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La Cina deve gran parte del successo economico di questi anni al presidente Deng Xiaoping, che aprì l’economia del paese al resto del mondo. Le sue riforme fecero della Cina una potenza manifatturiera e trasformarono il grande svantaggio del paese – una enorme popolazione poverissima, che costituiva un rischio per l’ordine interno – nel suo principale punto di forza. La Cina divenne “la fabbrica del mondo” perché i suoi lavoratori avevano costi più bassi della manodopera del resto del mondo. L’incidenza delle esportazioni di beni e servizi sul PIL cinese passò dal 4,6% dei primi anni della presidenza Deng al 36% del 2006; dato ancor più impressionante se si considera che nello stesso lasso di tempo il PIL si moltiplicò per 18! La trasformazione della Cina in un colosso delle esportazioni ha riplasmato l’economia globale perché la Cina ha saputo produrre benissimo una grande varietà di beni, tanto da abbattere i prezzi di mercato, mandando in rovina interi settori manifatturieri di molti paesi che prima erano competitivi. In questa trasformazione epocale vanno ricercate le radici dell’attuale guerra commerciale tra USA e Cina.
Ma questo è il passato della Cina: le esportazioni sono state il fulcro del suo benessere economico e del suo status internazionale negli anni dal 1980 al 2006. Dal 2006 le esportazioni hanno rallentato e nel 2018 l’incidenza delle esportazioni sul PIL è tornata allo stesso livello di vent’anni prima. La strategia di sviluppo basata sulle esportazioni definisce il passato e il presente della Cina, ma per comprendere il suo futuro è più importante concentrarsi su quello che la Cina compra, piuttosto che su quello che vende.
Per lunghi periodi storici la civiltà cinese fu la più avanzata al mondo dal punto di vista tecnologico, quella con l’economia più solida. Quando l’Impero britannico tentò di commerciare con la dinastia Qing, scoprì con grande disappunto che non aveva niente di molto interessante da offrire ai Cinesi. L’autosufficienza cinese potrebbe ricordare quella del Giappone, ma il Giappone è sostanzialmente sprovvisto di risorse naturali. Per sviluppare un’economia industriale moderna il Giappone fu costretto a procurarsi altrove quello che gli mancava e perciò creò un impero marittimo. Quell’impero subì una disastrosa sconfitta militare per mano degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale. La Cina − che è invece ricchissima di risorse − non aveva la stessa necessità. Ma oggi non è più così: Pechino non è più autosufficiente perché ha bisogno di comprare alcuni beni all’estero per poter mantenere un certo livello di vita. Questa nuova condizione di dipendenza indirizzerà l’atteggiamento internazionale della Cina nei prossimi decenni.
I tre principali prodotti che la Cina deve importare sono petrolio, cereali e microchip.
Anche se non è più il paese il cui consumo di petrolio cresce più velocemente al mondo (ora è l’India), la Cina è ancora e di gran lunga il principale importatore globale. Nel 2018 ha importato più di 9 milioni di barili al giorno, più del doppio dell’India e quasi tanto quanto l’intera Europa occidentale. L’anno scorso il principale paese fornitore è stato la Russia (che ha fornito circa il 16% del greggio), ma nel complesso la Cina acquista la maggior parte del suo petrolio dai paesi mediorientali, principalmente Arabia Saudita, Iraq, Oman, Iran e Kuwait. Ciò significa che la Cina dipende dall’accesso alle rotte marittime commerciali del Medio Oriente e dalla sua capacità di difendere le sue navi e i suoi interessi in quella regione notoriamente instabile. Questo indurrà Pechino a intervenire nelle questioni politiche e militari della regione.
I Cinesi ha il 21% della popolazione mondiale, ma soltanto il 9% dei terreni coltivabili e il 6% delle acque. A fine anni ’50 Pechino era un esportatore netto di cereali (in particolare di riso). Il Partito Comunista volle mantenere l’autosufficienza anche a fronte di una notevole crescita della popolazione e il risultato fu tragico: fra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, 45 milioni di Cinesi morirono di fame mentre i dati dei raccolti di cereali venivano gonfiati sulla carta per compiacere gli obiettivi irrealistici di Mao. Dal 1961 la Cina è importatore netto di cereali, anche se da vent’anni ha raggiunto il 95% dell’autosufficienza, grazie all’aumento della produttività dei terreni. Anche se forse riuscirà a diventare autosufficiente per il grano, il riso e il mais, rimarrà comunque dipendente dalle importazioni di soia e di altri generi alimentari come la carne. Inoltre che c’è una bella differenza tra la sopravvivenza e il benessere e quel che oggi può essere considerata autosufficienza nel giro di soli dieci anni potrebbe non soddisfare più i Cinesi. Più cresce il benessere, più il settore agricolo verrà messo sotto pressione e più la Cina dovrà cercare il cibo altrove.
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