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Ogni gruppo umano (famiglia, tribù, nazione, stato) è tale perché condivide le risorse necessarie per vivere. Le risorse sono legate al territorio, perciò i gruppi umani convivono, almeno all’origine, sullo stesso territorio, che considerano ‘proprio’ anche se sono nomadi. La casa o la patria è per ogni gruppo umano, piccolo o grande, quel punto della terra a cui gli individui del gruppo tornano, o sognano di tornare, quando hanno bisogno di sicurezza e solidarietà. Figli, fratelli e nipoti tornano alla casa dei nonni e dei genitori in caso di pericolo, molti migranti tornano al paese d’origine in vecchiaia. Ogni diaspora si lascia aperta la speranza di ritorno. La casa o la patria sono il luogo della sicurezza, fisica ed emotiva. Ma il luogo della sicurezza ha evidentemente limiti, cioè confini. Casa mia è circondata da altre case, il mio paese è circondato da altri paesi.
I conflitti sono possibili, sono anzi frequenti, ma gli esseri umani si rendono conto che se anziché farsi guerra i gruppi confinanti cooperano e si scambiano conoscenze, risorse e servizi, tutti vivono meglio e godono di maggiore sicurezza. In teoria è cosi, in pratica non sempre è così, perché i gruppi umani non sono realtà statiche, né hanno pari rapporto di risorse e di forze fra loro. La demografia evolve, evolve la tecnologia, rafforzando e ingrandendo in modo più impetuoso alcuni gruppi, che tendono perciò ad espandersi per trovare più risorse, a scapito dei gruppi meno forti. Ma l’espansione fa aumentare anche il bisogno di sicurezza per difendere così tante risorse e così tante vite. Perciò i gruppi più grandi e più ricchi cercano di aumentare ulteriormente il proprio potere, estendendo la loro egemonia attorno a sé in un raggio sempre più vasto, perché hanno troppo da perdere, molto più dei loro vicini più piccoli. I gruppi più piccoli non soltanto diventano molto più aggressivi perché hanno più paura, ma cercano anche alleati in altri gruppi minori della stessa regione, per avere più potere nei confronti del gruppo egemone e ristabilire in qualche modo un equilibrio. Ma in che cosa consiste il potere?
Il potere ha quattro componenti essenziali: quello economico (tante risorse sul territorio), quello fisico (confini facilmente difendibili dagli assalti), quello demografico (tanti militari e tanti lavoratori), quello intellettuale (tecnologia, conoscenza, organizzazione).
Ai pericoli che provengono da altri gruppi organizzati si sommano due pericoli di altra origine:
Fi dai tempi antichissimi i gruppi umani si sono dati come strumento di gestione di questi due pericoli la religione. La religione ‘lega’ gli uomini fra di loro e al territorio comune, attraverso l’omaggio a forze soprannaturali che si crede governino il territorio e abbiano dato un’origine unica alla popolazione che lo abita: dèi, semidèi, eroi assunti nell’Olimpo delle divinità che si ritiene esercitino la loro potenza sul territorio. Con i riti in onore di questi dèi i membri del gruppo ribadiscono a scadenze fisse la propria appartenenza a una sola stirpe originata da qualche eroico semidio e invocano l’aiuto divino contro le catastrofi naturali e contro i nemici. La religione costituisce anche la base della legge, che ribadisce e rafforza quel legame originario.
Alle quattro componenti del potere se ne aggiunge così un’altra: la componente ideologica, che è sia base del diritto di appartenere al gruppo, sia base della fiducia del gruppo in se stesso. Le guerre vengono tradizionalmente condotte sotto l’egida delle divinità che rappresentano i gruppi. Il gruppo che trionfa dichiara i propri dèi superiori a quelli dei nemici sconfitti, mentre i nemici sconfitti sono costretti ad accettare la supremazia degli dèi vincitori, insieme alle loro leggi.
Lo sviluppo di visioni monoteiste però ha messo in crisi l’originaria funzione politico-sociale della religione: se un solo dio ha originato la natura e la vita e governa l’universo, perché permette catastrofi e sofferenze, assassinio e ferocia fra le sue creature? Che razza di dio è? La riposta data dai monoteismi è la negazione del monoteismo stesso, ma è l’unica che l’uomo ha saputo trovare: Dio, buono giusto e perfetto, ha un antagonista (che a rigor di logica deve essersi dato da sé): Satana, dio del male e dell’ingiustizia. Gli esseri umani, benchè creati da Dio, possono scegliere di diventare seguaci di Satana. In questo caso sono malvagi e possono essere scacciati e combattuti dai buoni. Anzi, i ‘buoni’ hanno il dovere morale di sottomettere oppure uccidere tutti i ‘cattivi’ (vedasi il dossier Il millenarismo politico https://www.fondazionecdf.it/index.php?module=site&method=det_dossier&id=51)
Ma come distinguere i ‘buoni’ dai ‘cattivi’, se tutti ritengono di aver ragione e di seguire la volontà di uno stesso dio?
