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Con l’espressione “Corno d’Africa” ci si riferisce alla penisola dell’Africa nord-orientale che comprende Gibuti, Eritrea, Etiopia e Somalia. La regione − che è stata una delle culle dell’umanità − è prevalentemente montuosa ed è attraversata dalla Grande fossa tettonica (Rift Valley), originata dallo scontro fra la placca tettonica africana e quella araba. È circondata da bassopiani, zone semidesertiche, desertiche e foreste tropicali. È dunque caratterizzata da una grande varietà ambientale e climatica e da una conseguente diversificazione delle popolazioni che la abitano, significativamente diverse per lingua, religione, organizzazione sociale ed economica. I vari gruppi, però, non sono mai stati completamente isolati, hanno una lunga storia di interazioni.
L’evoluzione della regione è stata fortemente influenzata da alcuni dati geografici. In primis dalla sua posizione strategica poiché si affaccia su Mar Rosso e Golfo di Aden, che collegano il Mediterraneo all’Oceano Indiano, perciò collegano tutte le terre del bacino mediterraneo al resto del mondo verso oriente e verso sud. Inoltre il Corno d’Africa è ricco di corsi d’acqua essenziali per sostenere la vita e permettere lo spostamento di persone e merci e, di conseguenza, gli scambi immateriali.
Dal punto di vista fisico, la regione presenta
- vaste pianure orientali lungo la costa, ricoperte di arbusti e cespugli, dove prevale un clima caldo e secco con venti monsonici periodici;
- immediatamente a ovest si trova invece il grande altopiano che corre dal nord dell’Eritrea fino al sud dell’Etiopia ed è percorso e diviso dalla Rift Valley;
- ancora più a ovest, lungo le sponde degli affluenti del Nilo, si trovano pianure caratterizzate da fitte foreste.
Le diverse caratteristiche geografiche e climatiche hanno prodotto una netta divisione anche nelle principali attività economiche tra le terre basse delle pianure costiere, votate alla pastorizia, e gli altopiani votati all’agricoltura, che in quest’area divenne stanziale circa 10000 anni fa.
I paesi del Corno d’Africa hanno sempre conosciuto forti legami reciproci, tuttavia presentano una grande varietà etnica e linguistica: vi si contano almeno 90 lingue e 200 dialetti. Le lingue vengono distinte in due principali famiglie: le afro-asiatiche e le nilo-sahariane. Il primo gruppo si divide a sua volta in lingue cuscitiche (dal nome di Kush, che nella Bibbia era un figlio di Cam), le più numerose, lingue semitiche e lingue omotiche, parlate soprattutto in Etiopia e considerate il ramo occidentale delle lingue cuscitiche. I popoli parlanti lingue cuscitiche e semitiche vivono da epoche antiche nell’area tra il Mar Rosso e il Nilo Blu. Di lì si dispersero in varie direzioni. Col passare del tempo il cuscitico è diventato il principale gruppo linguistico del Corno e si è diffuso anche in alcune aree del Sudan e della Tanzania.
Anche nell’appartenenza religiosa la regione presenta una grande varietà. La religione indigena include una vasta gamma di credenze e pratiche, seguite dalle popolazioni locali fin dai tempi antichi, basate sulla credenza in un Essere Superiore, ma anche sull’attribuzione di poteri divini alle forze naturali. In generale il panorama religioso è caratterizzato da un notevole sincretismo perché le credenze indigene si sono fuse e compenetrate con le influenze dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam. Secondo alcune fonti l’ebraismo si diffuse nel Corno d’Africa fin dai tempi antichi, di certo se ne attesta la presenza dal IV secolo d.C., quando i Beta-Israel o Falascia, uno dei più antichi popoli della regione, rifiutò di convertirsi al Cristianesimo e continuò a praticare la propria fede nel nord e nordest dell’Etiopia.
Il Cristianesimo divenne religione di stato nel 334 d.C., sotto il regno di re di Axum Ezana, e si diffuse verso la fine del V secolo, sotto il regno di re Ella Amida II, grazie all’opera di evangelizzazione dei “Nove Santi”, che tradussero la Bibbia e altri testi religiosi in ge'ez (lingua semitica, parlata nell’Impero d’Etiopia fino al XIV secolo, ancora usata come lingua liturgica dalla Chiesa ortodossa etiopica ed eritrea e dalla comunità Beta Israel).
