Africa Occidentale subsahariana,
tratti storici essenziali fino al XV secolo

09/11/2020

Non tutti i testi di storia di questa regione dell’Africa Occidentale furono scritti in arabo. Sappiamo che la lettura di testi in arabo scritti da geografi ed eruditi arabofoni quali Ibn Hawkal, Ibn Battuta, Al-Sadi, al Bakri (tra molti altri) ebbero un’influenza importante poiché, dopo l’islamizzazione dell’XI secolo, l’arabo era diventato la lingua ufficiale delle élites, come in Europa il latino. Sappiamo che le élites, rappresentate dai ceti dei governanti, religiosi, amministratori e mercanti, ricevevano un’educazione religiosa e imparavano a scrivere in arabo e non nelle lingue autoctone. Testi quali la Tarikh el-Fettach e la Tarilk el- Sudan, spesso citati come fonti ufficiali di storia dell’impero Songhay, furono scritti per esaltare la dinastia degli Askya a capo dell’impero Songhay. Meno conosciuta, ma altrettanto interessante, la Tedzikiret al Nisyan, forse scritta da un erudito di Timbuktu, che copre il periodo storico successivo all’Impero Songhay e corrisponde al Pashalik marocchino di Timbuktu. Le traduzioni in francese di questi testi furono pubblicate solo all’inizio del XX secolo. Prima di allora la conoscenza di questi luoghi perveniva in Europa attraverso le lettere e i resoconti di esploratori e commercianti e i diari degli ufficiali militari che si spingevano in questa regione del mondo.

La predominanza delle fonti arabe ha influenzato l’interpretazione della storia dell’Africa Occidentale ed escluso la tradizione orale africana dei popoli autoctoni colonizzati prima dagli arabi e poi dai francesi. Ancora oggi, essendo la maggior parte della popolazione di questa regione analfabeta, la storia si narra e si tramanda oralmente. La casta dei griot ha questo compito ed è presente in tutte le etnie. Spesso la musica accompagna la narrazione come usavano fare i menestrelli e i cantastorie medioevali in Europa.

Fonti scritte antecedenti a quelle arabe risalgono all’Antica Grecia e all’Impero Romano. Erodoto aveva riportato alcune descrizioni dell’Africa pre-islamica al tempo dei Fenici, i Numidi e i Mauri. Plinio il Vecchio e Tacito descrissero la prime due spedizioni romane alla scoperta del Fiume Niger condotte da Lucio Cornelio Balbo nel 19 a.C. e Fausto Valente nel 70 d.C. In quell’epoca si pensava che il fiume Niger fosse solo il prolungamento del Nilo e che la terra fosse piatta. Il dromedario non era ancora stato introdotto nel deserto del Sahara e le spedizioni avvenivano a piedi, a dorso di mulo, di elefanti o a cavallo, usando guide locali che conoscevano il deserto, la posizione dei pozzi e delle oasi dove poter rifornirsi di acqua e viveri.

Lucio Cornelio Balbo partì dal Golfo di Sirte, sul litorale mediterraneo della Libia, e si addentrò nel Fezzan con un esercito di una decina di migliaia di uomini seguendo un’antica pista carovaniera aperta mille anni prima dai Garamanti. Partiva dal Golfo di Sirte, passava per l'oasi di Ghadames ed entrava nel Sahara centrale fino all'oasi di Ilezy, verso l'Hoggar in Algeria, poi attraversava il Tanezrouft verso l'Adrar des Ifoghas fino allo snodo carovaniero di Tademekka, e infine giungeva sul Niger a Gao. Con ogni probabilità, lungo questa pista – in senso opposto – giungevano a Roma avorio, oro, diamanti, lapislazzuli ed animali esotici. Balbo ed i suoi legionari poi riuscirono a ritornare a Roma. Secondo Plinio, Balbo aveva incontrato diversi fiumi tra i quali il Dasibari a sud delle montagne dell’Hoggar, nell’attuale Algeria. Un archeologo francese, Heri Lhote fu il primo a notare che il nome Dasibari potrebbe derivare dal nome Songhay del fiume Niger. Una leggenda Songhai parla dei padroni del fiume chiamati Da Issa Bari, da cui Dasibari.

La seconda spedizione romana attraversò il deserto del Tenerè e il Massiccio dell’Air e menziona invece il fiume Girin, nome che deriva dalla frase in lingua Tamasheq (Tuareg) "Gber - n - igheren", "Il fiume dei fiumi", abbreviato in "Ngher", un nome locale utilizzato nei pressi di Tombouctou. Da queste due denominazioni del fiume Niger si deduce che sia i Songhay che i Tuareg abitavano già in questa regione nel primo secolo d.C. La Carta Romana nell’immagine registra il Flumen Girin.

