Il presidente turco ha scommesso tutto su di una politica finanziaria eterodossa: se andrà bene, passerà alla storia come un abile statista, se andrà male perderà il potere e il prestigio.
L’inflazione in Turchia ha raggiunto il 25% a dicembre. Il valore della lira turca è crollato. Mentre le principali banche centrali del mondo mirano ad aumentare i tassi per frenare l’inflazione, Erdogan è l’unico a perseguire una politica di interessi sempre più bassi. Ha licenziato tre governatori della Banca centrale in due anni e ha appena sostituito il ministro delle finanze perché non era d’accordo ad abbassare i tassi. Il tasso di interesse sulla lira turca era il 19% ad agosto, ora è del 14%. È ancora altissimo, ma a quanto pare è necessario per evitare che i Turchi corrano a trasformare tutti i loro risparmi in dollari o euro.
Di fronte agli elettori Erdogan giustifica le sue mosse su basi religiose. Gli esperti economici respingono le sue politiche, ma il presidente pensa che la riduzione dei tassi limiterà l’inflazione, contrariamente alle teorie economiche classiche. Non si dice preoccupato per la precipitosa caduta della lira, certo che un tasso di cambio competitivo incoraggerà gli investimenti e creerà più posti di lavoro. Una strategia simile è già stata usata in passato in Turchia: la usò il primo ministro Turgut Ozal negli anni ’80, il primo ministro Tansu Ciller negli anni ’90 e lo stesso Erdogan nel 2002.
L'economia turca, il cui volume nominale è di circa 800 miliardi di dollari, dipende in larga misura dalle materie prime importate per la fabbricazione dei beni. Le principali importazioni includono prodotti chimici organici, combustibili minerali, ferro e acciaio, prodotti farmaceutici e macchinari elettrici. Nel 2020 le importazioni hanno superato i 220 miliardi di dollari e le esportazioni hanno raggiunto i 170 miliardi di dollari. La parte centrale del piano economico di Erdogan è invertire questo squilibrio commerciale entro il 2023. Per riuscirci, Erdogan ha bisogno della collaborazione dei paesi occidentali, perciò ha già mostrato atteggiamenti distensivi e collaborativi nei confronti dell’UE, di Israele e degli USA.
Erdogan rischia la rielezione nel 2023, quando voteranno per la prima volta 9 milioni di giovani turchi, un quarto dei quali sono disoccupati. Sarà una fascia demografica difficile da conquistare. Erdogan, tuttavia, spera che la sua base operaia lo sosterrà, nonostante la svalutazione della lira, che invece preoccupa e danneggia i risparmiatori, cioè la classe media. L’opposizione è fratturata e ha poco in comune oltre a voler rovesciare Erdogan e l’AKP, perciò Erdogan potrebbe farcela ancora una volta.
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