Nato nel 1977 a Odessa, città che si affaccia sul Mar Nero, in quella che era ancora Unione Sovietica, Ilya Kaminsky, poeta e scrittore di famiglia ebraica, è sordo dall’età di 4 anni a causa di un’infezione mal curata. Non poté avere apparecchi acustici fino all'età di 16 anni, quando approdò in America. Era il 1993: «Quel giorno ho riscoperto il mondo. E non era più il mio».
Racconta:
“Da bambino sordo ho vissuto il mio paese come una nazione senza suono. Ho sentito l'URSS cadere a pezzi, con i miei occhi. Passeggiando per la città, osservavo la gente; le loro orecchie erano sempre aperte, non avevano palpebre. Mi interessava sapere come sarebbero potuti essere i suoni. Il fruscio. Il sibilo. Il fischio. Il suono delle chiavi che girano nella serratura, o l'acqua che si muove attraverso i tubi due piani sopra di noi.
Potevo facilmente notare come le persone intorno a me si parlassero con gli occhi senza rendersene conto. Pensavo, ma se l'intero paese fosse sordo come me? In modo che ogni volta che venivano pronunciati i comandi di un poliziotto nessuno potesse sentire? Mi piaceva immaginarlo. Questi ricordi mi hanno ispirato”.
La scorsa estate La Nave di Teseo ha pubblicato anche in Italia il suo romanzo "Repubblica sorda" ( Death Republic).
È la storia di un paese dilaniato da disordini politici, dove per sedare una protesta i soldati uccidono Petya, ragazzo non udente. Lo sparo assorda tutti gli abitanti: da allora capaci di comunicare solo col linguaggio dei segni.
Le vite private dei cittadini si intrecciano con la violenza pubblica che li circonda: una coppia di sposi novelli, Alfonso e Sonya, in attesa di un figlio, la sfacciata Momma Galya, che istiga l’insurrezione dal suo teatro di burattini, e le ragazze di Galya, che insegnano giorno e notte la lingua dei ribelli, attirando i soldati dietro le quinte per eliminarli uno a uno. Premiato in tutto il mondo, Repubblica sorda è al tempo stesso una storia d’amore, un potente racconto in versi e una sfida aperta al silenzio di tutti noi di fronte alle atrocità del nostro tempo.
L’autore provocatoriamente e con immagini surreali dice: “Così ho scritto un libro per immaginare il rumore del silenzio”. Citazione di Sound of silence, la famosa canzone di Simon & Garfunkel?
"I sordi non credono nel silenzio: è un'invenzione degli udenti, un feticcio religioso o filosofico. Ma i poeti sono consapevoli delle limitazioni della parola. Come insegna Kafka, ogni linguaggio è una povera traduzione dell'animo umano. Senza il silenzio tra un suono e l'altro, la musica sarebbe soltanto rumore".
“Io voglio cambiare le carte in tavola! Voglio immaginare che l'incapacità di sentire sia un valore aggiunto, una nuova forma di stare insieme. Come sarebbe il mondo governato da non udenti? Dopotutto, i sordi non hanno mai iniziato una guerra. Racconto la sordità come minoranza politica, che sprigiona una forza in più. Da bambino era il solo mondo che conoscevo. I segni e la lettura labiale: questa era la mia lingua, non il russo o l'ucraino. I gesti hanno una potenza talvolta più forte delle parole.
Anni fa alcuni scienziati fecero l'esperimento di chiudere in una stanza persone di lingue diverse. Quando riaprirono la porta, ciascuno stava da solo in un angolo, perché non riusciva a comunicare con gli altri. Allora gli scienziati chiusero nella stanza un gruppo di non udenti di diversa nazionalità: sebbene il linguaggio dei segni sia differente da paese a paese, i sordi provavano lo stesso a comunicare, creando un nuovo linguaggio gestuale".
A proposito del linguaggio e del suo scrivere in lingua inglese dice:
"Per un immigrato c'è una particolare bellezza nell'innamorarsi di una lingua straniera: la stranezza dei suoni, la soggezione di una nuova sintassi. Imparare una lingua ha qualcosa di erotico: il modo non familiare in cui torcere la lingua, l'angolazione della bocca, il movimento delle labbra. D'altro canto, ti senti impotente, perduto, confuso. Poi avviene il miracolo. Dalla bocca escono suoni che non sapevi di possedere. Quando ho cominciato a vivere in America, immergendomi nell'inglese, ho perfino cambiato faccia".
