Cina, Unione Europea, Giappone e USA vogliono sviluppare in casa la produzione di semi-processori, cuore tecnologico dello sviluppo globale. Si prevede che l’attuale carenza di microchip, che sta penalizzando le aziende globali che producono auto, computer e cellulari, durerà ancora fino all’inizio del 2023.
Ma sviluppare la produzione di microchip avanzati in altre aree del mondo sarà tutt’altro che facile, per almeno due motivi.
Primo: il costo degli investimenti è gigantesco. La sola TMSC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) già leader mondiale nella fabbricazione di microchips, investirà 100 miliardi di dollari in tre anni, di cui larga parte in Giappone. La Samsung, secondo produttore al mondo dopo la TMSC, investirà 450 miliardi di dollari in 10 anni. Eppure la Cina si è posta l’obiettivo di essere autosufficiente al 75% entro il 2025, mentre l’Unione Europea, molto più modestamente, vorrebbe produrre almeno il 20% delle sue necessità entro il 2030. Un’inezia… Il Giappone ha dichiarato ‘progetto strategico di stato’ la produzione dei semiconduttori.
Secondo: il livello di specializzazione necessario è elevatissimo e frammentato in diversi distretti. Gli USA sono specializzati nel disegno, nell’invenzione di nuovi circuiti sempre più efficienti. La TSMC ha rinunciato a disegnare in proprio nuovi microchip, ma è la migliore del mondo nel fabbricarli su disegno altrui, utilizzando macchine litografiche di altissima precisione che si sanno produrre soltanto in Olanda, alla ASML. Nonostante l’abilità dei suoi molti tecnici e i grandi investimenti pubblici, la Cina ha grandi difficoltà sia nel disegnare sia nel produrre chip di ultima generazione, ma sa disegnare e produrre i chip più semplici, meno efficienti, vecchio stile. La Tsinghua Unigroup, la prima azienda cinese a produrre microchip, è stata appena salvata dal fallimento l’anno scorso. La SMIC, sempre in Cina, sta appena iniziando a produrre chip da 10 nanometri, ma utilizzando macchinari olandesi. Con i propri macchinari non riesce a stampare che chip da 28 nanometri, oramai considerati vecchi, sebbene ancora largamente usati nella produzione di elettrodomestici e televisori. Il Giappone ha il vantaggio di avere la Tokyo Ohka Kogyo, la maggiore e più avanzata produttrice mondiale di materiali fotoresistenti, indispensabili per la produzione di macchine litografiche a ultravioletti estremi, con cui si possono stampare i circuiti più sofisticati. Il Giappone produce il 90% di tutti i materiali fotoresistenti usati al mondo, oltre a produrre più del 50% di tutti i wafer di silicio necessari per i semiconduttori.
Non sarà affatto facile per altri paesi e altre regioni del mondo, prive di specializzazioni specifiche, competere con Taiwan, il Giappone, l’Olanda e gli USA nella fabbricazione di microchip. Forse sarebbe meglio dirigere gli investimenti pubblici in altre direzioni.
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