Il 31 maggio 2019 il governo americano ha annunciato la revoca dei benefici concessi all’India nell’ambito del Sistema di Preferenze Generalizzate (GSP), di applicazione internazionale, in vigore dal 1975. Il sistema era stato allora voluto dagli USA come strumento del programma di sviluppo dei legami commerciali fra l’Occidente e i paesi che allora si chiamavano ‘del Terzo Mondo’, cioè i paesi che non si schieravano apertamente né con il blocco comunista guidato dall’Unione Sovietica, né con l’Occidente a guida americana. Si trattava di paesi per lo più poveri, con sistemi economici arretrati che necessitavano di investimenti e aiuti per lo sviluppo.
L’India esporta annualmente negli USA 24 miliardi di dollari in più di quanto importa, perciò nell’ultimo anno l’amministrazione Trump ha ripetutamente chiesto al governo indiano di prendere provvedimenti per aprire di più il mercato indiano a prodotti e servizi americani. Ora ha preso la decisione unilaterale di abolire la preferenza (cioè l’esenzione dal pagamento dei dazi) per i prodotti indiani che ne hanno sino ad ora goduto (che però sono soltanto una piccola parte dei prodotti che l’India esporta, non tutti; gli altri sono soggetti ai dazi normali). Gli USA sono il primo mercato per le esportazioni indiane.
L’economia indiana sta crescendo al tasso del 5,8% l’anno, che però non è sufficiente per mantenere stabile l’occupazione. In tasso di disoccupazione in India è salito al 6,1%, il più alto da 45 anni. Si tratta di tassi di crescita e di disoccupazione che a noi europei fanno molta invidia, ma che sono peggiori di quelli cinesi e preoccupano molto gli indiani, perché l’India non ha un sistema di welfare che permetta di sopravvivere e di avere cure mediche anche a chi non ha redditi.
Sul fronte della ‘guerra dei dazi’ con la Cina, il braccio di ferro riguarda ora le terre rare, sostanze utilizzate nei settori high-tech della difesa, delle telecomunicazioni, dei veicoli elettrici, delle energie rinnovabili. Le terre rare non sono poi così rare al mondo, ma la Cina ha il semi-monopolio globale della produzione, soprattutto perché il processo di estrazione e di raffinazione è estremamente inquinante e il resto del mondo preferisce lasciar fare il ‘lavoro sporco’ alla Cina, visto che la Cina non ha leggi ambientali restrittive. La Cina ha recentemente minacciato di sospendere le forniture di terre rare ai paesi che imporranno restrizioni all’import di tecnologie cinesi per il 5G, seguendo la richiesta degli USA. Ha anche fatto sapere in via ufficiale che ricercatori e tecnici cinesi hanno messo a punto una nuova tecnologia di estrazione e di raffinazione che è molto più veloce e meno costosa, ma soprattutto molto meno inquinante. Rimettere in funzione gli impianti di produzione in altre parti del mondo richiederà un periodo di tempo importante, durante il quale la Cina può usare la sua condizione di monopolio come arma di ricatto. Anche nei confronti dei paesi che volessero aprire attività estrattive sul loro territorio la nuova tecnologia cinese potrebbe essere molto allettante. L’unico produttore importante di terre rare al mondo al di fuori della Cina è l’australiana Lynas Corp, che però ha impianti di raffinazione non sul territorio australiano, ma in Malesia e in altri paesi. La Malesia aveva chiesto la chiusura dell’impianto, proprio perché troppo inquinante, ma ora il primo ministro Mahathir Mohamad ha annunciato che estenderà il permesso di produzione alla Lynas.
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