Il trionfo ansioso, storia globale del capitalismo 1860-1914

06/02/2023

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Di Donald Sassoon - Garzanti 2022.

Il Trionfo Ansioso è opera fondamentale per capire la svolta nella storia globale fra il 1870 e la Prima guerra mondiale. Non può mancare in nessuna biblioteca, non può essere ignorato da nessuno storico, sociologo o economista. Rimarrà come opera di riferimento per ogni studio successivo. È un’opera grandiosa e profonda, che dapprima identifica le caratteristiche fondamentali comuni ai tanti processi di sviluppo nei diversi stati del mondo in quel periodo, poi narra brevemente i tanti diversi percorsi seguiti in paesi e culture diverse, nel tentativo di giungere allo stesso risultato: il massimo sviluppo economico possibile.

Le caratteristiche comuni identificate da Sasson sono:

-          Iniziative di accumulo di capitale finanziario, umano e tecnologico che hanno per orizzonte il mondo intero, non soltanto la società al suo interno;

-          ma hanno sempre come attore e motore fondamentale lo stato, anche là dove viene lasciata la massima libertà all’impresa privata,

-          si sviluppano insieme all’identità nazionale e mirano a rafforzare il ruolo dello stato-nazione

all’interno degli intensi scambi economici culturali militari globali, resi inevitabili e necessari dall’evoluzione tecnologica.

-          Diverse ideologie, anche universalistiche, sono utilizzate per rovesciare il sistema socioeconomico esistente, ma sempre al fine di rafforzare il proprio popolo e il proprio stato sulla scena internazionale.

In breve, l’idea che lo stato debba essere il motore e il garante dello sviluppo economico e tecnologico e della sicurezza di tutti i cittadini, con conseguente perdita di valore e di forza delle istituzioni comunitarie locali, tribali, professionali o religiose, è caratteristica comune del passaggio alla modernità, al di là delle differenze ideologiche e dei diversi interessi politici.

Donald Sassoon, che è uno dei massimi storici contemporanei, discende da una famiglia di ebrei di Bagdad che furono fra i maggiori protagonisti della storia del capitalismo globale, avendo accompagnato come grandi e illuminati imprenditori e operatori sociali l’avanzata dell’Impero Britannico in India, a Hong Kong e a Shanghai. Si tratta dunque per l’autore di una storia originariamente narrata e discussa in famiglia, prima ancora di diventare oggetto di studio e ricerca accademica.

Nessun paese è trascurato in questo saggio, perciò l’opera ha anche un carattere enciclopedico: chi volesse sapere come ogni regione del mondo affrontò il passaggio alla modernità a cavallo tra i due secoli, vi trova tutte le informazioni essenziali.

 

 

Lasciamo parlare l’autore:

‘La nascita dello stato-nazione coincide con la storia recente del capitalismo globalizzato. L’imperativo economico dello stato come gestore dell’economia è il meccanismo fondamentale che ha favorito la crescita degli stati. Si pensa spesso che il capitalismo aspiri a governare il mondo, ma questa è un’idea astratta. In realtà ogni tipo di capitalismo dev’essere sostenuto da uno stato e modellato secondo le circostanze locali. Non esiste un’unica via. I paesi forti hanno aiutato lo sviluppo del capitalismo; quelli deboli hanno avuto difficoltà ad industrializzarsi. Quei paesi che non sono stati efficaci, che hanno acquisito autonomia statuale soltanto di recente o che sono stati sottomessi da altri stati si trovano nelle condizioni peggiori’ (pag. 82).

