Tratto da un articolo di Fedirka Allison per Geopolitical Futures del 6 luglio 2022
Il 4 settembre i Cileni sono chiamati ad approvare o respingere una nuova Costituzione, un nuovo contratto sociale.
I paesi dell’America Latina tendono ad avere rapporti molto flessibili con le loro costituzioni. Fra il 1810 e il 2015 i 18 paesi dell’America Latina hanno emanato ben 195 diverse costituzioni, una a ogni cambio di equilibrio politico-sociale, con una accelerazione nel tardo 1900, quando molti governi sono passati dal controllo militare a quello parlamentare. Le costituzioni in America Latina tendono a essere molto dettagliate, il che induce a continue revisioni o riformulazioni. Il Cile, ad esempio, ha introdotto nuove costituzioni nel 1822, 1833, 1925 e 1980 e ha apportato 52 modifiche a quella attualmente in vigore. La costituzione brasiliana del 1988 ha già subìto oltre 100 emendamenti.
La riscrittura costituzionale in Cile è conseguenza dei disordini seguiti alle proteste del 2019 contro l’aumento delle tariffe della metropolitana. L’elenco delle lamentele è rapidamente cresciuto fino a includere una serie di ingiustizie sociali ed economiche. Dopo molteplici tentativi di dialogo, la proclamazione dello stato d’emergenza e il dispiegamento dell’esercito, il governo ha accettato di indire un referendum sull’opportunità di rivedere la costituzione. I votanti hanno chiesto una nuova costituzione, poi è stata eletta una Assemblea costituente che in un anno di tempo ha prodotto la bozza di costituzione che andrà al voto a settembre.
Il Cile soffre della polarizzazione sociale del resto della regione, che deriva dal suo passato coloniale. Le società coloniali erano estremamente stratificate, la ricchezza (costituita fondamentalmente dal controllo delle risorse naturali) era concentrata da generazioni nelle mani delle stesse famiglie. Le élite ricche favoriscono governi pro-mercato, mentre gli elettori della classe operaia tendono a richiedere una maggiore spesa sociale. Una delle principali critiche alla costituzione esistente è la sua enfasi sulla protezione delle imprese private a spese del pubblico e dell’ambiente. La nuova bozza dà più importanza ai diritti delle comunità, distribuisce il potere in modo più ampio, migliora la protezione dell’ambiente e delle comunità indigene, garantisce l’uguaglianza di genere e sostiene i servizi sociali pubblici. Inoltre definisce il Cile come paese plurinazionale, consentendo l’autogoverno indigeno.
Sono state apportate modifiche significative agli articoli relativi ai modelli di governo, all’estrazione mineraria e alle risorse naturali. Le richieste del governo per una legislatura unicamerale sono state respinte, ma sono stati accolti altri emendamenti che indeboliscono il ruolo del Senato. Per quanto riguarda l’estrazione mineraria, è stata respinta la proposta di concedere allo stato i diritti esclusivi su litio, idrocarburi e metalli rari, nonché il controllo delle miniere di rame. La bozza introduce però restrizioni ambientali all’industria e al controllo privato delle risorse idriche.
Il Cile è fisicamente isolato da oceani, montagne e deserti. Le industrie estrattive richiedono enormi investimenti che il Cile non può fare da solo, deve fare affidamento su investitori esterni. Avendo poca popolazione, la domanda interna non è sufficiente per sviluppare la produzione dei metalli e dell’agricoltura. Perciò i produttori guardano ai mercati esterni, che hanno molto appetito per questo tipo di merci. Le esportazioni costituiscono quasi un terzo del prodotto interno lordo del Cile. Il Paese dipende dalle importazioni per il suo fabbisogno energetico. Questa dipendenza dai mercati esterni ha agito da incentivo a mantenere la stabilità politica e sociale. La necessità di attrarre investitori probabilmente continuerà a moderare qualunque riforma. Tuttavia sono previsti alcuni cambiamenti chiave: il governo del neopresidente Gabriel Boric ha proposto piani di riforma fiscale, comprese modifiche all’imposta sul patrimonio personale e sulle royalties minerarie. Boric rappresenta l’emergere di una nuova sinistra in America Latina, frutto dell’evoluzione politica della regione, della pandemia e dei più ampi cambiamenti geopolitici in atto a livello globale. Riflette un disincanto generale nei confronti della politica tradizionale e delle vecchie ideologie.
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