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La Giordania ha festeggiato il centenario della sua fondazione l’11 aprile, ma la festa è stata amareggiata dalle divisioni all’interno della famiglia reale. La monarchia giordana è sopravvissuta all’assassinio di re Abdullah I nel 1951, al tentato colpo di stato dei nazionalisti arabi nel 1957, alla deposizione dei cugini dal trono iracheno nel 1958, alla perdita del West Bank nel 1967, alle ribellioni arabe del 2011. Oggi l’aspra rivalità fra re Abdullah II e il fratellastro principe Hamzah non è causata da eventi internazionali o da diverse visioni ideologiche, ma è una pura lotta per il potere.
Storicamente la monarchia giordana è sostenuta dalle tribù beduine che appoggiarono la ribellione di Hussein bin Ali all’Impero Ottomano nel 1916. Furono le stesse tribù beduine a bloccare il tentativo di colpo di stato dei Palestinesi nel 1957. Gli Hashemiti guardano ancora con sospetto i Palestinesi, che oggi costituiscono circa il 70% della popolazione giordana. Alleate degli Hashemiti sono le piccole ma bellicose tribù minoritarie di Circassi e Ceceni, che costituiscono l’ossatura dei servizi segreti e della guardia di palazzo. Ma negli ultimi anni Abdullah II ha limitato l’indipendenza tradizionale delle tribù relativamente al diritto di famiglia e al diritto penale e ha rafforzato l’esercito a scapito delle milizie tribali.
La famiglia reale giordana è sempre stata molto compatta. Ma poco prima di morire re Hussein revocò il titolo di principe ereditario al fratello Hassan, che l’aveva da 34 anni, a favore del figlio Abdullah, l’attuale re. Abdullah nominò principe ereditario il fratellastro Hamzah per poi revocarlo a favore del figlio Hussein. Né Hassan né Hamzah protestarono, dando prova di unità famigliare. Ora invece il principe Hamzah è accusato di favorire un possibile colpo di stato orchestrato all’estero. È una crisi che può rivelarsi un colpo mortale per la monarchia.
Abdullah è di madre inglese, laico, educato in Inghilterra. La moglie palestinese spesso lo aiuta nella conversazione in arabo, che per il re è una seconda lingua. Hamzah è culturalmente arabo beduino e basta: ha una moglie locale, capisce bene la mentalità beduina, si presenta come un musulmano devoto. È dotato di grande comunicativa, è molto popolare fra le tribù. Ha spesso espresso critiche alla scarsa libertà di espressione, alla corruzione e allo spreco di denaro pubblico. Hamzah è accusato di godere anche delle simpatie di Israele, dell’Arabia Saudita e degli Emirati.
La situazione economica della Giordania è disastrosa. Nel 2019 il PIL medio pro capite è stato soltanto di 4,400 dollari, il tasso di disoccupazione è al 30%. Le tasse sono troppo alte, il COVID imperversa. L’eccessiva spesa della casa regnante in questa situazione crea molto malumore. La regina Rania è accusata di aver speso centinaia di milioni di dollari in abbigliamento. Il re è accusato di investire molti milioni non in Giordania ma negli USA, in Giappone e in UK. La corruzione in Giordania è istituzionalizzata, non esistono leggi contro il nepotismo tribale, i funzionari di governo non possono essere imputati, i parlamentari possono essere soci in imprese private. Ufficialmente ci sono 30 partiti politici, ma ogni vero dissenso è subito represso. Il regno è mantenuto unito dall’esercito e dall’intelligence. Re Hussein, morto nel 1999, era sostenuto anche dai Fratelli Musulmani, ma dal 2011 la repressione è stata molto dura anche nei loro confronti.
Un grave pericolo per la monarchia hashemita è che il paese diventi lo stato dei Palestinesi, a scapito delle tribù, e che chieda un sistema democratico, costituzionale. Questa svolta sarebbe vista con favore da Israele, dai Sauditi e dagli Emirati, ma porterebbe al crollo della monarchia e forse anche alla divisione della Giordania in due parti, una palestinese e una beduina. La famiglia reale ha tutto da guadagnare dal presentarsi coesa e solidale, ma non è certo che la tregua fra Hamzah e Abdullah regga.
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