La maggiore scrittrice cinese del secolo ha raccontato magistralmente la Cina del XX secolo attraverso la storia di tre generazioni di donne: sua nonna, sua madre e lei stessa. Tre donne che ogni giorno lottano per la sopravvivenza e per mantenere il senso della propria dignità.
- Dapprima in una società patriarcale e contadina (quella che i romantici idealizzano e rimpiangono) in cui una bimba orfana non può che morire di fame, di freddo o di duro lavoro schiavile, perché non esistono istituzioni pubbliche per la protezione e la cura dei deboli;
- poi durante la guerra contro i Giapponesi, quando senza la protezione del clan la sopravvivenza di una bambina e di una madre sono un’ardua scommessa con il destino;
- quindi durante la guerra civile e la rivoluzione maoista, quando sopravvivenza e dignità sono a rischio se non si è preso parte alla rivoluzione, le differenze sociali sono azzerate a viva forza riducendo tutti a livelli di povertà estrema, mentre il Partito cerca di costruire le infrastrutture necessarie all’economia industriale e le prime istituzioni pubbliche per la scuola e l’assistenza;
- infine durante il disgelo e la normalizzazione seguita alla morte di Mao, quando il conformismo, l’arroganza burocratica e la corruzione trionfano, ma si aprono spiragli di benessere e di autonomia, persino per alcune donne.
Attraverso tutte le fasi persistono nella società atteggiamenti prepotenti e spregiativi nei confronti delle donne, nonostante la retorica rivoluzionaria dell’uguaglianza assoluta.
È una storia di donne di straordinario coraggio, di un amore materno capace di smovere le montagne, di grande costante fatica ma anche di momenti di intensa commozione per le meraviglie della natura e delle tracce di storia umana integrate nel paesaggio.
Lascio la parola al bravissimo Francesco Sisci, il maggiore sinologo italiano, che ha scritto l’introduzione ai due volumi:
“Senza parole racconta le storie di persone che si incontrano e si rincontrano – figli, madri, spose, amanti – lungo i cento anni in cui il paese è passato dal medio evo alla fantascienza, senza soluzione di continuità. È un romanzo splendido dai personaggi memorabili, avvincente come un giallo, appassionante e leggero come un poema. Ma in realtà, in questo libro di ‘romanzato’ non c’è niente (…).
Qui ci sono l’ironia, la follia, la stupidità, le contorsioni fra tradimenti incrociati, agenti doppi, tripli, profonde lealtà rovesciate, che hanno segnato l’anima della Cina nel secolo scorso (…).
Nulla si salva, nulla si è salvato in questo secolo passato di Cina. Il paese e la sua gente hanno fatto molti capitomboli su se stessi, distruggendo con ferocia sistematica le tradizioni del passato imperiale, ma poi anche le conquiste della modernità occidentalizzata (…). È la desertificazione dell’anima, prima che della politica o del sistema politico. Zhang Jie la racconta con enorme passione, e per raggiungere questo obbiettivo resta fredda, distaccata, quasi osservasse i movimenti di questi personaggi, che conosce bene e sente profondamente, dall’alto di una montagna. Li racconta con distanza, quasi come se non parlasse di se stessa, sentendo forte la sabbia del deserto che le sta limando l’anima…”
Buona lettura!
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