Il grande equivoco: come i palestinesi vedono Israele
Parte I: perché l’onore dell’Islam è leso dal successo degli ebrei

11/07/2024

Lezione di Haviv Rettig Gur ad un gruppo di studenti americani presso lo Shalem College, il primo gennaio 2024. 

 

Le parole in corsivo sono di Rettig Gur. Le note del traduttore, le parole del presentatore e quelle dei membri dell’uditorio no.

 

(presentatore) Sono molto lieto di aver nuovamente l’opportunità di introdurre Haviv Rettig Gur, che presenterà la seconda parte della sua lezione per il seminario ‘Have no fear, ‘non temere’ (espressione ricorrente nella Bibbia ad ogni incontro con Dio).  Haviv è analista del Times of Israel, partecipa ogni settimana al podcast di Dan Senor ‘Call me back’ (richiamami).  Lo ascolteremo parlare de ‘il grande equivoco’.

(La platea è composta di studenti americani in viaggio di studio. Entra Haviv Rettig Gur. Applausi)

 

È sempre la cosa migliore se gli applausi sono all’inizio, almeno è fatta.

Buongiorno a tutti. Come state dopo il nostro viaggio insieme - l’anno scorso?

Oggi faremo una cosa estremamente scorretta: saremo una banda di ebrei che parla della narrativa palestinese in modo auto-giustificativo. Cercherò di convincervi che ci sono temi ricorrenti nella narrativa palestinese, che perdurano anche oggi e sono la lente attraverso la quale interpretano anche la situazione attuale. Temi che sono convincenti, seri e profondi, che noi dobbiamo capire per poter capire i palestinesi, almeno quelli che non sono estremisti né radicali, non hanno torto e non rientrano in categorie di comodo, ma hanno storie ed esperienze dense e profonde vissute sulla propria pelle, proprio come noi.  

Prima di tutto vi dico che la loro storia è convincente: non esiste persona al mondo che non abbia una storia convincente. E se non capite come possano pensare quello che pensano, se non capite perché sbagliano - e sbagliano alla grande - non pensiate che siano stupidi. Se non capite che la controparte non è stupida, vi perdete la lezione.

Dopo questa premessa cercherò di illustrarvi i tre temi ricorrenti nella narrativa palestinese. Non parleremo di ieri, non parleremo del sette ottobre (forse poche parole alla fine), né del processo di pace degli anni ’90 di cui vi ho molto parlato in pullmann, mentre voi cercavate di sonnecchiare. Parleremo invece dell’Impero Ottomano, dell’Impero Britannico e degli archetipi che i palestinesi applicano quando pensano a noi in modo serio e sistemico, e di come li hanno sviluppati. Parleremo di come per loro abbia senso vederci come imperialisti e colonialisti e tutti gli altri -isti con cui ci definiscono.

Il mio scopo oggi è convincervi che la loro narrazione è acuta, profonda e astuta.

Poi cercherò anche di spiegarvi ciò che già abbiamo un po’ discusso quando abbiamo accennato a come il PLO (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) abbia usato negli anni ’60 il modello dell’Algeria per lanciare una strategia di terrorismo. Ma c’è una ragione specifica per cui quel modello con noi non funziona e per cui le élite politiche palestinesi non accettano di capire che non può funzionare. Non perché siano stupidi, ma perché rinunciare a quella strategia e a quelle teorie su di noi comporterebbe un costo enorme. Non ci accontenteremo della spiegazione da scuola elementare: ‘usano la strategia che ha funzionato in Algeria, ma con noi non funziona perché non abbiamo un posto dove andare’. Useremo una spiegazione da scuola superiore. Pronti? E se vorrete una variante ancora più ampia e profonda dovrete andare in biblioteca e leggervi libri.

Iniziamo la nostra storia dell’interpretazione palestinese. Farò costantemente riferimento a quanto abbiamo detto dell’esperienza ebraica e del 1881 e del perché il XX secolo per gli ebrei inizia nel 1881, anche se sembra presto.