Alcuni gruppi monoteisti adottarono alcuni scritti come testi sacri, di ispirazione divina, e a quei testi ancora oggi ispirano leggi e comportamenti. Gli interpreti dei testi sacri, che siano sacerdoti o giureconsulti, indicano chi sono i ‘buoni’ che osservano la legge divina e chi sono i ‘cattivi’ che la rinnegano e sono da considerare seguaci di Satana. ‘Buoni’ e ‘cattivi’ sono da distinguere non soltanto fuori del gruppo, ma anche all’interno del gruppo stesso, il che fa crescere grandemente il rischio di guerre civili.
Ebraismo, Cristianesimo e Islam, i tre monoteismi strettamente imparentati fra loro, hanno testi sacri − alcuni in comune, alcuni diversi − che si ritiene contengano verità rivelate. Ebrei, Cristiani e Islamici hanno sempre condotto guerre presentate come scontri fra le forze del Bene e le forze del Male. Presso di loro anche la competizione politica interna ai singoli stati assume per larga parte dell’opinione pubblica la veste di lotta fra il Bene e il Male.
Gli Ebrei furono i primi che, perso ogni potere territoriale e politico e vivendo sparsi nel mondo in piccoli gruppi, lasciarono ai fedeli il diritto di interpretare i testi sacri e perciò anche il diritto di valutare in proprio chi sono i buoni e chi i cattivi. L’ebraismo divenne una fede privata e laica, senza sacerdoti, liberamente interpretabile, a cominciare dal secondo secolo d.C.
Le religioni orientali, pur se universaliste, sono rimaste fondamentalmente agnostiche rispetto alla natura e alle leggi dell’unico dio: non hanno verità rivelate, seguono codici di comportamento personale e sociale ispirati al pensiero di grandi saggi. Budda o Confucio furono grandi pensatori, non dèi e neppure profeti di dio. I templi buddisti, taoisti o shintoisti si ispirano a filosofie morali e sociali specifiche di ogni singola scuola di pensiero, ma in ogni regione presentano altari e riti diversi, perché hanno accomodato all’interno anche i culti degli antichi dèi locali, simboli delle forze della natura, nonché i culti degli antenati. Questi culti locali non confliggono con la visione monoteistica delle grandi filosofie orientali, divenute fedi condivise. Le tradizioni buddiste, shintoiste, taoiste ritengono che il potere politico e sociale sia conferito ad alcune dinastie imperiali dal dio più potente, il Dio del sole, che nelle diverse mitologie assume nomi diversi. L’obiettivo del potere dinastico è mantenere l’ordine e l’armonia su tutto il territorio e fra tutte le componenti sociali. Se ci riesce significa che il suo potere è giusto, se non ci riesce e perde il potere significa che si trattava di una dinastia usurpatrice. Se l’imperatore conduce guerre contro i nemici e le vince, significa che il suo potere è doppiamente legittimato in terra e in cielo. Dunque chi vince è sempre legittimato − al di là di ogni altra legge − anche dagli storici delle generazioni successive, anche se sotto quel potere la popolazione ha patito grandi sofferenze. Si pensi all’esempio recente di Mao Ze Dong in Cina, dove il Partito Comunista è visto come una nuova dinastia imperiale, il cui fondatore non può essere criticato finché il Partito è potere (grazie ai profondi cambiamenti delle sue politiche), non soltanto per paura, ma perché il potere che perdura viene considerato automaticamente legittimo.
Gli Islamici sono rimasti largamente legati alla volontà divina, così come rivelata al profeta Maometto, e da secoli si uccidono fra di loro per decidere chi ha diritto ad interpretare quelle volontà e dunque a detenere il potere sul territorio e sulla popolazione. Il mondo arabo e la regione dal Medio Oriente all’Afghanistan sono ancora abitualmente travagliati da guerre civili e da guerre regionali per lo più giustificate con il dovere di condurre la ‘guerra santa’ contro i miscredenti e gli usurpatori (vedasi il dossier Mondo Arabo https://www.fondazionecdf.it/index.php?module=site&method=det_dossier&id=22).
