Lezione di Haviv Rettig Gur per un gruppo di studenti e docenti americani ebrei presso lo Shalem Center di Gerusalemme, 27 dicembre 2023.
Haviv Rettig Gur è analista del Times of Israel, è stato corrispondente da oltre 20 diversi paesi del mondo, nonché responsabile della comunicazione per l’Agenzia Ebraica. Dopo i saluti ed i ringraziamenti, Haviv inizia la lezione dichiarandone il contenuto: dapprima spiegare chi sono gli ebrei americani, quindi chi sono gli ebrei d’Israele, per poi spiegare, in una lezione successiva, come i palestinesi vedono gli ebrei. Poiché la lezione è molto densa e lunga, per tradurla (e pubblicare la traduzione come testo) l’abbiamo divisa in due parti: la prima narra l’esperienza specifica degli ebrei americani, la seconda l’esperienza specifica degli ebrei israeliani.
Parte prima: piano della lezione e l’esperienza specifica degli ebrei americani
Prima di parlare del conflitto con i palestinesi, dobbiamo parlare della loro visione degli ebrei, soprattutto degli ebrei israeliani. La loro visione o interpretazione è vecchia di cent’anni, seria profonda e ponderata – non stupida né superficiale – ma errata. Errata non rispetto alla mia o alla vostra interpretazione, ma errata come diagnosi. Non intendo dire che la mia interpretazione è più corretta della loro perché più aderente alla realtà degli eventi. Non servirebbe a niente. È che loro pensano di me cose che non fanno parte del mio vissuto, pretendono di conoscere il mio vissuto e la mia psicologia, ma il mio vissuto e la mia psicologia non sono affatto quelli! E sull’altare della loro interpretazione hanno rovinato la loro stessa causa.
Prima di dirvi che cosa i palestinesi fraintendono a proposito degli israeliani, voglio dirvi chi sono gli israeliani. Partirò anzi dal dire chi siete voi americani (presumo siate tutti americani), per differenza mostrare chi siamo noi (israeliani), per poi capire chi siamo secondo i palestinesi, quale è la cosa basilare che non riescono a vedere in noi e perché questa incomprensione è da 100 anni al cuore del conflitto.
Dunque ora io, israeliano, dirò a voi, americani, chi sono gli americani. Non tutti hanno tale privilegio! Gli israeliani sono gli ebrei della storia, voi no. Non offendetevi, sto soltanto cercando di essere onesto.
Iniziamo con l’immagine di bambini uccisi: non è una bella scena, mi spiace. Un po’ di storia: la nostra storia comune (presumendo siate tutti ebrei in quest’aula). Nel 1881 il gruppo anarchico ‘la mano nera’ (bel nome per un gruppo anarchico, ve lo consiglio) assassinò lo Zar Alessandro II, che aveva riformato l’Impero. Nel 1861 aveva abolito la schiavitù della gleba, stava per istituire un parlamento, ma lo assassinarono. Salì al trono il figlio Alessandro III, che non amava il padre. Ai suoi occhi il fatto che il padre si fosse risposato subito dopo la morte della moglie era stata un’offesa alla memoria della madre.
Alessandro pensa che il padre sia stato assassinato per le sue riforme e avvia un’azione fortemente reazionaria repressiva e conservatrice in tutto l’Impero, inaugurando una nuova cultura politica. Nell’ambito di tale politica ha inizio un’ondata di pogroms: inizia nella parte meridionale dell’Impero, si propaga nell’est Europa, in quelle che oggi sono Moldavia e Ucraina occidentale. Nei successivi 40 anni gli ebrei di questo vasto territorio vedono masse di persone riversarsi nelle strade insultando gli ebrei, per poi attaccare e bruciare le loro case, trascinarli fuori dalle case e spesso ucciderli.
In alcuni luoghi pochi furono gli ebrei uccisi ma molti quelli terrorizzati, in altri ne furono uccisi molti. Nel corso dei 40 anni fra il 1881 e il 1920 si stima che ci furono almeno 1300 pogroms in luoghi e tempi diversi. Questo significa che i pogroms erano un’eseprienza certa per gli ebrei, un evento che ci si aspettava in qualunque momento. I civili ebrei uccisi furono circa 250.000, la maggior parte durante la prima guerra mondiale e la guerra civile russa, una guerra multilaterale che travolse l’impero russo dopo la rivoluzione dell’ottobre 1917.