La stessa rappresentazione del fiume Dasibari, Girin o Ngher fu ripresa dal geografo Al Idrissi al tempo dell’impero Almoravide che dal Marocco si estese più a sud verso l’attuale Mauritania, al fine di controllare il traffico delle miniere di sale e di oro. A quel tempo questa regione era sotto l’Impero del Ghana retto dai Soninke. In entrambe le carte, quella romana e quella di Idrissi, manca sia il delta interno del fiume Niger sia il delta che sfocia nel Golfo di Guinea, perchè si pensava che il Niger fosse il prolungamento del Nilo.

Al Idrissi era un geografo arabo che visse alla corte di Ruggero II e pubblicò questa carta geografica nel famoso testo Il Libro di Ruggero. La corte di Palermo del re normanno ospitò le élite più dotte di tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente e diventò un centro di cultura arabo-normanna, aperto e illuminato, dove convivevano musulmani, cristiani ed ebrei pacificamente, così come nel regno degli Almoravidi che occupava il sud della Spagna, il Marocco e la Mauritania.

 La mobilità migratoria attraverso le piste e le oasi sahariane delle classi mercantili arabe e berbere fu una strategia vincente per controllare il commercio interno al Sahara e lungo le piste carovaniere che lo attraversavano dall’Egitto fino al fiume Niger. Il loro successo, rispetto ai Romani, è in gran parte dovuto all’uso del dromedario (introdotto dall’Asia centrale attorno alla fine del III secolo), all’adattamento al clima del deserto e alla conoscenza del territorio. Le lunghe carovane costituivano di per sé un’attività commerciale itinerante fondata sul consumo di prodotti della pastorizia e sul loro scambio con prodotti agricoli nelle oasi e nei mercati che si formarono intorno ai pozzi d’acqua, luoghi di snodo delle piste carovaniere. Questi vantaggi permisero ai commercianti locali di intensificare il controllo delle attività commerciali e i flussi di merci che transitavano e circolavano lungo le piste delle carovane.

Il controllo politico del territorio nell’arco dei secoli è stato esercitato attraverso migrazioni espansionistiche e guerre che attraversavano confini etnici estremamente fluidi e porosi. Inizialmente lo scopo fu arricchirsi attraverso il commercio dell’oro, del sale e degli schiavi.

Il regno del Ghana dal V al XI secolo era Soninké. Questa etnia molto antica sulla quale sappiamo poco sembra essere stata la matrice di tutti i gruppi che parlano lingue del ceppo Mande (Bambara, Malinke, tra altri). I Soninke furono i primi a convertirsi pacificamente all’Islam attraverso i loro contatti con i mercanti arabi e berberi a partire dal IX secolo e contribuirono all’Islamizzazione pacifica attraverso il loro commercio. I Soninke erano agricoltori e stanziali.

Il declino del regno del Ghana nell’XI secolo per gli storici ufficiali che seguono le fonti arabe fu causato dalle incursioni degli Almoravidi nelle oasi e centri commerciali più vicini al deserto, come Awdaghost, dove si trovavano i giacimenti di sale. Altri storici che hanno considerato i risultati delle ricerche archeologiche avanzano invece l’ipotesi che il regno del Ghana, composto da diversi stati vassalli e tributari, cadde in declino per la loro mancanza di coesione e unità e non solo perché attaccati e sconfitti in guerra dagli Almoravidi nell’XI secolo.

A partire dal XII secolo il regno del Ghana fu gradualmente assorbito dall’Impero del Mali. Questo regno acquistò grande notorietà in tutto il mondo per il pellegrinaggio di Mansa Mussa alla Mecca e tutto l’oro che aveva trasportato lungo il tragitto. La sua ricchezza attrasse l’invidia dei Songhay, che sotto il comando di Ali Sonni, detto Ber, nella seconda metà del 1400 fecero cadere l’Impero del Mali e si impossessarono di tutte le sue ricchezze. Il sovrano songhay Mohamed Askya amministrò i territori dalla capitale di Gao e li estese a nord quasi al confine con il regno del Marocco e a est fino al regno degli Hausa, tra l’attuale Niger e la Nigeria, potenziò il commercio con il Maghreb e gli Ottomani in un’epoca in cui iniziavano le prime spedizioni e scoperte geografiche del Portogallo, della Spagna e dell’Inghilterra.

Nel XV secolo iniziarono le esplorazioni dei portoghesi sulla costa Atlantica del Marocco e della Mauritania, precedentemente esplorata dai Fenici, secondo Erodoto. Alcuni italiani quali il veneziano Ca’ da Mosto, il fiorentino Benedetto Dei ne presero parte separatamente ma purtroppo le fonti che documentano i loro viaggi sono rare e poco conosciute. Si suppone che Ca’ Da Mosto non si spinse oltre il fiume Gambia ma forse introdusse la carta veneziana usata per i manoscritti, mentre si è speculato che Benedetto Dei forse fosse arrivato fino a Timbuctù.

 

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