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Il regno hashemita di Giordania è un paese piccolo e frammentato, che ha quasi sempre giocato un ruolo chiave di mediazione fra gli Arabi del Medio Oriente e l’Occidente, oltre che un ruolo di stato cuscinetto fra Israele e gli altri stati arabi del Medio Oriente. Ora questo ruolo è entrato in crisi, con conseguenze che per i Giordani potrebbero essere gravi.
Nel 1921 gli Inglesi crearono l’Emirato di Transgiordania nella Palestina mandataria, cioè governata su mandato della Società delle nazioni, con il compito di aiutare la popolazione residente a organizzare istituzioni statali autonome. Con l’Emirato gli Inglesi volevano costituire proprio uno stato cuscinetto fra gli Arabi della Penisola arabica e quelli della Mesopotamia. Il nerbo dell’esercito dell’Emirato fu costituito da quella Legione araba, addestrata a armata dagli Inglesi, che durante la Prima guerra mondiale aveva fomentato la rivolta contro gli Ottomani e nel 1941, all’inizio della Seconda, aveva soffocato la ribellione filonazista in Iraq, per poi aiutare l’esercito britannico a occupare le colonie francesi in Libano e Siria prima che cadessero nelle mani dell’esercito tedesco.
Nel 1946 gli Inglesi offrirono al fedele alleato, l’Emiro di Transgiordania Principe Abdullah, un regno che includeva gran parte dell’Iraq e la Siria, oltre alla Transgiordania. La Legione araba di Abdullah fece rispettare la suddivisione fra Israele e i territori palestinesi, decretata dall’ONU nel 1948. Per questo nel 1951 Abdullah fu assassinato da alcuni Palestinesi nella Moschea di Gerusalemme.
Nel 1952 il successore di Abdullah, Hussein, licenziò il comandante inglese della legione Araba (Glubb) e lo sostituì con un nazionalista arabo. Le rivolte arabe degli anni ’50 portarono al potere i militari in Iraq, Siria ed Egitto, rovesciandovi le monarchie, ma non riuscirono a far cadere re Hussein in Giordania, sostenuto apertamente dall’Occidente e sottobanco da Israele. Hussein non poté mai ignorare i forti sentimenti anti israeliani della popolazione, ma evitò di assumere decisioni che portassero la Giordania in guerra con Israele, salvo partecipare ‘con moderazione’ alle guerre dichiarate a Israele dall’Egitto e dagli altri stati della Lega araba. La Lega araba nel 1954 chiese a Hussein di deviare le acque del Giordano per lasciare senza acqua Israele, ma Hussein non lo fece. Rifiutò anche di ospitare in Giordania l’esercito dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), accettando soltanto profughi palestinesi non armati, che però vennero armati segretamente da Arafat e dall’Egitto. Nel 1972 Hussein dovette rintuzzare duramente il tentativo dell’OLP di assassinarlo e fomentare una rivolta armata contro la monarchia (Settembre Nero).
Nel 1988 Hussein rinunciò ufficialmente a considerare i territori palestinesi parte della Giordania, nel 1994 firmò la pace con Israele, dopo che l’aveva firmata l’Egitto.
Dalla fine della Prima guerra mondiale fino a tutti gli anni ’60 la Giordania aiutò altri sovrani arabi ad addestrare e armare i propri eserciti e reprimere le ribellioni in Yemen, Oman e Bahrain. Ma dagli anni ’70 in poi gli altri stati arabi divennero molto più ricchi e potenti della Giordania, si rivolsero direttamente all’Occidente o all’Unione sovietica per armarsi e ricevere assistenza militare.
Dopo gli accordi del 1993, Israele e Autorità Palestinese dialogano direttamente, perciò la Giordania ha perso anche questo ruolo di mediazione. Da circa un anno circola la proposta israeliana (mai ufficializzata) di annettere parti della riva destra del Giordano. L’annessione potrebbe provocare la fuga in Giordania di molti Palestinesi che ora abitano quelle aree. Re Abdullah II è molto preoccupato. Nel 2018 ha revocato la concessione di due isolotti nelle acque del Giordano, concessi a Israele per uso agricolo. Nel 2019 ha mandato l’esercito a fare esercitazioni che prevedevano combattimenti contro Israele. Tuttavia la cooperazione per la sicurezza e l’intelligence continua, Israele prevede di fornire gas alla Giordania per 15 anni dai giacimenti sottomarini: un primo esperimento di pompaggio è in atto da dieci mesi.
La situazione politica interna della Giordania non è rosea: dopo le “primavere arabe” del 2011 le libertà di parola e di associazione sono state grandemente limitate. L’economia, sempre debole, è stata enormemente danneggiata dal Covid, il tasso di disoccupazione è fra i più alti al mondo. La popolazione è costituita per oltre il 50% da Palestinesi, il resto sono Beduini. Le due etnie non sono perfettamente integrate. I Beduini del sud della Giordania sono parenti dei Beduini dell’Arabia Saudita e potrebbero preferire diventare cittadini sauditi anziché impoverirsi. L’eventuale afflusso di centinaia di migliaia di altri Palestinesi dal West Bank destabilizzerebbe tutti gli equilibri.
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