Da un articolo di Hilal Khashan per Geopolitical Futures del 28 novembre 2022.
L'attuale ondata di disordini in Iran è iniziata a settembre dopo la morte di una donna di 22 anni, arrestata dalla polizia ‘morale’. Ma non sono i primi disordini. Le donne hanno svolto un ruolo fondamentale anche nei disordini nel 2017-18, che avanzavano richieste simili a quelle di oggi. Oggi però i manifestanti chiedono non soltanto riforme sociali e politiche, ma anche la completa estromissione del regime. Secondo un giovane attivista, le proteste non sono più un movimento di riforma ma un'avanguardia rivoluzionaria che dà vita a una nuova nazione. Dopo aver sopportato molti sconvolgimenti finanziari, sociali e culturali, che hanno colpito soprattutto le donne e le minoranze etniche, il popolo iraniano dice ‘basta’. I giovani di ogni estrazione sociale non hanno nulla da perdere e sembrano intenzionati a continuare le proteste.
Il cambiamento politico in Iran può essere inevitabile, ma non è imminente. Dopo 10 settimane di manifestazioni, il regime non accenna a far concessioni. Anche i movimenti di protesta del passato hanno attirato milioni di persone con diversi background etnici e religiosi, poi si sono spenti. Le proteste in corso sono limitate a migliaia di manifestanti, tutti giovani, organizzati in piccoli gruppi e privi del sostegno della classe media, almeno per ora.
L'attuale composizione politica dell'Iran è insostenibile e la sua ideologia religiosa è obsoleta. Persino il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) riconosce la necessità di snellire la macchina statale, eliminare il dualismo strutturale, monopolizzare il potere e trovare un delicato equilibrio tra laicità e Islam sciita. Considera la conservazione della complessa identità nazionale dell'Iran come una questione di primaria importanza. Ma una rivolta può aver successo soltanto se raccoglie le forze della classe media.
Una di queste forze è il bazar, il grande mercato cresciuto nel corso dei secoli fino a diventare un'istituzione economica che rappresenta la base tradizionale del capitalismo iraniano. Il bazar è tradizionalmente uno dei tre pilastri del sistema politico iraniano, gli altri due sono il clero e l'élite politica. Ma nel corso degli anni ha perso il suo ruolo di veicolo di trasformazione politica.
Decenni fa l’alleanza fra il bazar e il clero ha scosso i pilastri della società tradizionale, fino a far crollare la monarchia. Il processo è stato molto lungo: dalle proteste per la concessione del tabacco nel 1891 (emanate dal bazar di Teheran) alla rivoluzione costituzionale nel 1906, dal movimento per nazionalizzare l'industria petrolifera nel 1950 alla rivolta del giugno 1963, fino alla rivoluzione islamica nel 1979, il sostegno dei mercanti fu sempre elemento cruciale. Il bazar pre-rivoluzionario era un'istituzione attiva all'interno della società civile iraniana. Nel periodo che precedette la rivoluzione i mercanti e il clero organizzarono circa i due terzi delle manifestazioni e delle marce nelle città iraniane e crearono dozzine di comunità di sostegno finanziario.
Dopo la rivoluzione, però, il rapporto tra il bazar e il governo è cambiato. I tradizionali mercanti di bazar sono entrati a far parte dell'establishment politico, assumendo posizioni politiche ed economiche di stato e perdendo così il loro ruolo nella società civile.
Il bazar era diviso in due fazioni – una alleata del regime e l'altra all’opposizione – ma la scissione divenne evidente soltanto dopo la fine della guerra Iran-Iraq nel 1988, e più precisamente durante la presidenza di Rafsanjani dal 1989 al 1997. Rafsanjani ha fatto diventare le Guardie della Rivoluzione (IRGC) un'entità economica che controlla e limita la politica e le istituzioni dello stato. Mahmud Ahmadinejad ha facilitato il dominio delle attività del settore privato da parte delle società collegate all'IRGC. Il gruppo esercita un'influenza sostanziale sul sistema politico, compresa la magistratura, il parlamento e la presidenza, e si garantisce l'espansione delle proprie attività economiche, nonostante il divieto del leader supremo Ayatollah Ruhollah Khomeini al coinvolgimento dei militari negli affari politici.
