Le elezioni del 15 maggio 2022 in Libano non hanno portato la svolta politica che gli analisti si aspettavano. Tutti i candidati di Hezbollah e del Movimento Amal suo alleato sono stati eletti. I gruppi della società civile hanno vinto solo 12 seggi. Considerando che l’establishment politico ha dissestato l’economia e le banche e ha rubato i risparmi dei libanesi, ci si aspettava un cambiamento, invece le elezioni hanno confermato lo stallo politico.
La politica libanese è sempre stata faziosa all’estremo.
Secondo la legge elettorale rivista nel 2018, gli elettori hanno potuto selezionare un solo candidato dalla loro area di residenza, il che ha consolidato il voto per il proprio gruppo etnico e religioso. Non potendo esprimere più di una preferenza, è difficile che un elettore abbandoni il proprio gruppo di riferimento etnico e religioso per votare il candidato di un altro gruppo etnico e religioso.
Sebbene più libanesi vivano all’estero che in Libano, meno di 270.000 residenti all’estero si sono registrati per votare e solo il 60% ha effettivamente votato. L’apatia è in aumento e le aspettative di riforma sono basse. Il potere è sempre nelle stesse mani: il presidente della Camera, ad esempio, ricopre la posizione da 30 anni.
Inoltre il parlamento libanese è il prodotto di un sistema politico corrotto. Le recenti elezioni hanno visto un diffuso acquisto di voti. L’Arabia Saudita ha sponsorizzato la lista elettorale anti-Hezbollah per indebolire la presa di Hezbollah sul nuovo parlamento, ma con scarso successo.
I libanesi non sono mai stati in grado di risolvere i loro problemi senza interventi dall’estero. La Francia ha creato il Libano moderno nel 1920 e la Gran Bretagna ne ha assicurato l’indipendenza nel 1943. Nel 1952 la Gran Bretagna assicurò la presidenza al suo alleato Camille Chamoun, cacciando il presidente filo-francese Beshara el-Khoury. La guerra civile del 1958 terminò quando gli Stati Uniti e l’Egitto raggiunsero un accordo che consentì al comandante dell’esercito Fouad Chehab di succedere a Chamoun. Nel 1975 scoppiò di nuovo la guerra civile per la presenza militare palestinese in Libano, le tensioni sociali e le ingiustizie economiche percepite dai musulmani. Nel 1989 il parlamento libanese firmò l’accordo di Taif in Arabia Saudita per porre fine alla guerra civile. Poco dopo l’Iran divenne il principale attore politico nel paese grazie a Hezbollah, fondato dalle Guardie Rivoluzionarie Islamiche iraniane nel 1985.
Nel 2008 Hezbollah prese d’assalto Beirut occidentale e sciolse la milizia sunnita di Hariri. Il Qatar si offrì come mediatore. Da allora l’Arabia Saudita e l’Iran sono frequentemente impegnati in negoziati per risolvere i problemi regionali, incluso quello del Libano, ma con risultati deludenti. Soltanto nell’ultimo anno ci sono già stati cinque round di colloqui a Baghdad.
I paesi della regione pare si stiano muovendo verso una generale riconciliazione, ma è presto per prevederne gli esiti. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ripreso il dialogo – interrotto da anni − con gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Il presidente siriano Bashar Assad ha effettuato una visita senza precedenti negli Emirati Arabi Uniti e il presidente israeliano Isaac Herzog si è recato ad Ankara per incoraggiare la cooperazione economica e alleviare le differenze politiche. Il viaggio di Assad negli Emirati Arabi Uniti ha aperto un nuovo capitolo nelle relazioni della Siria con i paesi arabi, in particolare con l’Arabia Saudita e l’Egitto, che da decenni sono i difensori degli interessi dei Sunniti libanesi.
L’Arabia Saudita e la Francia stanno lavorando a una nuova formula per il governo libanese, che non neghi gli interessi dell’Iran ma permetta i cambiamenti necessari per ripristinare la vitalità economica e politica del Libano. Ciò richiederà il coinvolgimento del regime di Assad in Siria, unico paese arabo confinante con il Libano. Se qualche cosa cambierà in Libano, non sarà a seguito delle elezioni, ma, come sempre, per accordi fra paesi stranieri.
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