Morte, pogroms. Gli ebrei sono cacciati dalla università con le leggi del maggio 1882. Con quelle leggi Alessandro restringe ulteriormente il territorio dove gli ebrei possono vivere (il Pale), dove possono studiare, dove possono lavorare; riduce anche i lavori permessi. Gli ebrei si sentono dire dal basso (con i pogroms) e dall’alto (con le leggi di maggio e il comportamento di Alessandro) che non appartengono alla società. E iniziano a scappare a milioni, si stima da due milioni e mezzo a tre milioni. Fuggono a ovest nell’impero austroungarico e in quello tedesco, così numerosi da causare una crisi diplomatica, perché gli austroungarici e i tedeschi dicono ai russi: ‘Non vogliamo i vostri ebrei; se avete un problema ebraico tenetevelo, non mandatelo a noi’. E negano all’impero russo la linea di credito finanziario di cui ha disperatamente bisogno per la guerra contro gli Ottomani.
Milioni di ebrei fuggono, ma non si fermano a Vienna né a Budapest, continuano a fuggire e due milioni e mezzo arrivano in America. Funzionari polacchi e romeni e di San Pietroburgo si incontrano e discutono di come spingere tutti gli ebrei ad andarsene. Per 60 anni l’obbiettivo delle politiche di questi paesi, fino alla vigilia della Shoah, è riuscire a scacciare gli ebrei.
Dunque, chi siete voi?
Già a metà del XIX secolo da 100 000 a 300 000 ebrei erano arrivati in America. Parlavano tedesco, molti si erano stabiliti nel Midwest. Qualcuno di voi viene da Cincinnati o St Louis o Milwaukee, o da qualche altra città del Mid-west con un teatro d’opera? Perché mai tante cittadine del Midwest hanno un teatro d’opera? Perché avevano una grossa popolazione tedesca attorno alla metà del 1800, e i tedeschi costruiscono teatri lirici ovunque vadano. Gli ebrei avevano seguito quest’ondata migratoria tedesca e nel Midwest avevano creato istituzioni proprie. Chi di voi ha sentito parlare di ebraismo riformato? Quale è il nome della scuola rabbinica riformata? Giusto, HUC, Hebrew Union College. Non è anomalo che abbia sede a Cincinnati, Ohio? È perché gli ebrei erano arrivati lì insieme all’ondata di tedeschi.
Poi avvengono i pogrom e una comunità di circa 250000 educati ebrei tedeschi di classe media, americani di seconda o terza generazione, debbono assorbire all’improvviso due milioni e mezzo di contadini ebrei ucraini di lingua yiddish, disperatamente poveri. Come fare? Le comunità ebraiche avevano un sistema molto semplice di raccolta fondi; ogni istituzione (scuola, cimitero, ente di assistenza) aveva il proprio responsabile della raccolta fondi che andava nelle singole case con salvadanai o borsellini e chiedeva qualche dollaro. Il problema era che a volte l’addetto alla raccolta per la scuola era ottimo e quello della casa di riposo era pessimo, così la scuola era ricca e la casa di riposo troppo povera, il che non è cosa buona se c’è una popolazione che invecchia.
Non c’era abbastanza denaro perché una popolazione di 250 000 persone ne potesse assorbire altri due milioni e mezzo in un arco di 40 anni, così gli ebrei d’America dovettero razionalizzare il processo per trarre il massimo beneficio da ogni singolo dollaro: costituirono la federazione. Avete una federazione nella città in cui vivete? Ce ne sono 150, tutte locali, con nomi tipo Jewish United Fund o Combined Philanthrophies. Sono comitati che rappresentano tutte le istituzioni della Comunità, discutono insieme, insieme raccolgono i fondi e li destinano con precisione là dove sono più necessari, perché non ci si può permettere di sprecare neppure un dollaro.
