Gli israeliani, ebrei che hanno attraversato la storia. Parte seconda: gli ebrei d’Israele

01/07/2024

Lezione di Haviv Rettig Gur per un gruppo di studenti e docenti americani ebrei presso lo Shalem Center di Gerusalemme, 27 dicembre 2023

Haviv Rettig Gur è analista del Times of Israel, è stato corrispondente da oltre 20 diversi paesi del mondo, nonché responsabile della comunicazione per l’Agenzia Ebraica. Dopo i saluti ed i ringraziamenti, Haviv inizia la lezione dichiarandone il contenuto: dapprima spiegare chi sono gli ebrei americani, quindi chi sono gli ebrei d’Israele, per poi spiegare, in una lezione successiva, come i palestinesi vedono gli ebrei. Poiché la lezione è molto densa e lunga, per tradurla (e pubblicare la traduzione come testo) l’abbiamo divisa in due parti: la prima narra l’esperienza specifica degli ebrei americani, la seconda l’esperienza specifica degli ebrei israeliani.

 

Parte Seconda: Gli ebrei di Israele

Ed ora parliamo degli israeliani: chi sono?

Il 1921 è una data importante, ma è soltanto l’inizio. Il mondo chiude le porte. Milioni e milioni di ebrei fuggono a ovest ma nessuno li vuole. Loro non si fermano. Non si tratta soltanto di ebrei. In quegli anni il Congresso vara una legge anche contro l’immigrazione cinese, che è in cerca di lavoro, e si diffondono sentimenti di ostilità verso i giapponesi, verso gli irlandesi e verso gli italiani. Ma gli ebrei sono la questione più scottante. Il Congresso si riunisce per discutere animatamente di ebrei nel 1921, in parte per l’enorme afflusso causato dalla guerra civile in Russia in cui, come sapete, furono uccisi da 150000 a 200000 ebrei, 150000 soltanto nel 1921. 110000 persone arrivano via nave a New York. Il Congresso approva l’Emergency Quota Act, che elenca i paesi da cui arrivano un gran numero di ebrei e riduce la quota di immigrazione al 3% del censimento degli ebrei del 1919. che era di 330000 persone. . Così riduce i permessi di immigrazione per gli ebrei dai 110 000 del 2021 ai soli 10 000 del 1924, con un taglio del 90%. Poi nel 1924 viene approvato un Quota Act permanente, che riduce l’afflusso al 2%, ma nonrispetto al censimento del 1910, bensì a quello del 1890!  Parliamo di quando negli USA c'erano due milioni di ebrei in meno. C'è così una riduzione  dell 33% persino rispetto al  numero di immigrati del 1890.  Poi nel 1934, quando in Germania già sono al potere i nazisti, la quota annua si restringe a 2700 persone!

L'America chiude la porta agli Ebrei, ma non perché in Europa le cose migliorano - stanno peggiorando. Gli ebrei non possono frequentare l’università in Romania, la Polonia nel 1938 toglie la cittadinanza agli ebrei che si trovano all’estero, lasciandoli nella condizione di apolidi senza protezione. L’America chiude le porte. Durante la Grande Depressione c’è grande timore che gli immigrati portino via i posti di lavoro ai cittadini e con processi diversi e in tempi diversi il Canada, l’Argentina, l’Australia, il Brasile ed altri stati chiudono le porte. Gli Ebrei non possono più entrare.

Guardate attentamente questo numero: 37. È il numero di anni che trascorrono per raggiungere i numeri dell’aliah di questa colonna. Aliah significa immigrazione in terra d’Israele, dapprima sotto l’Impero ottomano poi nella Palestina mandataria. Nei 40 anni a cavallo fra 1800 e 1900 in cui due milioni e mezzo di ebrei arrivano in America, soltanto 50000, cioè il 2%, vanno in Israele. In questi 37anni (1882-1918) la cifra raggiunge meno di 60000 persone, per differenza fra arrivi e partenze. Calcolo complicato, ma questa è la cifra su cui concorda la maggioranza dei ricercatori. Poi nell’arco di 29 anni più di 400000 persone! Dal 1919 al 1948 inizia la grande immigrazione perché dal 1919 al 1948 gli ebrei non hanno dove andare, ma debbono assolutamente andarsene. Molti non vogliono andare in terra d’Israele, perché non è un posto molto allettante, l’economia è povera, non c’è lavoro, si stanno ancora bonificando le paludi. Chi di voi ha pensato di fare l’aliah, ma si è spaventato per la burocrazia? Immaginatevi la burocrazia di allora! Nel 1935 inizia quella che chiamiamo la quinta aliah, 6,000 ebrei in un solo anno. 50000 in 37 anni, poi 65000 in un solo anno, e parlavano tutti tedesco.