Kaminsky fa spesso riferimento ai suoi primi 16 anni di vita Odessa.. Ecco un breve ricordo dell’atmosfera della vita in famiglia e dei suoi pensieri:
“La domenica, i miei genitori e i loro amici si riuniscono al tavolo della cucina, gridando fino a notte fonda: chi è meglio, Akhmatova o Cvetaeva? Che cosa accadrà alle riforme di Gorbaciov? C'è un Dio?
Durante il giorno, madre e padre fanno la fila per il latte e girano con cautela intorno ai loro supervisori sovietici. Ma di notte qualcuno grida sempre: non sono credente! ma credo che ci sia qualcosa di divino in noi!
I grandi dibattiti della mia infanzia coinvolgono sempre bicchierini di vodka al pepe e vodka alla prugna che mio padre porta ai suoi amici su un minuscolo vassoio.
Se c'è una chiesa a cui sono disposto ad iscrivermi, è la Chiesa del tavolo da cucina in via Sovetskaya Militsia 33, appartamento n. 1 a Odessa. È lì che la domenica sera si accalcano intorno a un tavolo e si gridano l'un l'altro: esiste un Dio?
Quattro anni prima del crollo del paese, è l'era delle riforme del proibizionismo di Gorbaciov. L'alcool è impossibile da trovare in URSS, anche se sono troppo giovane per preoccuparmene. Mentre vado in bicicletta da Rodina, qualcuno nella fila degli ubriachi sta gridando con rabbia contro Metchony Mikhail - il loro nome per Gorbaciov, a causa dell'enorme voglia sulla sua fronte – Mikhail il marchiato. Percorro Odessa in bicicletta, solleticato nel vedere una folla di ubriachi sconvolti in fila fuori dalle profumerie. No, non stanno comprando regali per le loro mogli. Bevono qualsiasi cosa, dall'acqua da toilette al cetriolo al costoso profumo Red Moscow: gli uomini non hanno mai avuto un odore migliore nella storia di questa nazione. Ci sono così tanti ubriachi a Odessa e tutti hanno un odore incredibile.
L’alcool non mi interessa, ho 8 anni ( 1985) e ho cose più importanti da fare. Vado in bicicletta fino alla stazione dei treni, dove vedo le persone abbracciarsi e piangere mentre la felicità sale e scende dai treni. Se solo potessimo aprire gli occhi e, nonostante tutto quello che sappiamo, guardare. Se sei come me, sei sempre un bambino di 9 anni che sta fermo, tutto solo eppure non solo, perché guarda!
E in TV, su ogni singolo canale di notizie, vediamo una voglia gigantesca sulla fronte del caro Leader, che brilla come una mappa in miniatura del nostro Paese”.
In un’altra intervista racconta:
“Sono nato in via Sovetskaya Militsia 33, con un cortile dove i bambini litigano sempre. Una volta, ragazzi intelligenti dall'altra parte della strada decisero di vincere la battaglia chiedendoci di risolvere un problema di matematica. Perdemmo miseramente. Da allora, Sovetskaya Militsia 33 è conosciuta nella nostra strada come il Cortile degli Idioti. “Non ascoltarlo”, dicono a scuola. "Viene dal Cortile degli Idioti." E sì, è da lì che vengo.
Ma andiamo piano; ora non sono ancora a scuola. Nell'appartamento n. 1 sopra il Cortile degli Idioti, sono un bambino molto piccolo. Cerco di afferrare tutto ciò che vedo e di spingerlo in bocca. La gamba della sedia, il calzino, persino i trattorini verdi su un poster.
Soprattutto, mi piace la lampada sulla scrivania di mio padre. Per giorni la fisso mentre fingo di prestare attenzione alle storie di mio padre. Per tenermi lì, accende e spegne la luce. Qualcuno per strada potrebbe chiedersi cosa sta succedendo, come se a Odessa venisse inviato un codice segreto. Da qualche parte nel Cortile degli Idioti, la luce è accesa, poi spenta. Accesa. Poi la luce si spegne di nuovo.
La memoria funziona così. Non devi essere d'accordo con me. Dopotutto, sono solo un uomo di un Cortile degli Idioti. Ma ho pagato e ho le ricevute.
Negli ultimi 15 anni sono tornato ad Odessa ogni due estati o giù di lì. L'architettura di Odessa è dimensionata "a misura d'uomo" e c'era un teatro dell'opera prima che ci fosse l'acqua potabile. Odessa ama l'arte e adora fare festa. In estate, enormi gabbie di cocomeri si trovano ad ogni angolo. Li rompi sul marciapiede e li mangi con gli amici.
La città ha un'affinità speciale per la letteratura.Ci sono più monumenti agli scrittori che in qualsiasi altra città abbia mai visitato. Quando hanno finito gli scrittori, hanno iniziato a erigere monumenti per personaggi di fantasia.