I Cristiani in Europa hanno cercato di superare le devastanti guerre di religione dalla seconda metà del XVII secolo in poi, distinguendo e separando politica, diritto e religione e creando sistemi istituzionali laici, con equilibrio di poteri all’interno e ricerca di equilibrio di poteri a livello continentale. La libertà di pensiero e di iniziativa concessa dalle istituzioni laiche, unita alla posizione dell’Europa nel globo, che spinge le sue popolazioni all’esplorazione via mare e ai commerci ad ampio raggio, hanno reso gli Europei tecnologicamente avanzati, economicamente forti, demograficamente dominanti fino all'inizio del 1900. Dal 1600 fino al 1945 il mondo è stato dominato da imperi europei: prima da quelli di Spagna e Portogallo, poi dagli imperi inglese, olandese, francese, russo, tedesco…fino a che le guerre fra imperi europei hanno portato alle guerre mondiali del XX secolo e alla fine dell’egemonia europea sugli altri continenti.
Su quale base ideologica si sono basati gli imperi europei per giustificare guerre di conquista e per mantenere la coesione interna, dopo aver formalmente rinunciato all’ideologia religiosa della guerra dei figli di Dio contro i figli di Satana? Per un paio di secoli hanno adottato ideologie nazionaliste e/o razziali rivestendole però di una forte carica messianica, cioè identificando i nemici non soltanto come rivali pericolosi e aggressivi, ma come esseri malvagi da combattere e distruggere in nome della morale e delle forme più elementari di giustizia. L’abitudine a interpretare i conflitti per il potere e la sicurezza come lotta fra il Bene e il Male non si è persa con la laicizzazione delle istituzioni (si veda il dossier Razzismo https://www.fondazionecdf.it/index.php?module=site&method=det_dossier&id=70).
Molto interessante è stato il tentativo di creare la prima grande ideologia messianica (per il trionfo della giustizia) universale e laica, mirata alla liberazione dei lavoratori ‘servi’ dallo sfruttamento, potenzialmente capace di estendere l’egemonia europea al globo intero, superando le divisioni territoriali e quelle su base storica e culturale, incluse le differenze di religione: il comunismo. Ma il comunismo è fallito perché non dava né chiedeva alle classi dirigenti nessuna forma di legittimità riconosciuta, dunque per mantenersi al potere i leader ricorrevano alla repressione e alla guerra civile costante, quasi istituzionalizzata. Per sopravvivere il comunismo divenne fin dalla sua prima ascesa al potere un regime distruttivo e repressivo anziché creativo e progressista. Per motivare la popolazione a combattere la Seconda guerra mondiale e vincerla, accettando enormi sacrifici, Stalin dovette ricorrere all’antico nazionalismo russo e all’attaccamento tradizionale dei contadini alla terra, rivalutando temporaneamente persino il ruolo della religione e accantonando per tutta a durata della guerra l’ideologia comunista. A quel punto gli osservatori più acuti capirono che il comunismo non poteva sopravvivere a lungo. Sopravvisse durante la lunga Guerra fredda fra Occidente e Unione sovietica, che però ebbe chiari vincitori fin dall’inizio. La Guerra fredda fornì una utilissima motivazione ideologica per unire sotto l’egemonia americana tutto l’Occidente, promuovendone lo sviluppo. La Guerra fredda e il ventennio successivo verranno probabilmente ricordati per secoli come il periodo più pacifico e più produttivo nella storia dell’umanità.
Alla fine della Guerra fredda l’Occidente vincitore si abbandonò all’illusione che, sconfitte le ideologie messianiche e rivelata al mondo la forza delle democrazie liberali, per avviare un nuovo periodo storico pacifico, basato sulla collaborazione globale, bastasse creare istituzioni globali laiche che creassero le regole necessarie perché tutti gli esseri umani partecipassero alla corsa allo sviluppo economico, tecnologico, culturale. Fra il 1990 e il 2000 le istituzioni di base o vennero create ex novo (WTO od organizzazione mondiale del commercio, l’Unione Europea, la Corte di giustizia internazionale) o vennero rafforzate e ampliate (Banca Mondiale, Fondo monetario Internazionale) e iniziarono a funzionare. Fu una grande magnifica illusione, ma durò poco. Nell’arco di soli 13 anni, dal 2001 al 2014
- dal mondo islamico venne lanciata la sfida l’11 settembre del 2001, cui seguì una lunghissima guerra in Afghanistan e Iraq; poi scoppiarono rivolte in tutti i paesi arabi, da cui sgorgarono interminabili guerre civili;
- gonfiò a dismisura e poi scoppiò (2008) il sistema finanziario internazionale, che era stato sviluppato per funzionare nella realtà storica precedente, sotto l’occhio vigile del potere egemone, non per funzionare in un ambiente globale privo di meccanismi di controllo e di verifica, davvero indipendente da qualunque potere politico;
- la Cina, per decenni la maggiore beneficiaria dell’apertura dell’Occidente al globalismo, lanciò apertamente la sfida al sistema finanziario americano e al sistema economico e commerciale in cui gli USA erano ancora egemoni;
- la Russia avanzò in Georgia e riannesse la Crimea, quasi senza suscitare reazioni internazionali, e si convinse di poter espandere ulteriormente la sua egemonia sui paesi limitrofi con mezzi militari, senza reazioni negative da parte di altre potenze.