Nel 1948 si fonda lo Stato di Israele e nei quattro anni successivi arrivano 650000 ebrei! Perché? Che cosa succede? Benvenuti in Israele: noi siamo gli altri ebrei, quelli traditi, quelli che non furono salvati dall’Occidente, che non riuscirono ad andare in America, che non poterono preoccuparsi dell’Olocausto (la Shoah) seduti nei caffè di New York. Ma non voglio parlare di questo.

Dopo la Shoah la guerra finisce e molti milioni di persone - c’è chi dice 9 milioni, altri parlano di 17 milioni, io presumo 15 milioni perché mi ha convinto un bel libro sull’argomento che cita questa cifra – sono profughi: sono prigionieri di guerra o prigionieri dei campi di lavoro forzato, fuggiti a milioni nelle foreste. E iniziano il cammino per il rientrare alle loro case. Alla fine del 1945 c’è ancora un milione di persone definite ‘displaced persons’ in campi speciali organizzati in Austria e Germania, alcuni anche in Italia. Questi campi sono gestiti dagli Alleati, americani e britannici. Su di un milione 750.000 non sono ebrei, sono collaboratori dei nazisti che non possono tornare a casa perché i vicini li ammazzerebbero, come avvenne negli stati baltici, ad esempio, dove ora comandano i sovietici che procedono a grandi purghe. Circa 300.000 sono collaboratori nazisti che sarebbero uccisi se tornassero a casa. Il secondo gruppo è misto. Ci sono ad esempio polacchi cattolici, ma in Polonia infuria la guerra civile, il pericolo è grande. Infine ci sono circa 250000 ebrei. Molti cercano di tornare a casa. Abbiamo documenti di ebrei che tornano a casa a Vilna, lasciano messaggi sulle porte della sinagoga, non gli risponde nessuno e vanno oltre. E ci sono pogroms in Polonia contro gli ebrei di ritorno, marce di gente che urla per le strade ‘andatevene, non siete benvenuti! Finalmente ci eravamo liberati di voi! Andatevene!’

Dunque ci sono 250000 ebrei rifugiati e americani e britannici costituiscono la International Refugee Organization (IRO) che chiede ai governi: vi manca mano d’opera dopo la guerra, ora che le economie debbono rimettersi in piedi? Avete bisogno di gente che lavori. Prendetevi questi abili lavoratori che vogliono soltanto un lavoro e un passaporto! Così circo 40 governi di 40 paesi mandano una missione a visitare i DP camps, intervistare i rifugiati, assumerli, concedere loro passaporti e cittadinanza, trovar loro nuove case. Ogni collaboratore nazista trova una patria subito: sono ben pasciuti, sono sani nonostante la guerra, sono protestanti, sono biondi: per lo più sono estoni o lituani.  Sono i primi ad essere presi, tutti. Alla seconda ondata di delegati rimangono i polacchi cattolici, ed anche quelli vengono presi, fanno le valigie e se ne vanno. Rimangono gli ebrei. Se sei un ebreo in un DP camp (campo profughi) nel 1946 sai che nessuno al mondo ti vuole, neppure come mano d’opera. Nel 1945 Truman, disperato, chiede al Congresso di modificare le quote, che sono ancora in vigore. L’America di allora sa già tutto di Auschwitz, ma le quote sono rimaste in vigore. Il Congresso rifiuta.

