Per molti anni questa newsletter vi ha portato informazioni e analisi basate soprattutto su pubblicazioni di istituzioni fondate da George Friedman negli USA. Oggi Friedman, ignorato per decenni, è diventato il guru di molti nostri ottimi analisti, da Rampini a Diego Fabbri. Ne siamo felici: nel nostro piccolo, abbiamo contribuito a far conoscere in Italia una metodologia di analisi geostorica e geopolitica assai meritoria.
Ora vi segnaliamo un altro grande analista e storico, questa volta assolutamente nostrano: Francesco Sisci. Stupisce che non sia molto più conosciuto e molto più utilizzato dalle nostre università e dal nostro governo.
Sisci conosce a fondo la Cina e la sua storia, oltre a conoscere a fondo la storia dell’Occidente. Tiene corsi in università in Cina e alla LUISS a Roma, è consulente di Limes, scrive su giornali internazionali, è intervistato spesso da Radio radicale. Le sue analisi più interessanti, evidentemente rivolte ad una audience di intellettuali cinesi che studiano la cultura e la storia occidentale, compaiono in inglese sulla Settimananews, pubblicata in Vaticano (http://www.settimananews.it/informazione-internazionale/history-for-chinas-present/). Iscrivetevi, vale la pena!
Traduciamo qui sotto alcuni brani della sua ultima analisi (in inglese), che raccomanda alla classe dirigente cinese di non compiere – o continuare a compiere − errori di base in politica internazionale.
‘Nel 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale, la Germania era il paese più ricco di Europa. Era il migliore per l’industria, la scienza, la letteratura e la filosofia. Aveva il miglior sistema educativo, un sistema pensionistico superlativo e il più importante partito socialdemocratico al mondo. Perse tutto perché non capì la politica globale.
Nel 1840, alla vigilia della Prima guerra dell’oppio, la Cina Qing era il paese più ricco al mondo. Produceva fra un terzo e la metà dell’intero PIL globale. Aveva il 70% dell’argento mondiale, allora la moneta del commercio globale. Aveva un surplus commerciale enorme, il suo the era indispensabile per rendere bevibile l’acqua puzzolente di tutto il pianeta. Ma sbagliò politica estera e perse tutto.
Nel 1860, alla vigilia della liberazione del sud da parte di Garibaldi, il Regno di Napoli era di gran lunga il più ricco, il più evoluto, il più industrializzato degli stati italiani. Il rivale regno dei Savoia non era grande neppure la metà ed era molto meno potente. Ma non servì, perché neppure il Regno di Napoli capì la politica internazionale e sparì dalle mappe’.
La Cina è nella stessa condizione e sta facendo passi falsi in politica internazionale? Si domanda Sisci. Forse sì.
‘Gli errori iniziarono con la crisi finanziaria del 2008, quando la Cina pensò che gli USA stessero cadendo a pezzi. Ma le radici risalgono al 2004, quando Pechino, sorpresa delle difficoltà americane in Iraq, non batté ciglio. In quegli anni la Cina si fece altezzosa e arrogante nei confronti del Giappone e dell’India, vicini di cruciale importanza; abbandonò le riforme politiche sia all’interno sia a Hong Kong’.
Sisci procede a dire che alla Cina sarebbe convenuto offrire solidarietà agli USA, essere amichevole e collaborativa con India e Giappone, quindi accenna alle possibilità di rivolte interne o di guerre con paesi vicini, per poi chiudere così: ‘la guerra porterebbe al blocco economico e colpirebbe la vasta classe media cinese, sostenitrice di mr Xi e beneficiaria di quaranta anni di riforme e di aperture al mondo. La Cina potrebbe allora fare un passo indietro e offrire territori in cambio di pace, ma dopo anni di propaganda nazionalista non sarebbe facile rinunciare a un territorio e dire alla propria classe media che occorre cedere di nuovo agli stranieri’.
I vostri commenti
Lascia un commento
Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!
Accedi
Non sei ancora registrato?
Registrati