Negli anni ’90 l’Occidente cercò anche di sviluppare una ideologia che potesse sostenere la cooperazione globale basata su regole comuni, superando le altre divisioni culturali ed ideologiche, e puntò sull’ambiente, sul salvataggio del pianeta dai rischi di inquinamento e di esaurimento della biodiversità, con conseguenti possibili carestie. L’allora senatore USA John Kerry diede il primo grande impulso alla campagna negli anni ’90. La campagna vene portata avanti da sempre più vasti gruppi di comunicatori e di studiosi, ma divenne un ampio movimento di opinione a livello internazionale soltanto attorno al 2015 e quasi soltanto nella parte più ricca del mondo occidentale. Il resto del mondo è ancora ben lontano dal preoccuparsi per l’ambiente a livello globale.
(si veda il dossier XXI secolo, tutta un’altra storia https://www.fondazionecdf.it/index.php?module=site&method=det_dossier&id=103 )
Oggi ci ritroviamo in un sistema di potere globale che gli ottimisti definiscono ‘multipolare’, i pessimisti ‘in via di disfacimento’, in tutti i suoi aspetti sostanziali:
Che si veda il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, rimane il fatto che l’Europa non ha più confini sicuri (e non sa neppure dove e come fissare i propri confini), non ha una propria organizzazione di difesa, ha perso ogni competitività nelle nuove tecnologie. È vulnerabile. Le ex colonie europee in Africa, rimaste economicamente e culturalmente legate all’Europa fino a venti anni fa, ora cacciano gli Europei e collaborano con Russi, Iraniani e Cinesi – anche militarmente. Gli USA stanno concentrando le forze sulla competizione con la Cina attraverso l’Oceano pacifico e sullo sviluppo di partnership economiche e militari con l’India, a scapito degli investimenti economici e militari in Europa e in Medio Oriente. I precedenti equilibri di potere stanno saltando, soprattutto nelle regioni che si affacciano sul Mediterraneo orientale, sul Mar Nero e sul Mar Rosso, dove si riattivano tutte le forze ostili all’Occidente, nella speranza di allargare la propria egemonia.
Lo stato di incertezza e la consapevolezza del declino rende più accanita la competizione politica all’interno delle società democratiche occidentali in questo periodo, radicalizzandola. La competizione politica negli USA ha quasi assunto i tratti della guerra civile alla fine della presidenza Trump. Le maggioranze politiche dei principali paesi europei sono fragili e cambiano repentinamente in modi imprevisti (si pensi alla sorpresa del Brexit), gli animi sono accesi, tutte le vecchie ideologie già tramontate tornano ad essere rispolverate e strumentalizzate, dal nazionalismo al razzismo al comunismo.
Da qualche anno gli USA hanno elaborato una nuova visione strategica per raggiungere un nuovo equilibrio di potere globale che metta al sicuro l’Occidente, pur senza mettere a repentaglio la globalizzazione economica e tecnologica. Occorre mettere in sicurezza l’Europa dagli Urali al Mediterraneo, nonché lo stretto di Suez e il Mar Rosso, mentre si prova a ricostituire un’area di scambi e cooperazione privilegiata attraverso l’Atlantico e il Pacifico e contenere la Cina e la Russia, ma evitando che Russia e Cina si coalizzino in una alleanza strategica che porterebbe inevitabilmente a una nuova guerra mondiale.
La messa in sicurezza dell'Europa dal Mediterraneo agli Urali è oggi la questione più urgente, ma sarà molto difficile realizzarla, perché coinvolge a fondo il Medio Oriente, che da 120 anni è l’area più instabile del globo. Perché il Medio Oriente sia instabile cerchiamo di raccontarlo in ‘La più succinta storia del Medio Oriente mai scritta' (https://www.fondazionecdf.it/index.php?module=site&method=article&id=4349).
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