Queste sono le quote di immigrazione. Non c’è la categoria ‘ebrei’ nella legge americana, si può gestire l’immigrazione soltanto per paese d’origine. Così gli ebrei rimangono fuori.

Truman manda Earl Harrison, decano della Scuola di Legge della Pennsylvania. Harrison va nei DP camps e scrive un report. Fra l’altro scrive ‘Abbiamo fermato il massacro, è importante’, ma gli ebrei, sapete, vivono ancora nei campi a Dachau e Bergen Belsen. Hanno da mangiare, nel 1946 hanno fondato 70 giornali e una lega di calcio, ma vivono ancora nei campi, senza cittadinanza e senza poter uscire. Le guardie naziste sono state sostituite dalle guardie dell’IRO, che li tengono rinchiusi. Questo dice lo Harrison report, e Truman ordina un’indagine per sapere dove vorrebbero andare i rifugiati. Il formulario chiedeva di indicare in ordine di preferenza i cinque luoghi dove gli ebrei si aspettavano di andare: un primo passo per avviare negoziati per risolvere il problema. Il 90% scrive ‘Palestina’ sulla prima riga e anche sulla seconda. Harrison si irrita, pensa che non abbiano capito e formula un nuovo questionario, in cui chiede: dove pensi di poter andare, oltre alla Palestina? E il 20% risponde: al crematorio. Che cosa avevano capito gli Ebrei nei DP camps? ‘Abbiamo messo tanto tempo a capire, ma ora ci è chiaro, non ci servono altre spiegazioni, caro mondo. È finita.’ Ora anche voi avete capito chi sono gli ebrei d’Israele: sono letteralmente i rifugiati dal mondo.

 I palestinesi non sanno questo, hanno una conoscenza molto vaga della nostra storia, così come voi avete una vaga conoscenza della vostra, come ogni popolo ha una vaga conoscenza della propria storia a distanza di un secolo. Non capiscono che il sionismo non è un movimento ideologico (se siete sionisti abbiate pazienza, lasciatemi finire), non è un nazionalismo, è un rifugio.

Uno dei motivi per cui i palestinesi non sanno questo di noi è che non glielo diciamo. Come raccontiamo a noi e agli altri perché siamo venuti qui? ‘Una nazione si è levata - si è svegliata e si è messa in marcia. Finalmente abbiamo capito la nostra vera identità e, dato che c’è sempre stata una profonda connessione ideale a questa terra (il che è vero), finalmente ci siamo riscattati con un atto di volontà.’

Fosse vero che la storia funziona così! Ma non funziona così. Chi sono gli ebrei d’Israele? Sono gli ultimi disperati avanzi della decimazione delle comunità ebraiche di 60 paesi. Non ditelo a nessuno qui fuori, ma è proprio così: il sionismo è un progetto di salvezza, non un movimento nazionale. È Herzl. Herzl è il sionismo come salvezza, Non è un movimento nazionale, è qualchecosa di molto più grande, che ora cerco di spiegare stando in piedi su di una gamba sola, come dice il Talmud. Pronti? Il sionismo (gli antisionisti non prendano appunti) è un’analisi sociologica della modernità. Il sionismo (ora parafraso e uso un linguaggio semplificato) dice che il mondo nel XIX secolo sta cambiando profondamente. Industrializzazione, urbanizzazione cambiano la vita delle persone. A inizio secolo una persona media viveva in una piccola fattoria bavarese, in un villaggio di 150 persone. Prima di fine secolo, più probabilmente attorno a metà secolo, la stessa persona viveva da formichina nei primi grandi caseggiati popolari della zona industriale di Francoforte, con un gabinetto per 25 famiglie in fondo a un corridoio. Quell’esperienza, quella stridula società avanzava facendo a pezzi le famiglie, stracciando l’economia, cambiando le identità. L’esperienza dell’industrializzazione (da cui ebbe origine il comunismo, sia come teoria che come reazione e come movimento sociale) cambiava il modo in cui le persone vedevano sé stesse, la loro identità. Le persone si raggruppavano per identità restrittive, anche religiose, all’interno di quella che gli studiosi chiamano società di massa.