La festa più importante a Odessa non è Natale, è il 1 aprile, il pesce d'aprile, che chiamiamo Humorina. Migliaia di persone vengono in strada e celebrano quella che chiamano la giornata dell'umorismo gentile. Tutta l'Ucraina ha senso dell'umorismo: pensa all'uomo che si è offerto di rimorchiare in Russia il carro armato russo che aveva finito il carburante. L'umorismo fa parte della nostra resilienza.
Ho lasciato l'ex Unione Sovietica nel 1993, a 16 anni, e questa è l'età in cui le persone in quella parte del mondo sono abbastanza formate nella loro visione della vita. Naturalmente, posso parlare solo per le persone della mia generazione, quelle che sono cresciute negli anni '90 e sono diventate maggiorenni vedendo il loro paese andare in pezzi e molteplici conflitti etnici divampare lungo tutto il suo perimetro. La guerra comunque in quei posti non se ne è mai veramente andata. Vediamola dal punto di vista della mia famiglia.
Nel 1918, anno in cui è nata la madre di mia madre, la sua famiglia attraversò il confine quasi una mezza dozzina di volte, senza mai lasciare l’appartamento a Odessa. Mese dopo mese, la regione fu invasa da vari reggimenti stranieri: greci, francesi, polacchi, tedeschi, rumeni, britannici, austro-ungarici. Naturalmente, il confine per loro era una lotta perché la città di Odessa era così divisa tra i governi - francese, greco, ucraino, rumeno - che la famiglia aveva bisogno di un permesso di viaggio solo per vedere i cugini nella strada accanto. Sì, attraversare il confine è sempre stata una lotta, ma quell'anno, 1918, fu il confine ad attraversarli”.
Il 31 gennaio del 1918, a seguito dello sfaldamento dell’Impero russo, fu creata la Repubblica Sovietica di Odessa con l’intento di far parte della Russia bolscevica di Pietroburgo. Il 13 marzo del 1918 Odessa fu saccheggiata da Austriaci e Tedeschi e infine annessa alla Repubblica Popolare Ucraina.
Kaminsky continua:
“Mia madre è nata nel 1939. Non c’è bisogno che racconti cosa è successo nel 1939.
Quando ero bambino arrivò una marea di profughi dalla Transnistria. E ora anche gli abitanti di Odessa sono dei rifugiati. La guerra non è mai andata via.
Riguardo al rapporto con la letteratura e la lingua in Ucraìna, sono un ebreo sovietico i cui libri sacri sono Sholem Aleichem e Isaac Babel e Grace Paley Gutzeit ( 1922 – 2007), di famiglia ebraica ucraina, e Isaac Bashevis Singer e Bernard Malamud e grandi poeti ebrei medievali spagnoli e Bialik e Amichai e Kafka e Edmond Jabès, poeta di origine ebraica italiana (1912 – 1991) nato in Egitto (ma dopo la crisi di Suez dovette lasciare il Paese e trasferirsi a Parigi) e molti altri grandi autori ebrei del passato e del presente.
A Odessa l'essere ebrei era, ovviamente, anche una questione di lingua. Il russo di Odessa è una lingua molto influenzata dallo yiddish; è molto diverso dal russo a Mosca o a San Pietroburgo. Comincio da lontano: un giorno, tornato a casa, mi ricordo che sul tavolo della cucina c'era un libro aperto. Il libro era di Isaac Babel, il migliore scrittore di Odessa che ha scritto in quella lingua, un meraviglioso scrittore di racconti. Odessa è una strana parte dell'ex impero sovietico. È una città di lingua russa in Ucraina dove, a quel tempo, la popolazione era composta in gran parte non solo da russi e ucraini, ma da ebrei, moldavi e così via .C’erano ancora alcuni bulgari, alcuni greci. Il mio insegnante di letteratura russa era di origine tedesca. Quindi era una delle pochissime città realmente internazionali nell'impero sovietico, e la lingua che parlavano lì - sebbene sia considerata una città di lingua russa - quella lingua era un po' inventata. Non è esattamente una questione di pronuncia strascicata o lessico dialettale, ma di tutto un linguaggio, per cui se vai al mercato a comprare il formaggio ascolterai nuovi modi di impostare una frase. Ciò che mi interessa è questo tipo di tonalità, questi nuovi registri del discorso. Senti di essere a casa.
