L’Egitto, preso nell’incrocio di fuoco

08/06/2024

Da un articolo di Kamran Bokhari per Geopolitical Futures, 30 maggio 2024

 

Il 27 maggio una guardia di frontiera egiziana è stata colpita mortalmente al valico di Rafah, tra l’Egitto e la Striscia di Gaza, dopo aver aperto il fuoco contro un veicolo blindato che trasportava truppe israeliane. Sebbene il bilancio delle vittime sia esiguo se paragonato alla campagna militare in corso, l’incidente rappresenta forse l’escalation più pericolosa del conflitto, anche se né l’Egitto né Israele hanno interesse a farsi guerra. Non sono in gioco soltanto le relazioni tra Egitto e Israele, ma la stabilità dell’Egitto stesso e, per estensione, la sicurezza della regione.

 

Le relazioni israelo-egiziane non sono mai state molto amichevoli; i due Paesi hanno combattuto guerre formali nel 1948, 1956, 1967 e 1973. Ma il trattato di pace del 1978, mediato dagli Stati Uniti, ha posto fine a decenni di ostilità e ha resistito alla prova del tempo, superando diverse crisi regionali. Tuttavia la pace ha avuto un costo. Per anni il Cairo è stato un pariah nel mondo arabo perché accusato di aver abbandonato la causa palestinese. Ad appena tre anni dalla firma del trattato il presidente egiziano Anwar Sadat fu assassinato da un gruppo di soldati che lo consideravano un traditore. L’appartenenza dell’Egitto alla Lega Araba fu sospesa fino al 1989.

Pochi anni più tardi, nel 1993, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e Israele firmarono gli accordi di Oslo, seguiti un anno dopo dal trattato Israele-Giordania, mentre gli egiziani diventavano i pionieri della pace arabo-israeliana. Ma nell’anno 2000, quando gli israeliani e i palestinesi si avviarono ai negoziati sullo status finale – che avrebbero potuto culminare nella creazione di uno Stato palestinese – le forze islamiste di Hezbollah e Hamas avevano ormai guadagnato popolarità rispetto alle forze nazionaliste arabe, e silurarono gli sforzi di pace. Il Cairo capì che poteva fare ben poco per frenare Hezbollah e che il Levante stava rapidamente entrando nella sfera di influenza dell’Iran e della teocrazia.

Agli occhi dell’Egitto Hamas ha la responsabilità di aver rafforzato la destra israeliana. Il Cairo non è mai stato entusiasta della creazione di uno stato palestinese, che avrebbe potuto compromettere la sicurezza nazionale dell’Egitto, ma considerava ancora più pericolosa l’instabilità costante e continua. L’OLP guidata da Fatah, ormai non più dominante, venne allora seriamente sfidata da Hamas, che reintrodusse la lotta armata nello scenario palestinese. Nel 2004 il leader dell’OLP Yasser Arafat morì, l’OLP si indebolì e il movimento palestinese si frammentò. Un anno dopo, la neonata Autorità palestinese tenne le sue seconde elezioni legislative. Hamas conquistò 74 dei 132 seggi del Consiglio legislativo. Per l’Egitto si trattò di un punto di svolta importante, come per i territori palestinesi. Il Cairo si trovava bloccato tra Israele e Hamas, la cui roccaforte si trovava ora proprio al confine. Hamas non era solo un problema esterno che poteva minare la pace tra Egitto e Israele. In quanto emanazione dei Fratelli Musulmani, fondati in Egitto, Hamas aveva legami organici con un massiccio movimento di opposizione egiziano – era perciò un problema politico interno. La situazione si aggravò nel 2007, quando l’ala militare di Hamas conquistò il controllo di Gaza.

Nel 2011, durante le rivolte della primavera araba, il presidente Hosni Mubarak, che aveva guidato l’Egitto praticamente dalla morte di Sadat, venne estromesso e successivamente sostituito da un candidato dei Fratelli Musulmani. I militari ripresero il potere nel 2013 e insediarono come presidente Abdel-Fattah El-Sisi, ponendo fine al pericolo che i Fratelli Mussulmani prendessero il controllo dell’Egitto. Il Cairo da allora collabora con Israele per imporre il blocco alla Striscia di Gaza, al fine di costringere Hamas a negoziare con Fatah. D’altra parte però l’Egitto collabora con Hamas per ottenere il cessate il fuoco ogni volta che Hamas attacca militarmente Israele (2008-09, 2012, 2014 e 2021). Per circa 15 anni l’Egitto ha mantenuto una parvenza di ordine nel caos che si scatenava a Gaza.

Quando Hamas ha attaccato Israele il 7 ottobre, trasformando Gaza in una terra desolata, la situazione dell’Egitto è diventata insostenibile. Sottoposto a forti pressioni per mediare un cessate il fuoco, il Cairo coinvolge gli Stati Uniti e il Qatar (che offre rifugio alla leadership centrale di Hamas) nelle trattative. Ma il governo di El-Sisi, che ha ottenuto un terzo mandato lo scorso dicembre, ha gravi problemi economici e fatica a mantenere l’ordine interno. In parole povere, la morte di un soldato per mano di Israele, sommata alla precarietà della situazione socio-economica e alla presenza di un conflitto alla frontiera, è un grosso rischio per la stabilità dell’Egitto.

 

Non è chiaro cosa abbia spinto il soldato egiziano ad aprire il fuoco contro le truppe israeliane, ma è chiaro che il futuro di Gaza è fonte di profonda incertezza per l’Egitto, che non vuole essere responsabile della sicurezza in una Gaza postbellica, temendo il peggio. Perciò ha rifiutato la proposta israeliana di dislocare una forza araba in quella zona fino a quando non sarà operativa un’amministrazione palestinese. Il Cairo però non può neppure accettare una perdurante occupazione israeliana di Gaza. L’amministrazione Biden sta valutando la possibilità di nominare un funzionario statunitense come consigliere civile a Gaza, che assuma un ruolo di primo piano nel sollevare Gaza dal caos e dalla disperazione.

La strada per la fine delle ostilità appare ancora lunga e incerta e per l’Egitto molte cose potrebbero franare improvvisamente, prima di arrivare al traguardo

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