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I Palestinesi emigrarono in Libano fin dal 1945. Erano spesso ricchi commercianti che in Libano svilupparono banche, aziende di costruzione, aziende agricole e infrastrutture portuali. Ma con la guerra fra Arabi e Israeliani nel 1948 arrivarono in Libano molti palestinesi poveri in fuga. La Lega Araba, che non riconosceva la legittimità dell’esistenza dello stato di Israele, incitò i paesi membri a rifiutare l’integrazione del rifugiati palestinesi e chiederne il ritorno in Israele, per non dar né tregua né legittimità al nuovo stato degli Ebrei (sulla ‘guerra del ritorno’ è stato scritto un ottimo libro da Adi Schwartz and Einat Wilf). Iniziò così un processo di discriminazione sistematica che sviluppò animosità reciproca fra Libanesi e Palestinesi. L’animosità fu acuita nel 1972 dall’arrivo di circa 10000 militanti dell’OLP con le loro famiglie, cacciati dalla Giordania dopo il tentativo di colpo di stato di Arafat contro il re di Giordania. Le milizie armate di Arafat spadroneggiarono in parte del Libano, alterando i fragili equilibri raggiunti nelle istituzioni fra i diversi gruppi etnici e le diverse religioni. Ne scaturì una devastante guerra civile fra le fazioni libanesi, che durò un decennio e aumentò l’animosità di molti Libanesi contro i Palestinesi, fino all’eccidio di Sabra e Chatila, compiuto dalle milizie cristiane libanesi.
I Palestinesi sono legalmente stranieri in Libano, anche se ci sono nati e ci vivono da generazioni. Né sono riconosciuti come ‘rifugiati’ dallo stato libanese, che perciò non è tenuto a dar loro né protezione né aiuto. L’UNWRA, agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, ne conta 475000 in Libano. Dal 2001 non possono né acquistare né ereditare beni immobili (incluse tombe e loculi). Dal 1950 non possono esercitare professioni. La Intra Bank, creata da una famiglia palestinese nel 1051, controllava anche la compagnia aerea del Libano, il Casino e il porto di Beirut, fu lasciata fallire negli anni ’60 perché governo e parlamento rifiutarono ogni aiuto a una azienda di proprietà ‘straniera’. Negli anni ’60 e ’70 chiusero anche quasi tutte le piccole e medie aziende palestinesi. Dal 1950 i Palestinesi non possono esercitare professioni. Hanno bisogno di un permesso di lavoro rilasciato da un ministero per essere assunti come dipendenti di aziende libanesi, ma il permesso viene quasi sempre negato, perciò i Palestinesi riescono a lavorare quasi soltanto in nero nel settore agroalimentare e con compensi molto bassi. Sono anche esclusi dalle campagne sanitarie per la prevenzione delle malattie. Non si tratta di limitazioni che riguardano tutti i residenti stranieri: i molti Siriani che hanno trovato rifugio in Libano dal 2011 in poi, ad esempio, possono svolgere qualunque lavoro senza bisogno di permesso ministeriale.
Il 56% dei Palestinesi è disoccupato, l’80% vive sotto la soglia di povertà. Dal 1991 quasi tutti i Palestinesi vivono in campi separati dal resto della popolazione. Alcuni sono gestiti e finanziati dall’UNRWA, altri no. Nel 2016 l’esercito libanese ha costruito un muro attorno al campo di Ein El Hilweh, che ospita 120000 persone in meno di un chilometro quadrato.
In occasione dell’emergenza Covid, i Palestinesi nati e cresciuti in Libano che volevano rimpatriare da altri paesi arabi in cui si trovavano per motivi di lavoro sono stati esclusi da tutti i voli organizzati per i rimpatri.
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