L'IRGC ha escluso il settore privato dalla maggior parte dei progetti dell'industria petrolifera e della costruzione di strade. Ha investito nell'editoria, nei media e nel giornalismo e ha approfittato delle sanzioni economiche per espandere l'importazione di beni e merci di contrabbando. L'IRGC ha persino costruito porti segreti per il contrabbando. Il reddito annuo non imponibile da attività illecite supera i 140 miliardi di dollari. C'è un grande divario tra i tradizionali mercanti del bazar e i nuovi mercanti nella burocrazia militare iraniana. Il porto di Dubai e le zone di libero scambio sulle isole di Kish e Qeshm hanno ulteriormente indebolito il bazar e paralizzato la sua capacità di influenzare la politica.
Il bazar come istituzione ha perso la sua omogeneità dopo la rivoluzione. I grandi mercanti che contribuirono a finanziarne il successo si unirono all'élite politica e divennero uno dei costituenti del nuovo sistema politico. Hanno rinunciato alla produzione e si sono concentrati sulle importazioni e sulla distribuzione delle merci fino a quando non è emersa una nuova classe di commercianti affiliati all'IRGC. Questi cambiamenti economici hanno causato la frammentazione dei conservatori in gruppi politici rivali.
I conservatori in Iran oggi si stanno indebolendo, divisi sulla scelta di un successore dell'attuale leader supremo Ayatollah Ali Khamenei, che vuole che il titolo passi al figlio e gli ha già dato il titolo di ayatollah. Khamenei ha recentemente destituito il capo dell'intelligence dell'IRGC perché si opponeva all'idea del potere ereditario. Oggi non esiste una figura all'interno del regime iraniano che possa assumere la leadership con il sostegno di diverse fazioni. Tutti i leader politici che potrebbero essere candidati hanno un passato controverso che li rende inaccettabili per molti. Manca anche una figura religiosa indipendente e carismatica capace di colmare il vuoto politico incombente.
Nel frattempo, l'establishment religioso è ancorato al passato. Non può rinunciare alla visione, impopolare, dell'Occidente e degli Stati Uniti come il nemico. Pochissimi Iraniani accettano il ragionamento antiquato dell'establishment e la maggior parte contesta l’affermazione di Khamenei che i manifestanti sarebbero agenti degli stranieri.
È probabile che l'instabilità politica continui, considerando che l'opposizione a qualsiasi successore del leader supremo è inevitabile. I candidati più importanti hanno più di 80 anni, i due più giovani sono l'attuale presidente Ebrahim Raisi e il capo della magistratura Amoli Larijani. Provengono tutti da una scuola di pensiero simile a quella di Khamenei e non sono aperti alle riforme.
Dalla rivoluzione del 1979 la società iraniana ha subito cambiamenti culturali che l’hanno divisa fra individui laici ed entusiasti religiosi pienamente impegnati nella missione della rivoluzione. I difensori del regime islamico hanno introdotto il concetto di carisma collettivo, per cui il leader supremo cerimoniale deriva il suo status dal carisma della posizione e non viceversa. La storia dell'establishment religioso è piena di conflitti con l'establishment politico, ma ha dimostrato una notevole capacità di perseverare.
Il regime probabilmente non cadrà ma si reinventerà. La sua strategia per sopravvivere è instillare abbastanza paura nei manifestanti da costringerli a rimanere a casa. Con il sostegno delle milizie sciite irachene e libanesi, le autorità esercitano una coercizione eccessiva e sanzioni giudiziarie estreme, compresa la pena di morte, per intimidire coloro che chiedono un cambiamento. Teheran ha anche cercato di deviare l'attenzione con attacchi nel nord dell'Iraq, sostenendo che sta rispondendo ai gruppi estremisti curdi che contrabbandano armi nel Paese.
L'IRGC si aggrapperà al potere presentandosi come primo tra i disuguali, proprio come hanno sempre fatto i militari in Egitto e in Algeria. E, come in Egitto e in Algeria, sarà molto difficile scalzarli.
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