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Qaboos bin Said si autoproclamò sultano di Oman nel 1970 e fece tutto il possibile per modernizzare il paese ed evitare che seguisse le burrascose dinamiche politiche e religiose del Medio Oriente. Qaboos fu mediatore nelle dispute fra gli altri paesi, canale discreto e moderato per gli approcci fra diplomatici. Non intervenne mai nelle questioni interne dei paesi della regione, stabilì buoni rapporti con tutti. Qaboos è morto lo scorso gennaio, dopo cinquant’anni di regno, indicando come successore il cugino Haitham bin Tariq, che si è subito trovato ad affrontare crisi impreviste.
L’Oman ha una storia poco legata a quella degli altri arabi, in parte perché professa l’islam della setta Ibadi. L’ibadismo emerse dal rifiuto di alcuni gruppi arabi di essere coinvolti nella guerra fra califfi rivali nel 657, dopo la battaglia di Siffin, prima ancora dello scisma fra sunniti e sciiti. Gli Ibadi fuggirono in Oman e nel 749 costituirono un proprio imanato, che visse di commerci e di pirateria marittima.
Nel 1507 i Portoghesi invasero l’Oman per sottrarre agli Arabi il commercio delle spezie. Nel 1650 con il sostegno dell’Inghilterra l’esercito dell’Oman cacciò i Portoghesi e il paese riconquistò l’indipendenza. Subito dopo creò un impero marittimo dalle coste del Pakistan al Golfo di Aden, dalla Somalia al Mozambico, finché nel 1861 il Sultanato di Mozambico si rese indipendente. L’Oman mantenne però fino al 1958 il controllo sul porto di Gwadar in Pakistan, quasi al confine con l’Iran, che adesso i Pakistani hanno ceduto ai Cinesi.
L’Oman ha sempre collaborato strettamente con gli Inglesi e con gli indiani, senza cedere alle pressioni degli altri paesi arabi perché si allineasse alla politica della Lega e diventasse pro Pakistan. Qaboos voleva soltanto mantenere l’indipendenza del paese e le tradizioni del suo popolo, senza forzature ideologiche. Ebbe buoni rapporti anche con la Cina e l’Unione Sovietica, sostenne i negoziati di Camp David fra Palestinesi e Israeliani, mantenne i rapporti diplomatici con l’Iraq di Saddam Hussein dopo l’invasione del Kuwait, pur mandando truppe a far parte della coalizione per liberare il Kuwait, e mantenne i rapporti con la Siria di Assad anche dopo la rivoluzione del 2011. Qaboos rifiutò sempre di coinvolgere l’Oman nelle guerre dei Sauditi contro gli Houthi in Yemen e nelle ostilità fra Sauditi e Iraniani. Nel 2018 invitò il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a Muscat.
Ma i Sauditi considerano se stessi i leader politici e religiosi della regione e hanno sempre mal digerito l’indipendenza di Qaboos, mentre gli Emirati vogliono rafforzare la loro presenza nel Golfo e considerano un atto ostile ogni collaborazione dell’Oman con l’Iran.
Haitham cerca di seguire l’esempio di Qaboos, ma sia gli Emiratini sia i Sauditi sobillano le tribù di frontiera e cercano di creare reti di spionaggio nel territorio dell’Oman. Gli USA appoggiano i tentativi sauditi di influenzare i paesi del Corno d’Africa e del Mar Rosso, perciò l’Oman non trova molto ascolto a Washington. Inoltre l’Oman vive grazie all’esportazione di petrolio, ma la crisi petrolifera attuale mette in difficoltà il paese: c’è disoccupazione giovanile, per la prima volta dal 1970, e il bilancio dello stato, che coincide con il bilancio personale del Sultano, è in deficit del 20%, perciò l’Oman per la prima volta nella sua storia ha deciso di imporre tasse sulle attività dei suoi cittadini, che non ne hanno mai pagate (né tasse dirette né tasse sui consumi). Ora si attendono le reazioni sia da parte della popolazione, sia da parte della burocrazia statale, inesistente sino ad ora.
Questo può rivelarsi il tallone di Achille del paese: non ha istituzioni pubbliche, non ha burocrazie capaci. I 5 milioni di cittadini vivono su di una superficie non molto inferiore a quella dell’Italia, per lo più montagnosa o desertica, in densi insediamenti al fondo di piccoli golfi. Ricevono dallo stato un ‘reddito di cittadinanza’ cospicuo, pagato con la rendita del petrolio, perciò possono permettersi di accettare soltanto posizioni direzionali di prestigio sociale (riservati ai cittadini) mentre tutto il lavoro tecnico e di servizio o il lavoro umile viene svolto da immigrati cui non verrà mai concesso il diritto di cittadinanza. Però gli immigrati sanno far tutto, mentre i cittadini per lo più dirigono da ampi uffici con aria condizionata attività che spesso non conoscono davvero. Se gli immigrati lasciassero il paese, porterebbero via con sé molto del know how necessario per il suo funzionamento.
Ora sulle attività commerciali e industriali (scarsissime) verrà imposta una tassa che farà lievitare i prezzi, diminuendo il potere d’acquisto dei cittadini. Con che conseguenze?
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