È il titolo di un articolo di Guy Sorman per il City Journal del 9 gennaio 2023. Lo traduciamo sommariamente, perché la diagnosi ci pare corretta.
Nei media liberali e tra l'intellighenzia e la classe politica europea regna una serena unanimità sul tema Israele: non è più una democrazia perché il suo nuovo governo è di destra. Troppo a destra. Non ho una particolare simpatia per Benjamin Netanyahu, ma devo osservare che le modalità della sua elezione sono state perfettamente legittime. Né ho alcuna simpatia – tutt'altro – per i partiti ebraici estremisti che sono entrati nella coalizione di governo, ma anche loro sono stati eletti. Pertanto non riesco a vedere su quali basi gli europei si permettano di denunciare la democrazia israeliana. Mi viene in mente una famosa proposta di Bertolt Brecht: "Poiché il popolo vota contro il governo, il popolo deve essere sciolto". Si dà il caso che la maggioranza degli Israeliani si senta rappresentata nel nuovo governo Netanyahu, e che la minoranza riprenderà il potere tra qualche anno. Questi sono i meccanismi del suffragio universale.
Pertanto, prima di demonizzare Netanyahu, i migliori d'Europa dovrebbero interrogarsi sui suoi ripetuti successi elettorali e record di longevità, che ricordano Margaret Thatcher, Angela Merkel e José María Aznar. Gli elettori sanno che cosa fanno: sotto Netanyahu gli Israeliani hanno sperimentato un punto di massima sicurezza, mentre l’economia non è mai stata così prospera. Non è quindi un caso che Netanyahu sia stato rieletto, ma è il premio per il suo successo e la sua fortuna (in politica, fortuna e successo sono indissociabili). Ha minacciato la democrazia in passato, e questa volta la stravolgerà per compiacere i suoi alleati integralisti? Se ne può dubitare, dato che la persona capace di far tacere gli Israeliani non può essere di questo mondo. Gli Ebrei litigarono con Dio; gli Ebrei discutono incessantemente tra loro, e questo include gli Israeliani. I media sono liberi e tali rimarranno, così come i partiti e i giudici. L'esercito israeliano non accetta ordini dall'esterno. Quanto ai rabbini, ci sono tanti punti di vista tra loro quante sono le sinagoghe.
Qual è, allora, la fonte di questa condanna occidentale del nuovo governo israeliano e di queste oscure profezie sulla democrazia? In primo luogo, l'ignoranza. Quale scribacchino europeo indaga sui problemi che Netanyahu deve affrontare? Preferiamo condannarlo subito, per paura di essere smentiti dalla realtà.
Ma arriviamo all'essenziale: la sfiducia mostrata dalla sinistra europea deriva dal fatto che i suoi aderenti giudicano Israele dal punto di vista dei Palestinesi. È vero che Netanyahu e i suoi alleati non credono nella fattibilità di uno stato palestinese; il governo israeliano non è il governo palestinese, e difende gli interessi degli Israeliani prima di quelli dei Palestinesi. Possiamo lamentarci del destino dei Palestinesi, ma di chi è davvero questa responsabilità? Nel 1947 le Nazioni Unite divisero la Palestina in due territori, uno ebraico e l'altro arabo. Chi ha rifiutato questa divisione in due stati, che oggi è chiesta da Arabi, Palestinesi e "comunità internazionale"? Al momento dell'annuncio della spartizione da parte delle Nazioni Unite, gli eserciti di Giordania, Siria ed Egitto hanno attaccato gli insediamenti Israeliani. Gli Israeliani di allora, contro ogni aspettativa, proprio come gli Ucraini di oggi, resistettero e conquistarono un territorio più vasto di quello che le Nazioni Unite avevano assegnato. Da allora, gli Arabi non hanno mai smesso di attaccare Israele, comprese le guerre nel 1967 e nel 1973. Hanno perso ogni volta.
Abbandonando una lotta militare frontale, Arabi e Palestinesi hanno poi ripreso il terrorismo, ancora una volta senza successo. I due territori Palestinesi autonomi, la Cisgiordania e Gaza, sono governati da Palestinesi eletti, che sono corrotti e tiranneggiano il proprio popolo e si appropriano dei fondi per gli aiuti internazionali. L'unica economia palestinese funzionante consiste nella confisca degli aiuti provenienti dalle Nazioni Unite negli ultimi 70 anni (e più recentemente dall'Unione Europea). La "comunità internazionale" finanzia da 50 anni la sopravvivenza dei campi profughi Palestinesi, il che garantisce che questi profughi rimangano profughi.
I Palestinesi sono (forse) vittime dell'occupazione israeliana – anche se non c'è alcuna occupazione di Gaza – ma sono ancora più vittime degli aiuti internazionali. Sono anche altrettanto vittime del mondo arabo, che ha contribuito poco al benessere dei Palestinesi, pur rifiutando a lungo di riconoscere il diritto di Israele all'esistenza. Sotto la costante pressione degli Stati Uniti, e in cambio di finanziamenti americani, Giordania, Egitto, Emirati Arabi e Marocco ora riconoscono Israele, ma i vicini più minacciosi - Siria, Libano, Iran, Arabia Saudita e Algeria - non hanno rapporti diplomatici ufficiali. Neppure i più grandi paesi musulmani - Pakistan, Bangladesh e Indonesia - riconoscono Israele. Dovremmo allora essere sorpresi e indignati che Israele sia una nazione armata e poco disposta a fare concessioni ai Palestinesi? Vae victis! Guai ai vinti!
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