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Il governo socialista del Venezuela sta abbandonando i controlli sull’economia, cosa del tutto inaspettata. I media locali parlano di capitalismo caotico e selvaggio.
Per sei anni l’economia si è contratta, riducendosi a un terzo di quello che era nel 2013, anche per effetto delle sanzioni americane. Quasi 5 milioni di persone hanno lasciato il paese in questi sei anni in cerca di lavoro e fortuna all’estero. I negozi si sono svuotati. Ma il governo ha permesso che si sviluppasse il mercato nero, alimentato dalle rimesse dei migranti (grafico a lato). Il controllo sul mercato nero dei cambi è stato sospeso (non ufficialmente ma di fatto), poi è stata introdotta una tassa sul cambio del 25%, che è alta ma permette di adeguare il cambio ufficiale del dollaro a quello di mercato. Le transazioni in dollari all’interno del paese sono ora permesse. Le banche offrono cassette di sicurezza per detenere dollari in contanti. Sono state abolite la maggior parte delle restrizioni sia sull’import che sull’export, sono stati ridotti i controlli sui prezzi. Il governo ha inoltre avviato discussioni sia con la Repsol spagnola che con l’ENI per giungere a una sorta di privatizzazione della PDVSA, l’azienda petrolifera di stato ormai ridotta alla bancarotta.
Per giustificare questi cambiamenti il governo è ricorso alla retorica della necessità di sfamare i poveri a qualunque costo, anche adeguandosi a necessità imposte dall’esterno. Così Maduro è riuscito a mantenere il potere, per ora.
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