l’ultima, sia a livello di emozioni, sia a livello di risultati. Nelle prime due prove le facce erano tese, lo sguardo spesso fisso sull’orologio, alcuni erano scoraggiati pensando di non essere all’altezza del compito assegnato, altri invece pur di finire in tempo hanno risposto a caso. Anche gli alunni che in altre occasioni avevano dimostrato di lavorare bene hanno provato ansia e tensione, emozioni che sono prevalse sulla buona riuscita. Al termine della prova il maggior numero di sequenze riordinate è stato 8 su 14.
Nella prova cooperativa invece l’aria è cambiata: volti più rilassati, impegno all’interno di tutti i gruppi, quasi nessuno ha controllato il tempo a disposizione, facendo più attenzione al buon risultato finale. Questa volta il numero di sequenze corrette è stato di 9 su 14. La cosa più positiva è che un numero maggiore di gruppi è riuscito a raggiungere un risultato sufficiente. Tutti gli alunni hanno partecipato attivamente – assolutamente tutti – il che non è cosa abituale in classe, come ben sa chi è del mestiere, e hanno cercato di incoraggiare i compagni.
Questa esperienza è stata davvero significativa. Spesso si dà molta importanza ai contenuti dell’apprendimento, mentre l’aspetto relazionale ed emotivo viene trascurato. In queste due ore invece è passato un messaggio diverso: teniamo conto di tutti gli aspetti e cerchiamo di valorizzare quegli stili di apprendimento/insegnamento che portano gli alunni a spingersi insieme anche dove da soli non potrebbero arrivare, imparando contemporaneamente a conoscere se stessi e cose nuove. Lavorare in questo modo “non solo insegna a pescare piuttosto che regalare il pesce, ma fa anche scoprire il gusto per la pesca” − che è ciò che conta di più.
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