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Lo sviluppo della Cina negli ultimi quarant’anni ha stupito il mondo intero. Non s’era mai visto un tale miracolo economico nella storia: un quarto della popolazione del globo è passata in pochi anni dall’estrema arretratezza e povertà al ruolo di aspirante al primato economico e tecnologico mondiale. Ma se guardiamo più a fondo capiamo che proprio ora iniziano per la Cina le grandi difficoltà, quasi tutte interne.
Se si guarda al valore del PIL nazionale totale la cifra è stupefacente, pari ormai al PIL degli USA, ma se lo si divide fra il numero di abitanti il PIL annuo medio pro capite dei Cinesi è di poco superiore ai 10000 dollari, cioè è un terzo di quello degli Italiani e meno di un sesto di quello degli Americani. È vero che il potere d’acquisto di un dollaro in Cina è superiore al potere d’acquisto di un dollaro negli Stati Uniti o in Italia, ma la differenza è comunque molto grande.
Il problema però non è questo, il grande problema è la differenza di ricchezza fra le diverse parti del paese, rappresentata nella mappa qui accanto (i dati sono del 2017, ma le proporzioni non sono variate nei successivi due anni). Le regioni sono colorate in sfumature sempre più intense di celeste- verde-verdone, fino ad apparire nere, a seconda di quanto è alto il PIL pro capite rispetto alla media nazionale. Si vede a colpo d’occhio che la costa e il nord, tutte in colori variabili dal celeste pallido al nero, sono superiori alla media nazionale. L’area di Pechino, Tianjin e Shanghai hanno un PIL pro capite superiore al doppio della media nazionale. Tutte le regioni interne del paese, colorate in varie tonalità di rosa fino al rosso scuro, hanno invece un PIL pro capite inferiore alla media nazionale, arrivando fino al 60% in meno. Un cittadino della vasta regione del Gansu, ad esempio, ha mediamente un reddito annuo che è 4,2 volte inferiore a quello di un cittadino di Shanghai. Nessun paese occidentale ha squilibri economici territoriali di questa portata. La Cina li ha quasi sempre avuti, e hanno spesso generato ribellioni a spaccature politiche.
Lo stesso Mao nel dopoguerra non riuscì a far sollevare gli opera di Shanghai, ma rivolse la sua Lunga Marcia verso l’interno, dove riuscì a sollevare tutte le regioni povere, acquisendo un seguito vastissimo che sconfisse le armate delle regioni costiere ricche. Mao riuscì a livellare le condizioni sociali ed economiche fra l’interno e la costa, fra nord e sud, ma le livellò verso il basso, trasformando la Cina in un paese in cui l’iniziativa personale veniva punita, tutti avevano sempre fame, mancavano quasi totalmente le cure mediche e c’era una spaventosa arretratezza culturale e tecnologica. Dopo la morte di Mao bastò porre fine alle sue follie perché i Cinesi riprendessero la corsa verso il futuro e recuperassero rapidamente gli svantaggi accumulati.
Ma ora la situazione ritorna quella di sempre: la Cina è un grandissimo paese con differenze economiche ed etniche enormi al proprio interno, che possono facilmente provocare ribellioni e tentativi di separazione politica. La repressione degli Uiguri nello Xinjiang rientra nella strategia di contenimento di tali pericoli da parte del governo di Pechino. C’è anche la voglia di ribellione di Hong Kong, l’allontanamento politico di Taiwan, lo scontento dei Mongoli… I problemi interni della Cina iniziano ora, e l’Occidente darà una mano a stuzzicarli.
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