I legami della regione con l’islam risalgono direttamente a Maometto. Tra il 615 e il 628 il regno di Axum, nell’attuale Etiopia, fu infatti luogo d’asilo per parte della famiglia del Profeta, quando dovette lasciare la Mecca in seguito alle tensioni con la tribù Quràysh che aveva il controllo della città. I leader della tribù chiesero espressamente al re di Axum l’espatrio dei rifugiati, ma il sovrano lo negò, tanto che si attribuiscono a Maometto parole più che lusinghiere nei confronti dell’Etiopia e del suo re: “un re sotto il quale nessuno è perseguitato. L’Etiopia è terra di giustizia, in cui Allah vi solleverà dalle vostre sofferenze”. L’islam si diffuse nel Corno d’Africa non tramite la guerra santa ma con mezzi pacifici, in primis il commercio, inizialmente sulle coste sul Mar Rosso, poi tra le comunità di pastori dell’interno, per l’azione di predicatori e di mercanti. Raggiunse poi il centro, l’est e il sud dell’Etiopia; nel VIII secolo venne introdotto anche in Somalia, dove si diffuse soprattutto grazie all’azione di confraternite islamiche sufi.
Dal punto di vista politico e sociale, le trasformazioni più rilevanti si ebbero nel corso del XIII secolo, quando le evoluzioni socio-economiche condussero alla nascita di entità statali vere e proprie. Il processo si avviò col prevalere delle attività agricole sedentarie su quelle nomadi. Diversi gruppi si unirono per formare villaggi più grandi che assicurassero attività agricole più strutturate e meglio protette. Il miglioramento delle tecniche di produzione agricola – grazie soprattutto a nuove tecnologie di irrigazione − consentì di produrre di più e dunque di scambiare le eccedenze con altri beni prodotti da chi si era specializzato nell’artigianato. Ciò produsse una differenziazione in classi e lo sviluppo di strutture statali, tra le prime del continente. Grazie alla prossimità a vie d’acqua internazionali come il Mar Rosso, il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano queste si trasformarono in regni potenti e addirittura imperi con strutture sociali ben definite.
Tra i più antichi e rilevanti stati della regione di cui si abbia traccia c’è il Punt, nell’attuale Somalia del nord, e il già citato regno di Axum, risalente al 200 a.C. circa. I re axumiti ebbero contatti stretti e intensi con il mondo esterno, specie con il sud della Penisola Arabica, con cui entrarono anche in conflitto. Il regno batteva moneta propria, dal I al VII secolo fu una delle maggiori forze navali e divenne una delle quattro grandi potenze del tempo, accanto a Impero Romano, Cina e Persia. Il suo declino ebbe inizio alla fine del VII secolo per la diffusione di epidemie e il calo della produzione agricola. Intorno al 702 gli Arabi distrussero il porto di Adulis e l’intero sistema di commercio cadde sotto il potere arabo musulmano, allora in piena espansione. Axum si trovò isolato dai suoi partner commerciali e diplomatici, il che implicò il declino del potere politico e militare non soltanto sul Mar Rosso, ma anche all’interno, dove la sua autorità venne messa in discussione da una serie di ribellioni. II Regno era però stato capace di creare un sistema amministrativo e di governo efficiente, che influenzò molto anche i successori.
