In Africa la Cina ha cambiato la politica d’investimento. Ora sta sviluppando piccoli investimenti diretti su progetti strategici come l'energia rinnovabile e le comunicazioni, ma nel 2013 aveva inaugurato la Belt and Road Initiative (BRI) con enormi prestiti per giganteschi progetti infrastrutturali. Molti di quei progetti non sono stati completati o sono stati ostacolati da aumenti dei costi, mancato rimborso dei debiti o cattivi risultati delle prime opere.
L'obiettivo della Cina in Africa è stabilire relazioni commerciali favorevoli e creare una solida catena di rifornimento di risorse naturali. Relazioni politiche cordiali con i destinatari della BRI dovrebbero garantire la sicurezza della catena di approvvigionamento e l'estrazione di minerali a basso costo con pagamento di royalty ridotte. Nel 2009 la Cina ha superato gli Stati Uniti come primo partner commerciale per l'Africa, oggi è seconda soltanto all'UE.
Il capitale cinese affluisce in Africa sotto forma di investimenti diretti in singole attività economiche o di prestiti ai governi e alle banche. Negli ultimi anni Pechino si concentra sull'acquisto di azioni in progetti minerari, sul finanziamento di piccoli progetti di generazione di energia, sulla costruzione di reti Internet e di comunicazione e sulla modernizzazione delle strutture di governo degli stati. I progetti di energia rinnovabile sono spesso redditizi a breve termine e generano benevolenza presso i partiti al potere, così come gli investimenti negli edifici governativi.
La Cina ha capito che può accedere ai minerali, al petrolio e al gas del continente senza gli enormi investimenti che pensava fossero necessari. I politici africani, grati per l'investimento cinese e per i termini di partnership, garantiscono comunque condizioni molto favorevoli alle compagnie minerarie cinesi.
I prestiti cinesi all’Africa hanno raggiunto il picco nel 2016, poi hanno cessato di crescere anno su anno. La Cina ha avuto difficoltà a recuperare gran parte del debito bilaterale e si è mostrata generalmente molto accomodante nel concedere dilazioni di pagamento per le economie emergenti, suscitando molta simpatia nei beneficiati. Inadempiente sui rimborsi è lo Zambia; Ghana, Nigeria, Kenya ed Egitto sono ad alto rischio di default. Sono paesi che debbono destinare più di un terzo delle entrate soltanto a pagare gli interessi sul debito.
Alcuni paesi però mettono in dubbio le condizioni negoziate sui finanziamenti per grandi progetti infrastrutturali. La Repubblica Democratica del Congo vorrebbe rivalutare le sue concessioni minerarie a Pechino, la Nigeria accusa la Cina di sfruttamento e chiede la riduzione dei tassi di interesse. Il debito della Nigeria nei confronti della Cina rappresenta ben l'84% del suo intero debito bilaterale.
La Cina si è già affermata nel mercato africano. In Zimbabwe si è assicurata importanti diritti di estrazione del litio senza finanziare grandi progetti infrastrutturali. Lo Zimbabwe ha nazionalizzato la lavorazione e la raffinazione per mantenerla sul proprio territorio, ma le uniche società con raffinerie di litio nello Zimbabwe sono di proprietà cinese. La Cina sta subentrando alla Francese Total nella costruzione dell’oleodotto fra l’Uganda e l’Africa orientale. Non sta invece mantenendo i finanziamenti inizialmente promessi all’Uganda, al Kenia e alla Nigeria per la costruzione di ferrovie a scartamento normale.
I progetti infrastrutturali più piccoli sono visti come investimenti a lungo termine e non come prestiti per lo sviluppo. Molti sono progetti di energia verde su piccola scala, tra cui energia idroelettrica e parchi solari ed eolici. Ad esempio, una joint venture namibiana-cinese ha firmato un accordo del valore di 100 milioni di dollari per sviluppare una centrale eolica da 50 megawatt. Tali iniziative sono viste come più sostenibili e in definitiva più redditizie delle massicce centrali idroelettriche e a carbone su cui puntavano in precedenza i Cinesi.
Gli investimenti cinesi in Africa sono diretti anche alle sedi del potere politico. Pechino è stata coinvolta nella costruzione o ristrutturazione degli edifici del parlamento e di altre strutture ufficiali in molti paesi, inclusa la sede dell'Unione Africana ad Addis Abeba.
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