Così nasce la stupefacente tradizione filantropica degli ebrei americani, la cultura dell’appartenenza che si esprime donando e partecipando a iniziative civiche. Nasce dall’esperienza di come una piccola comunità riesca ad assorbire una enorme quantità di nuovi immigrati. Voi siete questo, gli eredi di quell’esperienza.
Ecco uno sbarco di ebrei russi, ed ecco i loro cugini americani che li chiamano. Ad un certo punto le autorità di frontiera a New York non permettevano ai migranti di scendere a terra se non avevano almeno un dollaro, per evitare che dormissero in strada, e la Hebrew Immigrant Aid Society (HIAS) faceva salire a bordo un suo rappresentante che metteva in mano a ogni ebreo un dollaro, poi un altro raccoglieva quei dollari subito dopo lo sbarco e li rimandava su, finché tutti gli ebrei fossero sbarcati. Questa esperienza ha formato la generazione successiva.
Conoscete l’East Side? Conoscete Mel Brooks? Non so se è ancora famoso, ma io ho una vera e propria ossessione per ‘L’uomo di 2000 anni’ (celebre serie comica televisiva con Mel Brooks, che ebbe enorme successo nell’anno 2000). Dovete ascoltare tutta la serie: prende in giro la generazione dei genitori, la generazione degli immigrati, quella della specifica esperienza ebraica americana. L’esperienza di arrivare in America e trovare altri ebrei a salvarli e assorbirli nella comunità è diversa da qualunque altra esperienza ebraica in qualunque altro luogo. Gli ebrei americani scoprirono in America una società creata sulla base del radicale individualismo protestante. In modo strano e inaspettato, con mille problemi e talora senza risultato, quella società fece capire agli ebrei americani che, a differenza di qualunque esperienza diasporica in qualunque altro posto, loro erano americani, erano arrivati a casa.
Questa è la famosa lettera di George Washington del 21 agosto 1790, mandata alla sinagoga di Newport, Rhode Island, come risposta alla lettera ricevuta dalla sinagoga stessa, Era la tipica, classica lettera che ogni Comunità ha sempre scritto a ogni nuovo re in tutta la diaspora. La lettera diceva (parafraso) quanto sei straordinario, sei bello, sei grande, grazie di essere il nostro re, noi ti siamo super leali. Washington rispose con una lettera che nessun leader aveva mai scritto agli ebrei. Ecco, questa è la parte che mi piace perché è divertente: ‘Sarebbe inconsistente con la franchezza del mio carattere non ammettere che mi compiaccio della vostra favorevole opinione della mia amministrazione (a me pare li prenda in giro, ma non diciamolo) e dei ferventi auguri per il mio successo. Può essere soltanto buona educazione da gentiluomo della Virginia, ma io penso che scriva queste parole perché la lettera è esagerata e Washington è offeso dall’ eccesso di adulazione. La lettera parla di un governo di tolleranza, ma lui risponde no, rifiuto di tollerarvi. ‘Non è più tempo di parlar di tolleranza come se dipendesse dall’indulgenza di una classe di persone il fatto che altri godano dell’esercizio dei propri diritti naturali’. Ma che dite? Se mi dite che vi debbo tollerare significa che questo è il mio paese e voi siete ospiti. Ma voi non siete ospiti, questo è il vostro paese, questi sono i vostri diritti, non spetta a me concederveli, perché ‘fortunatamente il governo degli Stati Uniti, che non ratifica la bigotteria e non sostiene la persecuzione, richiede soltanto che coloro che vivono sotto la sua protezione si comportino da buoni cittadini e diano al governo efficace sostegno in ogni occasione’ L'ultima frase cita una frase della lettera ricevuta, anche se Washington non lo dice esplicitamente, perché probabilmente pensa che la citazione sarà riconosciuta.
