In questo periodo di grandi cambiamenti negli equilibri globali e di grandi ondate di migranti e rifugiati, tutte le ideologie universaliste mostrano la corda. Ogni stato ha sovranità su di un territorio limitato, perciò ha risorse limitate e non può applicare alla realtà ideologie che richiederebbero la disponibilità di territori e di risorse molto superiori.
Oggi la Turchia affronta una situazione che la costringe a politiche contraddittorie. Da un lato la ricerca di sicurezza ai confini la spinge a lanciare frequenti offensive militari nel nord della Siria, che causano nuove ondate di rifugiati, dall’altro è già inondata da 3,7 milioni di rifugiati siriani e 320000 rifugiati musulmani di altre provenienze. Dal primo luglio 2022 un nuovo regolamento limiterà al 20% la quota massima di rifugiati ospitabili in 1200 quartieri e regioni in cui la popolazione turca ha ormai sviluppato sentimenti anti-rifugiati evidenti, che costituiranno un argomento centrale della campagna elettorale del 2023.
I rifugiati ricevono sostegno finanziario dall’Onu e dall’Unione Europea, ma competono comunque sul mercato del lavoro con i Turchi. Ora che la Turchia ha un’inflazione del 70% e stipendi e salari hanno perso potere d’acquisto, i Turchi vedono i rifugiati come privilegiati che, oltre a essere mantenuti dalla comunità internazionale, si offrono anche come manodopera a basso prezzo. Molti sono stati negli ultimi tempi gli attacchi a gruppi di rifugiati.
L’ideologia islamista del partito al potere (AKP) porta il governo ad aprire le porte a tutti i musulmani, ma ha ripreso molta forza la voce dei nazionalisti laici che vogliono limitare l’accesso dei rifugiati. Il governo perciò adotta misure di compromesso, sperando di ‘convincere’ milioni di rifugiati siriani a trasferirsi presto nel Rojava, regione del nord della Siria confinante con la Turchia, da cui i Turchi vorrebbero far sloggiare i Curdi. A frenare l’operazione militare turca nel Rojava è l’opposizione della Russia. Se la Russia dovesse trovarsi in difficoltà militari o diplomatiche tanto gravi da non poter intervenire in Siria, la Turchia ne approfitterebbe per un’operazione militare su grande scala nel nord della Siria, deportandovi poi i rifugiati.
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