 Che cosa è la società di massa? Una società di persone che non conosci ma di cui fai parte. Che cosa è un tedesco? Uno veniva da un certo villaggio in Baviera, sapeva bene chi era, aveva un accento peculiare. Ma che cosa è, chi è un tedesco? Avete mai incontrato i tedeschi? Non qualche tedesco ma i tedeschi. I tedeschi sono una comunità nazionale immaginata. Il che non significa una comunità inesistente, significa una comunità che esiste nel profondo del nostro cervello. Chiaro? Come l’esercito. Non esiste un esercito, esiste l’accordo fra un gran numero di persone per comportarsi tutti in un certo modo. Come il denaro: non esiste il denaro, esiste un accordo per misurare e trasferire i valori… Ci siamo? Le società di massa non sono interpersonali, sono immaginate. Sono enormi, e si nutrono di ideologie. Nel XIX secolo sviluppano ideologie nazionaliste che sostengono e cercano di dimostrare di essere non soltanto profondamente vere, ma di avere anche base biologica, organica. Nel mondo delle società di massa, nel passaggio da piccole identità agrarie o religiose di gruppo a identità di massa con tante persone che non si conoscono, si sviluppano le ideologie nazionaliste, che cercano di identificare i limiti di queste identità per rafforzarle e sorvegliarne i confini ed esser certi che siano forti. Mi seguite o vi state annoiando?

Ecco l’argomento di Herzl, e non soltanto di Herzl, ma limitiamoci a lui. Noi europei a fine del XIX secolo pensiamo che questi nuovi nazionalismi costruiscano un nuovo mondo liberale. Ci sono più parlamenti che mai, ci sono nuove scienze in campi sempre più numerosi. Si stanno immaginando particelle subatomiche. Sono novità straordinarie. Siamo nell’età del progresso e del liberalismo e dei diritti e dell’espansione dell’esperienza ebraica.

Che cosa è l’esperienza dell’emancipazione per gli ebrei? Posso lasciare la vita dei ghetti dell’est e andare a Berlino e diventare parte dell’élite culturale di Berlino, come Moses Mendelssohn. Posso far la vita di Albert Einstein, almeno la prima parte della sua vita. Questo nuovo liberalismo è cosa buona, ha trovato la soluzione al problema ebraico. 

Ma che cosa dice Herzl? (varie risposte dal pubblico, che non si sentono bene e non vengono ripetute). Ragazzi, prendetevi il tempo di leggervi prima o poi il Mein Kampf, quello che dicono i nazisti degli ebrei. È la versione estrema del problema, ma è molto più chiara se portata all’estremo. Quale è il problema dei nazisti nei confronti degli ebrei? (Dal pubblico qualcuno dice ‘sono inferiori’). No, quello è il problema dei nazisti nei confronti di tutti. I nazisti pensavano che i neri e i giapponesi fossero inferiori, e anche gli slavi, ma non pensavano al loro genocidio.  Possiamo farli tutti schiavi, non è necessario ucciderli tutti, pensavano. Perché invece dovevano uccidere gli ebrei, tutti gli ebrei? (risposte varie dal pubblico, che non vengono colte). Gli ebrei hanno più successo e sono più pericolosi? In un certo senso. Perché aver paura degli ebrei? Per quale motivo? Sì, il loro star separati, ma non è ancora questo. C’è qualche cosa di più pericoloso della separatezza. La paura nazista degli Ebrei è che mettevano a rischio la germanicità.  Se la germanicità è tribale, è antica, è di sangue, è biologica e la si può misurare dalle dimensioni della testa, come si può accettare che qualcuno sia tedesco al mattino ed ebreo la sera? Se Albert Einstein è il più grande scienziato tedesco ma poi va a Gerusalemme a fondare l’Università ebraica, perché è ebreo, che cosa succede? Se vogliamo dimostrare che la germanicità è corpo con membrana impermeabile, è biologia, è reale, ma poi un ebreo entra ed esce a suo piacere da questa membrana di germanicità, se può essere tedesco ma anche altro, se è multistrato, allora l’identità non è assoluta. Se l’identità non è assoluta, allora chi è tedesco e che cosa è un tedesco? Gli ebrei mettono in pericolo la germanicità, i neri no, e neppure gli asiatici. Per questo gli ebrei debbono essere sterminati.

