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Negli anni ’50 i centri storici culturali e politici arabi del Cairo, Baghdad e Damasco iniziarono a perdere il loro ruolo quando gli ufficiali dell’esercito organizzarono colpi di stato militari e spodestarono le aristocrazie dominanti. Gli ufficiali distrussero le società civili e le economie dei loro paesi e imposero l’autoritarismo. Promisero in cambio sviluppo economico, ma portarono più povertà. Costruirono grandi eserciti apparentemente per combattere Israele, ma persero ogni guerra con gli Israeliani. La Guerra dei Sei Giorni rivelò l’entità della loro debolezza. I centri culturali e politici arabi si spostarono gradualmente nelle città del Golfo, vale a dire Dubai, Abu Dhabi, Doha, Riyadh e Kuwait City. Man mano che i paesi del Golfo, scarsamente popolati, crescevano in ricchezza e importanza, fecero il possibile per mantenere deboli gli altri stati arabi, prevenendo ogni cambiamento.
Le maggiori potenze del Medio Oriente oggi – Israele, Turchia e Iran – non sono né ugualmente potenti né ugualmente stabili. Turchia e Iran hanno seri problemi economici, disordini interni e difficili relazioni estere.
La rivoluzione del 1979 in Iran non portò prosperità al popolo. Provocò invece una guerra di otto anni con l’Iraq, che lasciò l’Iran economicamente devastato e isolato a livello internazionale. Gli ayatollah iraniani cercano ancora di diffondere la loro rivoluzione in tutta la regione e hanno delegati regionali in paesi vulnerabili come Libano, Iraq, Siria e Yemen. Hanno rianimato il programma nucleare abbandonato dello Shah con l’obiettivo di conquistare prestigio internazionale e importanza regionale. Le ambizioni regionali dell‘Iran spaventano i paesi arabi e hanno spinto l’Arabia Saudita a lanciare un massiccio programma di approvvigionamento di armi e a creare un’industria di armi indigena.
La Turchia è stata scossa da tre colpi di stato militari tra il 1960 e il 1971. Ogni volta che i militari bandivano un partito islamista, ne emergeva uno nuovo con altro nome e i militari lo contrastavano riprendendo il controllo del governo e delle istituzioni. Nel 2001, Recep Tayyip Erdogan e Abdullah Gul fondarono il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), che ha dominato la politica turca fino al 2015, quando ha perso la maggioranza parlamentare ed è stata costretta a costruire un governo di coalizione. Tuttavia i partiti islamisti sono una presenza permanente nella politica turca poiché la maggior parte dei turchi si oppone ancora ai rigorosi valori laici e repubblicani di Mustafa Kemal Ataturk. Il futuro della politica turca rimane incerto poiché Erdogan deve affrontare una crescente opposizione. Anche se è sopravvissuto alle proteste del 2013 e alle accuse di corruzione, la crisi economica potrebbe far cadere la sua presidenza e l’AKP stesso.
Politicamente, il Medio Oriente non ha ancora raggiunto la maggiore età. I paesi della regione sono vittime del loro passato e rimangono preoccupati per la sicurezza, sia interna che esterna.
Nonostante la sua superiorità militare e il suo arsenale nucleare, Israele ha profonde preoccupazioni per la sicurezza, acuite dalla tragica storia del popolo ebraico in Europa. Il suo sistema politico democratico ha difficoltà a legiferare su questioni importanti a causa delle divisioni interne. In Iran, il leader supremo presiede un sistema politico anacronistico che ricorda l’Europa medievale. La Turchia è impantanata in una crisi di identità fra l’essere una nazione laica orientata all’Europa o una società islamica radicata in Medio Oriente. Le popolazioni della regione sono politicamente e socialmente divise tra Islam, nazionalismo e secolarismo.
Le rivolte arabe del 2010-11 hanno dato alla gente la speranza di sradicare il dispotismo endemico ed erigere sistemi politici democratici, ma l’oscura realtà dei ben radicati apparati di potere l’ha avuta vinta. Nessuna delle rivolte arabe ha portato a una democrazia praticabile. Gli apparati di potere dello stato profondo, sostenuti da generosi contributi finanziari sauditi ed emiratini, hanno distrutto i brevi intermezzi democratici in Egitto e Tunisia. Nel 2018 è sceso in piazza anche il popolo sudanese. L’esercito ha estromesso al-Bashir promettendo una riforma democratica, ma a novembre 2021 ha organizzato un colpo di stato per riaffermare il suo dominio, con l’aiuto di Abu Dhabi. Anche il sistema politico confessionale libanese, erroneamente etichettato come democrazia, è crollato a causa della diffusa corruzione.
La guerra in Yemen continua a imperversare mentre i Sauditi non riescono a districarsi dal conflitto. L’Arabia Saudita, che aveva interferito negli affari interni dello Yemen per decenni, ha tollerato i ribelli Houthi quando hanno combattuto contro il Partito al-Islah affiliato ai Fratelli Musulmani, ma poi si è rivolta contro di loro quando hanno preso la capitale, Sanaa.
In Nord Africa, la Libia si sta disintegrando con poche speranze di riunire le sue fazioni in guerra. Nel frattempo il re del Marocco mantiene il controllo completo del sistema politico del Paese e l’esercito algerino continua a imporre la propria volontà al Paese e alle sue risorse.
Il circolo vizioso dell’autoritarismo e dello sviluppo economico impantanato affliggono i paesi del Medio Oriente, e non si vede la possibile fine dei loro travagli.
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