Quindi nel momento in cui ho trovato il libro aperto di Babel sul tavolo della cucina, ho guardato la storia che raccontava e ho capito: Oh, questa non è la lingua che la gente parla in TV, questa non è la lingua dei funzionari del governo, non la lingua della burocrazia sovietica, questa è la lingua che i miei genitori parlano tra di loro. Se si pronunciava il paragrafo ad alta voce si sentiva il profumo di casa! Quello, per me, è stato l'inizio del pensare a storie o poesie”.
Questa introduzione serve a tratteggiare le caratteristiche e la sensibilità dell’autore, che si riflettono nei suoi testi poetici.
Nel 2004 Kaminsky pubblicò un libro di poesie intitolato Dancing in Odessa ( tradotto da Giulia Sensi e pubblicato in Italiano da La Nave di Teseo a febbraio del 2023). Si ricollega alla situazione attuale perché può rispecchiare l’atmosfera e le situazioni dell’Ucraina di oggi. Per questo abbiamo tradotto alcune poesie per voi.
LA PREGHIERA DELL’AUTORE
Se voglio dare voce ai morti, io devo liberarmi
di questo mio corpo animale,
io devo scrivere e riscrivere sempre la stessa poesia
perché una pagina vuota è la bandiera bianca della loro resa.
Se io parlo per loro, devo procedere
sul bordo di me stesso, devo vivere come un cieco
che si muove di corsa attraverso stanze senza
sfiorare il mobilio.
Sì, io sono vivo. Io posso andare per strada chiedendo “In che anno siamo?”
Nel sonno posso danzare
e davanti allo specchio ridere.
Persino dormire è una preghiera, Signore,
Io esalterò la tua follia, e
in una lingua non mia, parlerò
della musica che ci risveglia, della musica
in cui ci muoviamo. Poiché tutto ciò che dico
è simile ad una preghiera, e i giorni più bui
io devo commemorare.
DANZANDO IN ODESSA
in una città dove colombe e corvi governavano insieme, le colombe gestivano la piazza principale, e i corvi il mercato. Un bambino sordo contava quanti uccelli c’erano nel cortile dietro la casa del vicino, ottenendo un numero di quattro cifre. Compose il numero e dichiarò il suo amore per la voce all’altro capo del telefono.
Il mio segreto: a quattro anni sono diventato sordo. Quando persi l’udito, iniziai a vedere delle voci. Su un filobus affollato, un uomo con un braccio solo disse che la mia vita sarebbe stata connessa misteriosamente alla storia del mio Paese. Ma il mio Paese non si sa dove sia, i suoi cittadini per indire elezioni, si incontrano in un sogno. L’uomo non me ne descrisse i volti, fece solo qualche nome: Rolando, Aladino, Sinbad.
L’autore dice della sua città oggi:
“Oggi su Odessa, città un tempo sempre in festa, cadono le bombe.
Ma ricordo, qualche anno fa, cosa accadde quando un caffè da me molto amato fu fatto esplodere da un attacco terroristico poco prima che c’incontrassi un amico.
Ero spaventato: ma quell’amico, il poeta ucraino Boris Khersonsky, no. Volle che andassi lì ugualmente. Chiamò altri. Ci radunò davanti alle macerie e si mise a leggere le sue poesie ad alta voce.
Qualcuno portò cibo e bevande. Restammo umani
La lezione è che soprattutto nei giorni più terribili ci sono momenti teneri. E abbiamo il dovere di valorizzarli. Fa parte della resistenza anche quello.
È dalla vita non dalla morte che si riparte”.
MAESTRO
Cos’è la memoria? Ciò che fa brillare un corpo:
un meleto in Moldavia e la scuola è bombardata
quando le scuole vengono bombardate, la tristezza è proibita
− io lo sto scrivendo ora e avverto il peso del mio corpo:
le bambine che urlano, 347 voci
nella storia di un medico che le sta salvando, le sue mani
intrappolate sotto un muro, la sua nipotina che sta morendo lì vicino -
lei sussurra Non voglio morire, ho mangiato queste mele deliziose.
Lui segue la sua bocca come un cieco mentre legge le labbra
e grida: Taci! Sono vicino alla finestra e
sto chiamando aiuto! E parla,
non può smettere di parlare, nel buio:
per calmarle, parla loro di Brahms, di Chopin.
Un dottore, sì, qualunque finestra
incorniciasse la sua vita, là fuori: crescevano pomodori, passavano nuvole e noi un tempo vivevamo;
un dottore con un pappagallo tatuato sul braccio intrappolato,
vedendo che le guance della sua nipotina
non erano più le sue guance, con precisione chirurgica
sutura con sofferenza e grazia:
due giorni passano, lui urla
dalla sua finestra (non c’è nessuna finestra) quando i soccorsi
si avvicinano, e continua a parlare di Chopin, Chopin.