Herzl non immagina la shoah, ma immagina la catastrofe. Questo è nel suo diario. È scritto per un incontro di raccolta fondi con i Rothschild, non per una conversazione qualunque. Ma dice:’ ci verranno a prendere, sarà una catastrofe - usa proprio questa parola – ci sarà un esproprio rivoluzionario dal basso (di chi parla? dei comunisti) o ci sarà la confisca reazionaria dall’alto. Ci cacceranno, ci uccideranno. Ho l’impressione che ci saranno tutte queste forme, e anche altre’.  Questa nuova Europa liberaleggiante non ci può contenere, non può contenere nessuna minoranza. Non è una teoria che riguarda gli ebrei, riguarda la modernità. Perciò l’unica scelta possibile è andarsene. Per questo era pronto a considerare anche l’Uganda; non gli piaceva ma valeva la pena di prendere in considerazione la proposta. In realtà di trattava di una parte dell’odierno Kenia, ma non è questo il punto. Perché? Perché dobbiamo portar fuori gli ebrei? Sta arrivando a catastrofe! Teme i tedeschi e anche gli altri.

Quei DP (displaced persons), quegli avanzi dispersi della civiltà ebraica europea… la persona che ha scritto le parole più chiare sull’argomento è Dara Horn, in uno straordinario saggio su come ricordiamo la Guerra mondiale. Il ricordo della Guerra mondiale che viene trasmesso a voi dai libri di storia non è la memoria ebraica di quella guerra, perché i tedeschi hanno perso la guerra ma hanno vinto nella Shoah. Hanno vinto la guerra contro gli ebrei perché li hanno distrutti. E quei DP che il mondo, pur sapendo di Auschwitz, continuava a non volere, mentre i governi si prendevano l’uno dopo l’altro tutti i collaboratori dei nazisti, tutti i polacchi cattolici, tutti i protestanti e tutti gli ucraini, quei DP nel 1948 costituivano un quarto delle Forze di Difesa d’Israele. Per che cosa combattevano? Che cosa avevano capito?

Non apprezzo le ideologie, non apprezzo le élite, perché di solito parlano di se stesse invece di parlare della realtà, ma guardiamo all’esperienza della gente comune, guadiamo quei 250000 DP che finalmente arrivano in Israele. Quando arrivano? Quando si svuotano finalmente i campi? Nel maggio 1948. Quando aggiorna le quote d’immigrazione il Congresso americano? In giugno, quando esattamente due terzi dei DP sono già andati in Israele. Soltanto allora il Congresso prende in considerazione l’idea di accettarne alcuni, ma molto pochi.

Benvenuti in Israele. Chi siamo noi israeliani? Subito dopo il 1948 la stessa cosa che era successa in Europa successe nel mondo arabo. Non la Shoah, perché c’era già un posto in cui andare. Subito dopo il 1948 centinaia di migliaia di ebrei fuggirono dal mondo arabo. Baghdad era circa 25% ebraica nel 1930. New York è ebraica al 12% e sembra piena di ebrei, immaginate che cosa doveva essere Baghdad, una città davvero ebraica. Nel 1952 non c’erano più ebrei a Baghdad.

Chi siamo? Siamo i rifugiati, siamo gli ebrei che hanno attraversato la storia, siamo i suoi resti. Come abbiamo reagito? Al veder diventare realtà la promessa del liberalismo americano voi avete reagito diventando il gruppo più liberale della storia (forse oggi i campus universitari vi battono, ma dipende da che cosa si intende per liberalismo. No, voi siete ancora liberali, loro non lo sono più)

Chi siamo? Come rispondiamo al XX secolo? Hamas crede che se massacreranno i nostri figli noi ce ne andremo. Ho avuto molte discussioni con palestinesi ed ho scritto un mucchio di articoli che sono stati tradotti in arabo sostenendo che noi non possiamo andarcene. Non potranno liberarsi di noi col terrorismo, come hanno fatto gli algerini con i francesi. Perché? Non abbiamo un altro posto sulla terra. È quello che adesso molti stanno dicendo, ma io intendo qualchecosa di più profondo. Non avere un altro posto dove andare è l’essenza di ciò che noi siamo, siamo gli ebrei senza alternativa.