La dinastia Zaguè (1150-1270) rinnovò i legami commerciali e culturali con il Mediterraneo orientale e diede grande impulso alla cultura, ma venne tacciata di illegittimità e rovesciata dalla cosiddetta “Dinastia Salomonide” (la casa reale considerata da alcuni la più antica del mondo). Questa associò l’Etiopia alla tradizione giudaico-cristiana, dato che i regnanti si consideravano discendenti di Menelik I, figlio della Regina di Saba e di Re Salomone. Tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo il regno conobbe un periodo di grande instabilità, determinata da lotte di potere tra i successori al trono di Yikuno-Amlak. Intanto emersero un certo numero di sultanati, sempre più potenti, tra cui i più rilevanti erano il sultanato di Ifat (1285-1415) e quello di Adal (1415-1577), che aveva resistito all’espansione del regno cristiano. L’islam si era diffuso nelle aree centrali e sudoccidentali dell’Etiopia attraverso i predicatori e i mercanti musulmani e i commerci servivano ai sultanati tanto da canali di espansione dell’islam quanto da fonti di ricchezza. Lungo la strada che conduceva da Zeila (nel nord della Somalia) alle regioni più interne sorsero molte città e centri di scambio, il cui controllo divenne motivo di scontro con il regno salomonide. Il primo conflitto aperto di cui si abbia traccia è quello tra Ifat e il regno cristiano nel 1328, che vide il primo soccombere. Presentati e giustificati come conflitti religiosi, questi scontri avevano in realtà lo scopo di controllare le vie commerciali e continuarono per due secoli, culminando nella guerra tra regno cristiano e sultanato di Adal tra il 1529 e il 1543. Ahmad ibn Ibrahim, detto al-Ghaz, condottiero somalo, riuscì a mobilitare le comunità di pastori musulmani convincendoli a mettere da parte le rivalità interne per unirsi e combattere per una causa comune, ovvero l’ottenimento di nuovi pascoli a discapito del regno cristiano. L’imam venne sconfitto e morì in battaglia nel 1543 ma la sua azione lasciò il segno e il Sultanato ottenne presto migliori successi.
Il conflitto aveva visto il coinvolgimento di attori esterni, divenendo globale: anche se non vennero strette alleanze formali, il Portogallo sostenne il regno cristiano, i Turchi il sultanato. Inoltre per avere il sostegno, sotto forma di armi e addestramento, da parte del cattolicesimo romano, il regno cristiano aprì le porte ai missionari gesuiti, che entrarono in Etiopia alla metà del XVI secolo. Questi promossero una dottrina cattolica che entrava in contrasto con la teologia della chiesa ortodossa etiope. Nel corso del XVII secolo gli imperatori etiopi cercarono di affermare il cattolicesimo, giungendo a proibire pratiche ebraiche come la circoncisione, la preghiera in ge'ez, la festa il sabato e il venerdì e a imporre il consumo di carne di maiale, la messa in latino e il calendario gregoriano. Ciò indusse il popolo a una rivolta, guidata da nobili ed ecclesiastici locali, che obbligò l’imperatore a riproclamare la Chiesa ortodossa come chiesa di stato e a espellere i gesuiti. Con un accordo con il Pascià ottomano nel 1647 l’Etiopia chiuse i rapporti con l’Europa fino all’inizio del XIX secolo, dando inizio alla cosiddetta “politica della porta chiusa”.
Per più di due secoli – la cosiddetta “Era dei principi” − il centro del potere si trasferì formalmente nella nuova capitale Gondar e nelle mani dell’etnia oromo, ma il regno perse ogni forma di unità, diviso nella realtà dei fatti in signorie regionali. Ciò fino al 1855, anno dell’incoronazione dell’imperatore Teodoro II, che riprese un processo di unificazione, portato poi avanti dai suoi successori. Tra questi Menelik II seppe unificare ed espandere il regno fino ai confini dell’antica Axum, ottenendo sottomissioni sia con la forza sia pacificamente. Tra il XIX secolo e l’inizio del XX il Regno d’Etiopia si impegnò in politiche di modernizzazione che investirono vari settori: da riforme militari e amministrative a tentativi di separare chiesa e monarchia, dalla costruzione della prima, embrionale, rete di strade e ferrovie (la prima collegò Gibuti e Addis Abeba nel 1917) alla riforma terriera, dalla creazione di una banca nazionale all’abolizione della poligamia. Inoltre nel 1931 l’Etiopia si dette una prima costituzione e nel 1923 entrò a far parte della Lega delle Nazioni, segnale definitivo della fine della “politica della porta chiusa”.
