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La Repubblica del Karakalpakstan è apparsa nei titoli dei giornali a inizio luglio 2022. Ben pochi la conoscevano. È una delle Repubbliche che negli anni dell’Unione Sovietica sono state ritagliate a incastro nell’Asia centrale, cambiando ripetutamente le frontiere, mescolando e rimescolando etnie, storie e risorse. Occupa grosso modo il territorio dell’antica Corasmia, che fu impero fiorente nell’alto Medioevo, prima dell’invasione di Gengis Khan. Fu ceduta dal Khanato islamico di Khiva all’Impero zarista nel 1873. Oggi è federata con l’Uzbekistan, ma ha diritto di secessione, può dichiarare la propria totale indipendenza in qualunque momento.
Il Karakalpakstan è ricco di giacimenti di gas e petrolio, che però non sono mai stati sfruttati. È una ricchezza soltanto potenziale, che per divenire reale ha bisogno di enormi investimenti in infrastrutture, che la Repubblica non può fare perché è poverissima, ha un PIL pro capite bassissimo. I due milioni scarsi di abitanti vivono fondamentalmente di pastorizia seminomade e coltivazione del cotone, su di un territorio pianeggiante grande più della metà del territorio italiano. Nei secoli passati la ricchezza agricola della regione traeva origine dal lago di Aral, oggi quasi totalmente prosciugato perché le acque dei fiumi Amu Daria e Syr Daria non lo raggiungono più, essendo interamente utilizzate dalle canalizzazioni che irrigano i territori del resto dell’Uzbekistan e del Kazakhistan.
Il governo uzbeco vorrebbe integrare stabilmente la Repubblica del Karakalpakstan nel territorio nazionale, abolendo il diritto di secessione, ma la popolazione si è ribellata alla proposta di nuova costituzione presentata in parlamento. La proposta è stata ritirata, l’esercito uzbeko ha represso le manifestazioni e arrestando centinaia di dimostranti.
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