Di ebrei, storie e nazioni

29/06/2021

Una carissima amica ha ritrovato nella sua libreria (e mi ha offerto) un libro davvero raro: la Storia del popolo ebreo, compendiata dal professore Francesco Soave, C.R.S., stampata come opera postuma a Torino nel 1832 dalla Società Tipografico-libraria, presumibilmente scritta nel 1802. Potete trovarne in calce la copia fotostatica.

Francesco Soave (Lugano, 10 giugno 1743 – Pavia, 17 gennaio 1806) è stato un filosofo, traduttore, docente e accademico svizzero-italiano, dice Wikipedia. Per qualche tempo maestro di Alessandro Manzoni, fu il più efficace divulgatore del sensismo italiano. Vi invito a leggere il seguito online, perché Soave fu notevolissimo, attivissimo e autorevolissimo pensatore, divulgatore, traduttore, professore, scrittore. Fu anche un innovatore all’interno del mondo accademico dei suoi tempi. Eppure l’opera lascia di stucco il lettore odierno per una serie di affermazioni che suonano obsolete e non distinguono i miti dalla storia fattuale.

Si tratta essenzialmente di un compendio delle storie narrate nella Bibbia, completato dall’inserimento di alcuni eventi storici dell’antica Grecia e dalle storie narrate da Giuseppe Flavio ne Le guerre giudaiche, fino alla conquista romana.

La Bibbia era comunemente letta in tutte le famiglie protestanti d’Europa, ma la sua lettura era fortemente sconsigliata ai cattolici, se non singolarmente autorizzati. Lo svizzero Soave volle porre rimedio a quella diffusa ignoranza degli Italiani, con una serie di motivazioni riassunte nell’introduzione, che vale la pena riportare qui interamente. Vi inserisco sottolineature delle parti che più mi colpiscono:

La Storia del Popolo Ebreo per più ragioni è importantissima a sapersi.

Imperocchè primieramente abbracciando essa l’antico e il nuovo Testamento, comprende la Storia e i fondamenti della Religione, che da niun Fedele debbono ignorarsi.

In secondo luogo, se la storia generalmente a buon diritto riguardarsi come maestra della vita, da quale altra più utili insegnamenti cavar si possono che da quella di un Popolo guidato sempre da Dio medesimo, illuminato da’ suoi precetti, diretto da’ suoi consigli, e dove esempi continui si ravvisano di premiate virtù o di vizii puniti?

Per altro riguardo è pure in terzo luogo la Storia del Popolo Ebreo necessaria a sapersi, anzi ad essere studiata prima di ogni altra; ed è che essendo la più antica, siccome quella che incomincia fin dalla creazione del mondo, serve di norma per fissare l’ordine de’ tempi, e riportare gli avvenimenti delle storie delle altre Nazioni alle epoche convenienti.

Otto epoche principali nella Storia del Popolo Ebreo sono a distinguersi: I.la creazione del mondo; 2.il diluvio universale; 3.la vocazione di Abramo; 4.l’uscita degli Ebrei da l’Egitto; 5.l’elezione di Saule, primo Re degli Ebrei; 6.la schiavitù di Babilonia; 7.la venuta di Cristo; 8.la distruzione di Gerusalemme per opera de’ Romani e la dispersione del Popolo Ebreo, che da quell’epoca ha cessato di formar corpo di nazione.

Secondo queste epoche sarà la Storia presente divisa in sette libri, incominciando dalla creazione del mondo, e terminando all’anzidetta distruzione di Gerusalemme.

Nel corpo del testo non compaiono mai date, salvo nell’ultima frase, in cui l’uno dopo l’altro sono citati il giorno fatale della distruzione del Tempio, il dieci agosto dell’anno 70, quindi ‘la presa della città superiore, e del palagio reale agli otto di settembre’. Con queste date precise termina il libro e termina una storia di 4073 anni, in cui non è mai citato non dico un giorno o un anno specifico, ma neppure il susseguirsi dei secoli. È una unica lunga narrazione di eventi della storia degli Ebrei vista come storia del mondo, che termina con la citazione esatta di quei due giorni come se fossero la cesura fondamentale nella storia umana, la separazione netta fra un prima e un dopo non paragonabili e non ricollegabili fra di loro. Nel pdf in calce è pubblicata la Tavola cronologica delle cose più notabili, con due date affiancate: gli Anni del mondo e quelli Avanti l’Era volgare, che mostrano senza commenti e senza spiegazioni anche la discrepanza di 4 anni fra le datazioni basate sull’Antico testamento e quelle basate sul Nuovo, relativamente alla vita di Gesù. Non sono citate neppure le date della nascita, della predicazione e della morte di Gesù: l’unica data importante è quella della fine del Tempio e dello Stato. Ed è la data da cui partono oggi i libri di storia degli Ebrei: la data d’inizio, non la fine della storia del popolo ebraico che conosciamo oggi. Da quella data iniziò una storia che un raffinato accademico cattolico di fine 1700 come il Soave non vedeva o negava. La cancellava ‘soltanto’ per ideologia (i Cristiani essendo ormai il vero Israele), o non la conosceva proprio, non la considerava degna di nota?

