Turchia e Israele, rapporti in altalena

11/09/2020

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La Turchia riconobbe lo stato d’Israele già nel 1949. Da allora i rapporti diplomatici hanno subito un’alternanza di fasi positive e negative, ma mantenendo sufficiente amicizia perché nel 2004 l’American Jewish Congress potesse attribuire a Erdogan il premio annuale Profile of Courage per la sua attività in favore del mondo ebraico. Dieci anni più tardi però l’American Jewsih Congress chiese la restituzione del premio a seguito degli attacchi contro Israele di Erdogan, il quale si disse felice di restituirlo. Da allora i rapporti sono stati tesi.

Nel 1957 Turchia e Israele strinsero un primo accordo di collaborazione in funzione anti-sovietica, mentre l’Unione Sovietica sosteneva militarmente la Siria e l’Egitto. Nel 1958 i capi di governo di Turchia e Israele firmarono un accordo militare e di intelligence, il ‘Patto periferico’, per contenere il comunismo nella regione, il cui contenuto venne secretato. Questo avvenne subito dopo che la Turchia aveva ritirato il suo ambasciatore in Israele come protesta per la partecipazione israeliana all’attacco anglo-francese contro l’Egitto del 1956! La collaborazione in campo militare e di intelligence fra i due paesi non venne meno neppure nel 1980, quando la Turchia richiamò di nuovo l’ambasciatore in segno di protesta per l’annessione delle alture del Golan da parte di Israele. La Turchia aveva anche votato a favore della risoluzione ONU del 1975 che equiparava il sionismo al razzismo (risoluzione che venne poi ritirata) e aveva permesso l’apertura di un ufficio dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ad Ankara nel 1979.

Con la firma degli accordi di Oslo nel 1993 i rapporti fra Turchia e Israele furono tutto zucchero per un decennio. La Turchia promise aiuti economici e tecnici per lo sviluppo delle infrastrutture di base nella striscia di Gaza e nei territori dell’Autorità Palestinese. I rapporti economici fra Israele e Turchia ebbero un rapidissimo sviluppo e la collaborazione militare divenne molto stretta. La Turchia permise persino l’accesso al proprio spazio aereo agli aerei militari israeliani.

Ma con Erdogan i rapporti iniziarono subito a raffreddarsi. Erdogan definì ‘terrorismo di stato’ l’assassinio mirato di Ahmed Yassin, capo di Hamas, da parte dell’intelligence israeliana. Nel 2007 l’aviazione israeliana attraversò lo spazio aereo turco per andare a bombardare la centrale nucleare siriana a nordest di Damasco, provocando una crisi diplomatica. Nel 2008 Erdogan lasciò la conferenza internazionale di Davos per protestare contro le operazioni di Israele nei confronti di Hamas e del Palestinian Jihad. Per la stessa ragione nel 2009 Erdogan impedì la partecipazione israeliana a manovre militari congiunte e nel 2010 mandò la Mavi Marmara a forzare il blocco navale imposto da Israele a Gaza. I militari israeliani intervennero a fermare la nave turca, nello scontro morirono 10 attivisti turchi ed Erdogan espulse l’ambasciatore israeliano ad Ankara.

Tuttavia la collaborazione fra i due eserciti proseguì sotto traccia: nel 2012 Israele fornì aerei senza pilota ai Turchi, che li copiarono per costruire i loro droni Bayraktar, largamente usati in Siria e Libia. Nel 2013 Israele consegnò all’aviazione militare turca i sistemi elettronici per quattro Boeing-737, nel 2016 l’ambasciatore israeliano poté tornare in Turchia. Nel 2018 fu di nuovo espulso per protesta contro l’uccisione dei Palestinesi che da Gaza cercavano di travolgere il confine. Da allora la Turchia non ha più collaborato con l’intelligence israeliana. Sostiene invece varie organizzazioni palestinesi. Ma il sostegno è politico e retorico, dal punto di vista militare ed economico la Turchia non fa quasi nulla in sostegno dei Palestinesi. Gli scambi economici fra Israele e la Turchia, invece, negli ultimi quattro anni sono passati da 4,7 a 6,1 miliardi di dollari, nonostante la lontananza politica. Anche sul piano dell’intelligence i due paesi hanno ripreso la collaborazione nel teatro siriano, soprattutto in funzione anti-iraniana. 

Erdogan critica aspramente l’accordo di pace fra Israele e gli Emirati Arabi, che però non può fermare. Cerca invece di fermare la collaborazione fra Israele, Grecia, Egitto e Cipro per lo sfruttamento dei giacimenti sottomarini di gas attorno a Cipro. La recente dichiarazione di estensione della propria zona di interesse economico esclusivo (zone rossa più zona verde nella mappa fianco) può permettere alla Turchia di bloccare il 90% delle rotte marittime di Israele, ma si potrebbero aprire trattative per trovare qualche forma di accordo, magari sotto gli auspici degli USA e della NATO. Questo metterà alla prova la possibilità di trovare prima o poi un accordo politico comprensivo fra i due paesi. In questo momento la Turchia è isolata nella regione, non ha rapporti saldi di cooperazione con nessuno, pesta i piedi a tutti. Non potrà perseguire questa politica molto a lungo.

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