Che cosa significa questa risposta? Non avete nulla di cui preoccuparvi, dunque l’adulazione non è necessaria. C’è una pluralità di gruppi diversi in America, ma tutti sono americani allo stesso modo. Dire che vi debbo tollerare significa che non capite come funzionano qui le cose, anzi – peggio – è dire che io sono soltanto un altro re, o il presidente di un qualunque governo all’europea. Invece no, qui è davvero diverso – questo è un esperimento mai provato prima e noi intendiamo farlo funzionare. Voi qui non avete bisogno di essere ‘tollerati’ (con tutti i caveat necessari, perché sappiamo che in quei tempi non tutti i gruppi in America godevano di queste stesse condizioni). Qui si esprime un nuovo tipo di rapporto.
Fra il 1881 e il 1921 milioni di ebrei arrivano in America e subito iniziano a costruire questo grandioso universo istituzionale che ancora esiste a distanza di un secolo: la Federazione, che oggi è la seconda maggior organizzazione caritatevole degli Stati Uniti, dopo la United Way. Sono entrambe in declino, ma gestiscono ancora miliardi di dollari. Quell’esperienza è ancor oggi la promessa dell’America agli ebrei americani: non siete più nella diaspora, siete a casa. Siete americani. Nel mondo della democrazia liberale americana siete al sicuro. Nell’impero russo non eravate russi, eravate ebrei. I miei genitori erano russi e mi hanno spesso ripetuto che in Russia erano definiti ebrei anche sul passaporto, persino negli anni del comunismo; ma in America tutti sono americani, nessuno è altro che americano. Volete essere anche ebrei? Fate pure, così come, se volete, potete essere anche ciclisti o qualunque altra cosa. Ma siete americani, è la fine della diaspora, è la fine della vita che dipende dagli altri. Non esiste che si parli di tolleranza come se dipendesse dall’indulgenza di una classe di persone il fatto che altri godano i loro diritti naturali.
Da cento anni la promessa si era realizzata, e garantire che si realizzasse era diventata la maggior preoccupazione, anzi il cuore stesso della vita degli ebrei americani e della loro cultura. Ecco perché gli ebrei americani sono ossessionati (senza offesa) dall’esperienza dei neri, ecco perché rav Heschel andò in corteo con Luther King a Selma, perché la prima stesura del Civil Rights Bill fu scritta nel centro di iniziativa religiosa del movimento riformato a Washington, perché il primo bianco linciato dai razzisti americani (Frank Max, nel 1915, in Georgia n.d.T.) non poteva che essere un ebreo, perché i soli bianchi presenti alla fondazione della National Association for the Advancement of Colored People (NAACP) si chiamavano Moskowitz.
Gli Ebrei sono ossessionati dall’esperienza dei neri americani. Perché? Non è soltanto empatia, è qualchecosa di più. Ragioniamo: che cosa è l’America? Se è la promessa liberale, lo deve essere davvero. E dove è sempre venuta meno la promessa liberale dell’America, generazione dopo generazione? Nell’esperienza dei neri. La sorte dei neri americani è quella dell’intera America, è quella degli ebrei americani. Chiaro? L’87% degli elettori neri votò per Obama, l’84% degli ebrei americani votò Obama, il secondo gruppo più numeroso. Questo si ripete da generazioni, perché è il test di resistenza della promessa del liberalismo in America, che sino ad ora ha sempre resistito a tutte le prove.
Quale è il trauma dei mesi seguiti al Sette Ottobre per tanti ebrei americani? In qualche modo dai margini del liberalismo si è levata la voce dell’illiberalismo, con una specie di doppio annodamento, ed ha iniziato a chiamarci oppressori. È stato come un doppio salto mortale del liberalismo che l’ha rovesciato nel suo opposto e ora l’America è a rischio.
Ho fatto un tour di dieci giorni in America a tener conferenze. Sono tornato due settimane fa e da allora sono andato a cinque funerali - ed ho due cognati in guerra a Gaza. Ma vi dico che hanno più paura gli ebrei americani che ho incontrato nel tour rispetto agli ebrei d’Israele. Gli israeliani sentono di avere il potere di gestire la propria realtà, gli americani guardano gli eventi e non li capiscono, ma rischiano tutto, perché la promessa liberale dell’America per loro è tutto, è la loro patria, non in quanto territorio, ma in quanto garanzia liberale.
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