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Il 23 maggio 2023 torna un articolo di George Friedman su Geopolitical Futures, dopo un lungo periodo di silenzio (The Next Phase in the China-US Confrontation). Più che l’analisi di un esperto, è l’opinione/previsione di un saggio che ha imparato a capire il pensiero e i comportamenti di chi ha responsabilità di governo ai massimi livelli. È questo a rendere così interessanti i suoi articoli.
In questo articolo Friedman sostiene che il G7 a Hiroshima ha posto la pietra tombale sulla strategia di difesa della Cina sui suoi mari, perché ora tutti i paesi che si frappongono fra quei mari e l’Oceano sono coalizzati contro un’eventuale offensiva cinese. Rimane da firmare l’accordo formale con Papua-New Guinea, che verrà sicuramente firmato al più presto. Ora è bene che gli Stati Uniti non calchino la mano e non spaventino la Cina più del necessario. Infatti Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Biden, ha già invitato i Cinesi a un incontro. È chiaramente un gesto distensivo.
Il focus del confronto questa settimana si è spostato dagli aspetti militari a quelli economici, che per la Cina sono ancora più importanti. Secondo Friedman la Cina è consapevole della propria inferiorità militare nei combattimenti sul mare e nei cieli e molto difficilmente giungerà a sferrare attacchi. I paesi che si affacciano sul Mar Cinese meridionale hanno potenti attrezzature difensive e difficilmente gli strateghi cinesi commetteranno l’errore di attaccare per primi. L’opinione pubblica tende a sottovalutare l’importanza delle capacità difensive e sopravvaluta le capacità di attacco, ma gli strateghi militari evitano questo errore, anche se non sempre hanno il coraggio di opporsi alla volontà dei capi politici (come nel caso dell’attacco russo all’Ucraina). A preoccupare Pechino è soprattutto il possibile decoupling, cioè il rapido venir meno dei rapporti commerciali con gli USA e i suoi alleati, che hanno offerto il contesto in cui la Cina ha potuto sviluppare il suo miracolo economico e tecnologico, soprattutto a partire dal 1992. Ma prima la pandemia e poi la decisione americana di bloccare l’accesso della Cina a tecnologie e beni d’importanza strategica ha chiuso le condizioni per un ulteriore rapido sviluppo cinese. Ora perciò l’obbiettivo del governo cinese è arrivare a concordare che cosa le parti intendono come tecnologia o prodotto di valore strategico, perché ovviamente tutto può aver valore strategico.
Se i Cinesi dovessero capire che le loro prospettive di miglioramento delle condizion di vita sono bloccate, sarebbe a rischio la stabilità interna della Cina. Secondo Friedman negli scorsi mesi la Cina già ha preso misure forti contro la possibile sollevazione di parti della popolazione delle regioni periferiche. Il governo cinese può celebrare i successi del recente passato, ma se non potrà celebrare successi futuri dovrà ricorrere alla retorica della difesa della nazione per non rischiare rivolte. Se i rivali si armano e mostrano i denti, significa che la Cina fa paura, se fa paura significa che ha successo: questa sarà la retorica del governo cinese per mantenere il sostegno dell’opinione pubblica ed evitare che la paura dei vicini venga invece vista come un fallimento strategico.
Muovere guerra apre sempre la porta alla possibilità di sconfitta. L’invasione dell’Ucraina non fa che ribadire questo concetto. La Cina eviterà lo stesso errore, ora più che mai, e cercherà un sostanziale accordo con l’Occidente. Gli USA non vogliono uno scontro armato con la Cina, ma vogliono allontanare il pericolo che i Cinesi mettano a rischio la loro egemonia militare sul Pacifico. A questo punto gli USA possono permettersi un basso profilo, un atteggiamento conciliante, perché sono evidentemente in posizione di forza, mentre i Cinesi hanno bisogno di far la voce grossa per mantenere il consenso all’interno. Lasciamogliela fare, dice Friedman, se serve a raggiungere accordi soddisfacenti per entrambe le parti.
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