Menelik II stabilì anche relazioni commerciali con l’Italia, che gli forniva materiale bellico, e nel 1889 venne firmato il Trattato di Uccialli, in base al quale, l’anno successivo, l’Italia dichiarò l’Eritrea una sua colonia. La versione italiana e quella in aramaico contenevano però diciture leggermente diverse e, sulla base della versione in aramaico che considerava soltanto facoltativa la delega all’Italia del controllo dell’Eritrea, nel 1893 Menelik II ritrattò pubblicamente l’accordo. Seguì un conflitto, la guerra d’Abissinia, terminato con la sconfitta delle forze italiane nella battaglia di Adua (1896) e il riconoscimento dell’indipendenza dell’Etiopia con il Trattato di Addis Abeba. Parallelamente alla guerra contro l’Italia, Menelik II strinse accordi che delinearono i confini dell’Etiopia moderna con le vicine potenze coloniali e durante la Prima guerra mondiale stette al fianco degli Imperi Centrali, sperando che la sconfitta dell’Intesa potesse consentire all’Etiopia di scacciare gli Italiani da Eritrea e Somalia. Menelik II sostenne i leader nazionalisti somali sia contro l’Italia sia contro la Gran Bretagna ed è considerato il predecessore del moderno nazionalismo somalo.
Dopo la sconfitta del 1896, l’Italia mutò la propria politica di espansione coloniale aggressiva, tentando altre vie: da un lato una politica di riavvicinamento, che le consentì di avere nuovamente consoli nel paese, dall’altro azioni di destabilizzazione per minare l’unità dell’Impero fomentando il malcontento nella popolazione locale. Quarant’anni dopo la sconfitta di Adua, nel 1935, dopo alcuni “incidenti” pretestuosi che già avevano scaldato gli animi, l’Italia fascista invase l’Etiopia, nel giro di cinque mesi costrinse l’Imperatore alla fuga e le truppe italiane entrarono ad Addis Abeba. La colonia etiope venne immediatamente unita a quella somala e a quella eritrea a formare l’Africa Orientale Italiana. L’occupazione durò sei anni e conobbe una sempre crescente resistenza in quasi tutte le regioni e da tutte le etnie del paese. L’Italia rispose a una serie di attacchi terroristici con una campagna di violenze che prese di mira nello specifico gli Etiopi istruiti, eliminando con la forza una fetta importante dell’intellighenzia e della classe dirigente, per la cui mancanza l’Etiopia avrebbe molto sofferto negli anni a seguire. L’occupazione italiana finì quando, nell’ambito della Seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna intervenne a sostegno della resistenza etiope.
La Gran Bretagna riconobbe all’Etiopia lo status di stato sovrano, ma il ruolo giocato nella liberazione dell’Etiopia dall’Italia fascista le diede ampio margine di azione e di influenza. Considerò l’Etiopia come territorio nemico occupato, perciò venne firmato un accordo che diede alla Gran Bretagna il controllo politico, territoriale, amministrativo, finanziario sul Paese, sulla sua politica estera e sulla sua integrità territoriale. Nel 1954, quando si ritirarono, gli Inglesi lasciarono una regione divisa, con l’Eritrea spaccata all’interno sulla possibilità di riunirsi all’Etiopia, come prima della conquista italiana. Dopo anni di scontri e resistenze, nel 1962 il Parlamento eritreo decise, su pressione del governo etiope, di far diventare il paese provincia dell’Impero d’Etiopia. Dopo la restaurazione dell’impero, le energie dei sovrani si concentrarono sul consolidamento e l’accentramento del potere, fino ad assumere forma autocratica, definitivamente sancita dalla costituzione del 1955. A quello che era ormai un regime si reagì in un primo momento con complotti e cospirazioni di palazzo, ma a partire dagli anni ’60 l’opposizione si fece sempre diffusa e aperta, fino alla caduta del gruppo al potere, nel 1974.
Fece seguito un nuovo regime, di diversa natura: il Derg, il governo militare provvisorio dell’Etiopia socialista, che restò al potere fino al 1987. Il Derg tentò disastrose riforme economiche che distrussero ogni forma di iniziativa privata, introdussero alti livelli di burocratizzazione e contribuirono a scatenare due disastrose carestie nell’arco di un solo decennio. Dopo una turbolenta fase di transizione, nel 1994 venne ratificata la costituzione della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia cui seguirono, l’anno successivo, le elezioni. Tramite referendum gli Eritrei decisero di volere l’indipendenza dall’Etiopia e formarono un loro governo.
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