‘Non solo il Giappone, ma anche la Russia e la Prussia e perfino la Gran Bretagna non si sarebbero mai sviluppate come invece riuscirono a fare senza l’energica guida dello stato. Un paese veramente moderno richiede uno stato che funzioni, una burocrazia efficiente, un insieme di istituzioni, preferibilmente alcuni elementi di controllo popolare, diritti di proprietà chiaramente definiti (pubblici o privati), un’economia industriale e una popolazione istruita. Un paese veramente moderno dev’essere in grado di raccogliere fondi propri per investimenti infrastrutturali o attrarli da investitori e finanziatori. I progetti infrastrutturali devono essere inoltre sostenuti da un sistema sanitario adeguato, così come da un opportuno sistema educativo e da meccanismi capaci di mantenere e far rispettare la legge e l’ordine. Per uno stato debole sarà impossibile raccogliere fondi, attrarre investimenti o impedire che la spesa pubblica finisca in mano a politici corrotti. In altre parole, uno stato forte è una risorsa economica. Si potrebbe quasi considerare lo stato come un’impresa economica che offre protezione e sicurezza ai suoi cittadini: una specie di racket legalizzato’ (pagg. 193-194).

I contadini europei nel XIX secolo vivevano ben più miseramente dei loro omologhi nelle aree agricole dell’Asia, ma ‘nel corso del XIX secolo una serie di innovazioni rese la vita più sopportabile e aumentò la produttività economica: l’elettricità, il motore a combustione interna, l’acqua corrente nelle case, le rivoluzioni nel campo della chimica e dell’informazione (il telefono, il fonografo e il cinema) (pag. 84).

Queste innovazioni cambiarono l’esistenza umana, ovunque e profondamente. ‘Ci erano voluti 250 anni  – dal 1500 al 1750  – perché la popolazione mondiale aumentasse di poco più di 300 milioni: da 460 a 770 milioni. Nel 1900 essa era arrivata a 1,63 miliardi, nel 1950 sul pianeta vivevano ormai 2,5 miliardi di persone: nel 1987 il loro numero era nuovamente raddoppiato …. Alla fine del XX secolo, la maggioranza degli operai impiegati nel settore industriale non si trovava in ‘Occidente’ ma nel ‘resto’ del globo, quello che un tempo era detto ‘Terzo Mondo’ (pag 84).

La convinzione che le comunità rurali si reggessero su valori condivisi e su una sorta di ancestrale senso di coesione è un mito romantico (pag 87). ‘… tutte le grandi civiltà furono urbane – Babilonia, Menfi, Atene, Roma, Venezia, Timbuktu, Kyoto, Pechino, Samarcanda  – mentre la campagna era una giungla hobbesiana in cui la vita era breve e spietata’ (pag. 90).

‘Attorno al 1500 l’America precolombiana era probabilmente più urbanizzata dell’Europa: Tenochtitlan (ora Città del Messico), città ordinata ed elegante, aveva forse 250.000 abitanti, mentre Parigi, all’epoca il centro urbano più grande in Europa, soltanto 225.000’ (pag. 92).

La storia dell’evoluzione regionale del capitalismo in parallelo allo sviluppo dello stato nazionale e della tecnologia, così come narrata da Sassoon, attanaglia l’attenzione più di un thriller, ma è sempre sostenuta da documenti storici e statistici. Peculiare è la storia della transizione del Giappone da stato feudale a stato nazionale industriale a tecnologia avanzata, per iniziativa consapevole di un gruppo di samurai, cioè di guerrieri, che presero il potere e in vent’anni cambiarono la struttura dello stato, delle istituzioni e dell’economia. In Europa fascismo nazismo e comunismo vollero fare la stessa operazione nel secolo successivo, ma in condizioni profondamente diverse, e sfociarono in tirannie e massacri che portarono alla rovina stati ed economie europee.

Anche oggi, nonostante la parola «globalizzazione» sia sulla bocca di tutti gli opinionisti, non esiste un solo governo al mondo che non consideri la gestione della «propria» economia uno dei compiti più importanti ai quali è chiamato, se non quello principale. Nessuna organizzazione internazionale, nemmeno l’Unione Europea, applica lo stesso tipo di controllo o di regole messi in atto dagli stati nazionali. Il nostro è un mondo di stati-nazione che procede non in direzione di uno stato globale ma di un sistema globale di stati.

 

Buona lettura! 

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