In tutto il libro non si avverte traccia di antisemitismo, anzi nella stringata descrizione della vittoria romana si avverte simpatia per i vinti, non per i Romani. Non c’è traccia di accusa di deicidio nei confronti degli Ebrei, l’accusa che nella seconda metà del secolo XIX avrebbe avvelenato il pensiero politico dell’intera Europa cristiana.

Fra le pagine 240 e 241 alcuni fogli risultano tagliati, evidentemente dall’editore stesso, nel passaggio dal XIX al XX capitolo; di conseguenza è stata strappata nell’Indice la striscia su cui erano elencate le pagine d’inizio di ogni capitolo, che evidentemente nella nuova edizione erano diverse da quelle di una edizione precedente. Sarebbe bello sapere che cosa contenevano quelle pagine soppresse. Forse esistono copie di edizioni precedenti in qualche biblioteca?

Quanto all’affermazione che da quell’epoca gli Ebrei non hanno più avuto ‘corpo di nazione’, oggi sappiamo che non è vero. Sappiamo che, se non è affatto facile definire che cos’è una nazione, ancora più difficile è definire quando e come nasce, quando e come muore. La geopolitica storica ci insegna che la base della nazione è la consapevolezza di appartenere a un destino comune, per il fatto di appartenere a uno stesso luogo geografico, il che ci costringe a utilizzare e difendere tutti insieme le risorse del territorio, essenziali per la vita di tutti. Occorre però anche la consapevolezza di una lunga e gloriosa storia comune, reale o mitica, tramandata di generazione in generazione, altrimenti il senso di appartenenza alla nazione si perde, si frammenta in tribalismo e familismo, alimentati dai limiti delle storie tramandate soltanto all’interno della famiglia o della tribù. Non a caso lo sviluppo degli stati nazionali ha coinciso con lo sviluppo della scuola statale obbligatoria per tutti, che ha elaborato e tramandato per almeno due secoli la storia nazionale all’interno di ogni stato.

Negli Ebrei la consapevolezza di una gloriosa storia comune è stata mantenuta viva per 1800 anni dalla decisione dei rabbini di rendere obbligatorio lo studio per tutti i figli di padri ebrei, se padri e figli volevano mantenere la stima e la compagnia e la solidarietà di altri Ebrei. Lo hanno magistralmente spiegato e dimostrato Maristella Botticini e Zvi Eckstein nel magnifico I pochi eletti. Il ruolo dell'istruzione nella storia degli ebrei, 70-1492. Ma fin al tardo XIX secolo né Soave né altri si resero conto che la trasmissione della conoscenza della storia e della cultura ebraica, continuata non soltanto nelle sinagoghe ma anche attraverso la sacralizzazione e divulgazione cristiana dell’Antico e del Nuovo testamento, manteneva viva la coscienza di appartenenza degli Ebrei a una nazione specifica e dunque rendeva teoricamente possibile anche il loro riprender ‘corpo di nazione’ sotto forma di stato. Israele oggi è il frutto di quella coscienza che ha ripreso corpo statuale, per necessità storica. Alla fine del 1800 sia i nazionalisti razzisti e antisemiti d’Europa sia alcuni intellettuali ebrei si resero conto, in contemporanea, che stava giungendo il momento in cui gli Ebrei dovevano tornare ad assumere corpo di nazione all’interno di un proprio territorio, altrimenti sarebbero stati visti dalle altre nazioni come corpi estranei da eliminare, e la Shoah dimostrò tragicamente la verità di questa ipotesi.

L’argomento è di vitale importanza per tutti noi oggi, perché popoli culture tradizioni e storie si vanno sempre più strettamente mescolando, intrecciando, scontrando. Il mondo è sempre più piccolo. Che ruolo può e deve avere la scuola, la cultura in generale, per prevenire la possibilità di decenni di scontri sanguinosi, di infinite guerre civili? Come raccontare le singole storie nella grande storia dell’umanità intera, in modo da capire entrambe in una prospettiva che non induca al rifiuto delle storie altrui e allo scontro violento anche all’interno dei singoli stati?

 

Laura Camis de Fonseca

 

 

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