Gli amputano le sue mani, le infermiere dicono che lui “sta andando bene”
− nel mio sogno lui è in piedi, dà del pane ai piccioni, circondato
da piccioni, ha uccelli sulla testa, sulla spalla,
lui grida Voi non capite niente!
Tutto il suo corpo dolente sospira fino ad addormentarsi, la città dorme,
non esiste quella città.
ZIA ROSE
In un’uniforme da soldato, con zoccoli di legno, lei ballava
agli estremi della giornata, mia zia Rose.
Suo marito aveva salvato una donna incinta
dalla casa in fiamme – l’aveva sentita ridere,
la sua piccola storiella quotidiana - in quell’incendio
si era bruciato i genitali. Mia zia Rose
si curava dei bambini degli altri – faceva schioccare la lingua mentre piangevano
e tirava le tende ogni sera di agosto.
L’ho vista, con il gessetto tra le dita,
mentre scriveva su una lavagna vuota,
la sua mano si muoveva ma la lavagna rimaneva vuota.
Vivevamo in una città sul mare ma c’era
un’altra città sul fondo del mare
e solo i bambini del posto credevano nella sua esistenza.
Lei pensava che loro avessero ragione. Aveva appeso il ritratto di suo marito
su un muro nel suo appartamento. Ogni mese
su una parete diversa. La vedo ancora con quel ritratto, un martello
nella mano sinistra, un chiodo in bocca.
Dalla sua bocca, un profumo di aglio orsino –
Lei viene verso di me nel suo pigiama
borbottando con me e con se stessa.
Le sere diventano le mie testimonianze, questa sera
in cui lei immerge le sue mani fino ai gomiti,
la sera in cui si addormenta dentro la sua spalla – la sua spalla
si è arrotondata per dormire.
IL TANGO DI MIA MADRE
Vedo le sue finestre aperte nella pioggia, il bucato alle finestre -
per il mio compleanno lei cavalca un pony selvaggio,
un pony bianco al settimo piano.
“E dove lo terremo?” “Sul balcone!”
il pony che nitrisce per nove settimane sul balcone.
Al centro della mia esistenza: mia madre danza,
sì qui, come nella mia infanzia, mia madre
chiede di descrivere le tappe della mia felicità -
lei parla di minestre, lei è parte integrante del loro racconto:
tra le moltitudini di piattini e tovaglioli,
si muove così veloce, lei è senza sosta
nell’ aprire e chiudere le porte.
Ma cos’era la felicità? Un pony sul balcone!
Il passato di mia madre, una mantellina che indossava sulla sua spalla.
Avevo disegnato un asse lungo il pomeriggio
per vedere lei, sessantenne, mentre corteggiava una lingua straniera –
giovane, non più giovane – mia madre
al galoppo su un pony al settimo piano.
Lei diventa una sconosciuta e poi fa da sola, apre
quel che è chiuso, chiude quel che è aperto.
DANZANDO IN ODESSA
Vivevamo a nord del futuro, i giorni aprivano lettere con la firma di un bambino, un lampone, una pagina di cielo.
Mia nonna lanciava pomodori dal suo balcone, tendeva l'immaginazione come una coperta sulla mia testa. Ho dipinto il viso di mia madre. Lei capiva la solitudine, nascondeva i morti sotto terra come i partigiani.
La notte ci spogliava (ne contavo il ritmo) mia madre ballava, riempiva il passato di pesche, di sformati. A questo punto, il mio dottore rise, la sua nipotina mi toccò la palpebra, io le baciai
la parte posteriore del ginocchio. La città tremò, una nave fantasma stava per salpare. E un mio compagno di classe aveva inventato venti nomi per la parola ebreo. Lui era un angelo, non aveva un nome, abbiamo lottato, sì. I miei nonni sui trattori
combatterono i carri armati Tedeschi, io tenevo pronta una valigia piena di poesie di Brodsky. La città tremò, una nave fantasma stava per salpare. Di notte, io mi sono svegliato per sussurrare: sì, abbiamo vissuto. Abbiamo vissuto, sì, non dire che era un sogno.
Alla fabbrica locale, mio padre prese una manciata di neve, me la mise in bocca. Il sole iniziò una narrazione di routine,
imbiancando i loro corpi: mia madre, mio padre che danzavano, muovendosi come se l'oscurità si nascondesse dietro di loro. Era Aprile. Il sole lavava i balconi, Aprile.
Io ripeto la storia che la luce mi incide sulla mano: Libriccino, vai in città senza di me.
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