Il 7 ottobre Hamas ha commesso 25 Kishinev (25 volte l’eccidio di Kishinev), e che cosa è successo agli ebrei? Tutto è diventato chiaro, tutti si sono uniti, il resto è passato in secondo piano. Sappiamo questo cos’è: è quello che noi siamo! È per questo che abbiamo creato la nostra società. Non è soltanto che non sappiamo dove andare: è che noi siamo gli ebrei che hanno costruito questo luogo come l’estremo rifugio per gli ebrei che non sanno dove andare.

Ho assistito ad alcuni incontri fra il governo israeliano e gruppi di ebrei americani di sinistra e ricordo un incontro che mi ha affascinato per la sua perfezione. Ora ve lo racconto, sperando di ricordarlo con esattezza, non meglio di come fu in realtà.

C’è il direttivo di una organizzazione ebraica americana di sinistra, forse J street o altra con politica simile – si tratta di sette o otto anni fa – e c’è un rappresentate del governo, membro del Likud. Uno del direttivo dice (si parlava proprio di Gaza e dei ‘coloni’, c’erano stati scontri a Gaza) ‘il mio timore è che se Israele non è uno stato morale possa perdere legittimità; la mia battaglia perché Israele sia uno stato morale è una battaglia perché Israele continui ad esistere’. E il ministro israeliano risponde ‘fottiti’. Risposta altrettanto profonda della frase dell’americano. Che cosa dice mai l’ebreo americano? Perché mai Israele dovrebbe essere uno stato morale per essere legittimo o per sopravvivere?  Voi non andate dai tedeschi a dirgli che se non sono ‘morali’ non sono legittimi e non possono sopravvivere!

Quale è l’esperienza degli ebrei americani? Il liberalismo è la nostra redenzione, dovete capire che il liberalismo è l’unico mondo in cui gli ebrei possono vivere in sicurezza, e ne abbiamo 140 anni di prova. In nessun altro luogo siamo stati altrettanto tollerati o accettati, oppure non accettati ma visti ugualmente come parte del gruppo. Il liberalismo è la riposta, non c’è altra risposta. Perché Israele non lo accetta? Perché non vuole essere liberale? Non esiste altra risposta. Questo diceva l’ebreo americano. Ma che cosa capiva e rispondeva l’ebreo israeliano? Rispondeva in modo molto animato, era arrabbiato (risposte varie di studenti, poco comprensibili). Noi siamo gli ebrei che non chiedono il permesso. Non si chiede il permesso di vivere, perché c’è sempre il rischio che qualcuno risponda no. Questo noi siamo. Sono illegittimo se sono immorale? Avete forse avviato una campagna per lo smantellamento dell’America dopo il Vietnam? Si può immaginare una affermazione più genocida che dire che non ho diritto a vivere se non sono morale? Gli esseri umani non hanno il diritto alla vita se si comportano male? Qualcuno chiede che finisca di esistere la Germania? Si può dire qualchecosa di più antisemita a un israeliano? Io sono l’ebreo che non dipende da quello che gli altri pensano di me. Sto usando molte parole per spiegare quel ‘fottiti’. Come israeliano penso che l’esistenza dell’ebreo americano dipenda dall’opinione degli altri, dalla legittimazione degli altri e che per questo faccia sempre discussioni moralistiche su tutto, cerchi sempre di essere ‘a posto’. Questo non è sano, non è libertà. La libertà inizia quando cessi davvero di preoccuparti dell’opinione degli altri.

Entrambi avevano ragione, nessuno di loro era idiota. Entrambi hanno 150 anni di storia a favore delle loro tesi, di cui 60 in comune, ma non riescono a parlarsi e capirsi. Benvenuti qui, nella casa degli ‘altri ebrei’, benvenuti in Israele.

 

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