Il successo della rivoluzione islamista del 1979 fece dell’Iran una teocrazia e segnò l’inizio di un lungo periodo di guerre, ribellioni e atti di terrorismo in nome dell’islam. Sulla scena globale l’ideologia religiosa non era più stata usata con successo da oltre tre secoli come arma per la conquista. Aveva avuto qualche successo su piccola scala a livello regionale, ad esempio in Arabia. L’improvvisa e imprevista vittoria degli Ayatollah in Iran fu una lezione utilizzata prima di tutto dai Sauditi e dagli USA, che l’usarono subito in Afghanistan contro i Russi e i loro sostenitori, replicando la formula iraniana.
Poi fu il saudita Bin Laden, guerrigliero vittorioso in Afghanistan, a pensare di utilizzare l’ideologia islamista come arma per cacciare gli Americani e i ‘crociati’ da tutto il Medio Oriente e ricostruire il Califfato, cioè un impero islamico. L’attentato alle Torri Gemelle del 2001 fu il suo grande exploit, mirato a scuotere le masse arabe e islamiche e richiamarle alla riscossa. Ma Bin Laden capiva poco sia di geopolitica sia di storia e non aveva previsto che la reazione degli USA, che portarono la guerra sul territorio degli islamici in Medio Oriente, avrebbe messo in moto l’abituale meccanismo di frammentazione di tutte le ideologie basate sul concetto di ‘purezza’, che si tratti di religione o di razza: c’è sempre qualcuno più puro, se ha interessi da difendere. Tanto più se già sussistono antiche rivalità interne, come quella fra sunniti e sciiti, nata fin dall’alba dell’islam dallo scontro di interessi fra Arabi e Persiani, che perdura anche oggi.
Sul piano militare ed economico gli USA si impantanarono in lunghe guerre in territori molto lontani e di valore strategico secondario, ma sul piano geopolitico riuscirono in pieno a raggiungere lo scopo: il mondo islamico e in particolar modo il Medio Oriente divenne un calderone di guerre fratricide, di insurrezioni, di distruzioni, portando alla rovina – o quasi − i potenti della regione. Le guerre non sono ancora finite, ma una cosa è certa: dal mondo islamico non verranno grandi sfide agli USA nei decenni a venire, perché saranno tutti intenti a leccarsi le ferite e ricostruire le loro città e le loro economie. Qualche pericolo lo avvertiremo in Europa, perché saremo il luogo elettivo di fuga di milioni di persone, ancora per molti anni.
Gli Arabi sunniti negli ultimi anni hanno finito con l’allinearsi in modo piuttosto compatto agli USA, in primis i Sauditi, vedendo nell’alleato americano l’unico valido sostegno sia contro l’aggressività dell’Iran sia contro gli estremisti ribelli e i terroristi di varia denominazione, da al Qaeda all’ISIS. Questo ha paradossalmente portato i governi arabi sunniti a guardare a Israele, alleato degli USA e rimasto estraneo alle guerre intestine fra islamici, come a un baluardo della loro sicurezza, almeno finché perdura la minaccia del terrorismo e dell’Iran.
Però la regione non è ancora pacificata, l’Iran continua a essere presente e a sostenere gruppi potenzialmente o attivamente ribelli in Yemen, in Libano, in Siria, in Iraq, minacciando la stabilità e la sicurezza dei governi locali. La politica di Trump è ora rivolta ad accelerare il più possibile l’indebolimento dell’Iran e la resa dei conti con gli Ayatollah. Occorre finire il lavoro in Medio Oriente, perché le nuove dinamiche di potere per la supremazia globale prevedono il braccio di ferro con i Cinesi e un riallineamento di alleanze in tutte le regioni. Occorre finire il lavoro di riequilibrio del mondo islamico, nella speranza che possa diventare o un alleato o un oscillante ago della bilancia nei confronti della potenza cinese.
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