Cliccare sulle immagini per ingrandirle.
La crisi economica in Russia sta mettendo a rischio la tranquillità sociale all’interno e risvegliando turbolenze lungo i confini. Riuscirà il governo a mantenere la pace sociale nonostante il crollo degli introiti delle vendite di energia? L’economista Alexei Kudrin ha richiesto riforme strutturali e istituzionali e ha affermato che la crescita economica dopo il crollo dell’Unione Sovietica doveva essere molto maggiore di quanto è stata, il che significa che sono stati fatti troppi errori. Lo stesso Putin ha detto che l’economia russa deve diventare più competitiva perché rischia una lunga stagnazione.
Le regioni più lontane da Mosca e dalla poche grandi città sono anche le più povere e vivono più di sussidi pubblici che di attività produttive, ma è proprio lì che il sostegno al governo è particolarmente instabile. A Khabarovsk, alla frontiera con la Cina, il governatore Sergei Furgal, oppositore di Putin, ha un vasto e organizzato sostegno pubblico, come dimostrano le grandissime manifestazioni di protesta contro il suo recente imprigionamento per l’accusa speciosa di esser stato il mandante, quindici anni fa, di attentati alla vita di un uomo d’affari.
Opposizione a Putin e scontento sociale ribollono anche nella poverissima regione artica dei Nenets, che i Russi stanno cercando di ripopolare incentivando l’arrivo di persone da altre regioni, in vista del potenziamento della navigazione artica, per la quale Mosca sta costruendo grandiose infrastrutture.
C’è una nuova ondata di instabilità anche nel Caucaso: dal 10 luglio ci sono state sparatorie in Ossezia e si sono riaccesi gli scontri fra Armeni e Azeri, probabilmente sobillati dai Turchi. Il conflitto fra questi due paesi prosegue da cent’anni: la Russia da cent’anni ha un ruolo pacificatore ed equilibratore, fornisce quasi tutte le armi agli eserciti di entrambi i paesi, ma ha una grande base militare in Armenia, che garantisce la sicurezza di questa minuscola Repubblica, nata dopo il genocidio da parte dei nazionalisti turchi. L’Armenia cristiana ortodossa è più vicina a Mosca dell’islamico Azerbaigian e ha più bisogno dell’aiuto russo perché è poverissima, mentre l’Azerbaigian è ricco di petrolio e gas. Fra Armenia e Turchia il confine è sempre stato chiuso, le due popolazioni si detestano e non hanno rapporti diplomatici. La Turchia sostiene gli Azeri nel conflitto e vende loro molte armi.
Un’altra crisi che preoccupa la Russia è quella del Libano, dove la rovina economica e monetaria rischia di far cadere nuovamente il paese nella guerra civile, coinvolgendo la Siria. La Russia si pone da decenni come garante degli equilibri in Levante lungo l’affaccio di Libano e Siria al Mediterraneo, dove la Russia ha una grande base militare e navale. Essere obbligata a un maggiore coinvolgimento militare in Siria e nel Caucaso costerebbe davvero troppo alla Russia in questo momento. Ma se la crisi in Libano dovesse degenerare la Russia non potrebbe disinteressarsene, perché perderebbe il ruolo di potenza regionale e verrebbe soppiantata dalla Turchia, attualmente in fase di particolare attivismo politico diplomatico e militare nel Levante, in Libia e lungo il Mar Rosso.
Nonostante sia il paese più esteso del mondo, l’eterno problema della Russia è l’affaccio libero ai mari e agli oceani, dunque ai commerci globali: l’affaccio sull’Artico è ghiacciato, la navigazione sul Baltico è facilmente bloccabile dagli altri paesi costieri, l’affaccio sul Mediterraneo è controllato dai Turchi, l’affaccio sul Pacifico può essere facilmente ostacolato da Giappone, Cina, Corea e USA.
I vostri commenti
Per questo articolo non sono presenti commenti.
Lascia un commento
Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!
Accedi
Non sei ancora registrato?
Registrati