Nella storia del diritto non ci sono tagli netti. C’è evoluzione di tradizioni, concetti, istituzioni, sistemi di vita, ma nulla mai è completamente abbandonato per sempre. A volte dopo alcuni passi avanti si fanno passi indietro. Perché? Perché il senso di ciò che è giusto o ingiusto non coinvolge soltanto il pensiero, ma soprattutto le nostre emozioni. Arrivare a sentire come ingiusti comportamenti e convinzioni morali imparati da piccoli è cosa difficile e dolorosa. Se il cambiamento di princìpi comporta anche perdita di potere o di ricchezza per il proprio gruppo, lo si rifiuta a lungo.
Possiamo prendere come esempio le leggi sull’abolizione della schiavitù. La Francia nel 1794 abolì la schiavitù nelle sue colonie, ma pochi anni dopo, sotto Napoleone, la autorizzò nuovamente, per abolirla definitivamente soltanto nel 1848. Nel 1807 l’Impero britannico proibì il commercio di schiavi, ma ancora per decenni tollerò che rimanessero schiavi quelli che già lo erano prima del 1807. Negli USA gli stati del nord abolirono la schiavitù nel 1804, ma l’abolizione definitiva in tutti gli stati avvenne soltanto nel 1854, dopo una guerra civile che la impose ai vinti. Le altre civiltà del mondo seguirono l’esempio dell’Occidente più o meno lentamente e abolirono la schiavitù nel corso del 1900. Gli ultimi paesi al mondo ad abolire ufficialmente la schiavitù furono lo Yemen e l’Arabia Saudita nel 1962, la Mauritania nel 1980.
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