L’assassinio dello zar Alessandro è del 1881 e le Leggi di maggio sono del 1882. Perché questo dà inizio alla storia degli ebrei? Le leggi di maggio sono l’intensificazione delle regole di base del Pale (zona obbligatoria di residenza, una specie di enorme ghetto, ma non limitato ai quartieri urbani) stabilite per gli ebrei dalla Grande Caterina, che per noi non è stata affatto grande. Perché questo è l’inizio del XX secolo per gli ebrei? È l’inizio di un’ondata di 1200 pogrom che nell’arco di 40 anni li spinge a migrare a milioni. Verso dove? In maggioranza verso l’America – e questi siete voi. Una piccola minoranza migrò in questo posto inaspettato. Perché? Gente poco seria e un po’ matta, vanno verso la terra che gli inglesi chiamano Palestina e gli Ottomani definiscono come un paio di distretti diversi. Vanno in quella che gli ebrei concepiscono come terra d’Israele, ma per gli Ottomani è un paio di aree diverse, con due diverse giurisdizioni, in base alla loro visione geografica. Ma in breve tempo, soprattutto per opera dei cristiani di Palestina, che hanno la stessa visione degli ebrei della terra d’Israele perché condividono in parte la stessa narrazione biblica, la visione della terra di Israele viene a coincidere con la Palestina. Così inizia a crearsi il primo grumo dell’identità nazionale palestinese.  Lo dicono gli stessi intellettuali palestinesi, non è la versione sionista della storia dell’identità nazionale palestinese. Così come ad un certo punto l’identità nazionale tedesca di raggruma attorno ad alcuni eventi, così l’identità nazionale palestinese, così come è percepita oggi dai palestinesi, si raggruma attorno a questa immigrazione di ebrei.

Ma questa migrazione nei 40 anni dal 1881 al 1921 è un esiguo rivolo: sono circa 1000 persone l’anno in media, alcuni sono fortemente ideologizzati. Ma c’è un libro interessante di Gur Alroev, docente all’università di Haifa, che sostiene che neppure loro erano sionisti. Uno dei punti più interessanti della storia sionista è che le alyiot (le ondate di migrazione verso la terra d’Israele) non furono affatto ideologiche. I palestinesi non lo sanno, non sanno che siamo rifugiati, ritengono che siamo un movimento ideologico, che ci siamo alzati e siamo venuti qui per scelta volontaria, non perché eravamo in fuga. Uno dei motivi per cui i palestinesi non sanno che siamo demograficamente rifugiati e non un consapevole movimento ideologico è che(qualche studente suggerisce che non lo sappiamo neppure noi)quando raccontiamo la nostra storia la facciamo apparire molto ideologica. Nelle scuole israeliane si inizia con lo studiare l’organizzazione BILU (Beit Israel Le’hu v Nelcha, la casa di Israele di alza e si mette in marcia). Ma BILU è essenzialmente comunista e il sionismo del 1882 è un miscuglio di correnti socialcomuniste. Sono soltanto 14 persone che muovono - da dove? Partono forse da Kharkov e vanno a Istambul, di lì salpano per Giaffa. La storia sionista nei libri di testo israeliani inizia di lì, prosegue con la storia dei kibbutz, le piccole comunità agricole. È una storia ideologica, perché quegli ebrei creavano piccole ‘comuni’ agricole in cui sviluppare un nuovo tipo di ebreo, ma erano una minuscola percentuale dell’immigrazione complessiva. È un po’come in America, dove ci concentriamo sulla storia dei Padri Pellegrini, allorché la storia dell’America in quei decenni si faceva soprattutto nei grandi centri commerciali della Virginia. Ma i Padri Pellegrini crearono una specie di essenza culturale di ciò che è l’America, con il loro individualismo radicale e protestantesimo radicale e tutte quelle idee che hanno dato forma all’idea stessa di America, ma che erano rappresentate da una parte demograficamente molto piccola dell’America. Questo avviene in Israele con la storia e l’ideologia del kibbutz. Se i palestinesi ci ascoltano non riescono a capire che il sionismo fu innanzi tutto - demograficamente - un’operazione di salvataggio di milioni di rifugiati, perché non è questa la storia che ci raccontiamo.

Quando gli ebrei iniziano ad entrare nell’Impero Ottomano tramite il porto di Istambul (che allora si chiamava ancora Costantinopoli) per salpare verso Giaffa, fanno la fila davanti al Consolato ottomano di Odessa per ottenere il permesso di viaggio in terre ottomane. Ad aprile 1882 il consolato mette fuori un cartello che dice: i migranti ebrei dall’Impero russo potranno stabilirsi in piccoli gruppi nelle terre ottomane, ma non in Palestina. Il governo ottomano reagisce molto prontamente, quando forse non c’erano ancora neppure un migliaio di immigrati ebrei in Palestina. E dice: non venite qui in Palestina. Volete andare nell’Impero Ottomano? Fate pure e buon pro vi faccia, ma sparpagliatevi, non ci deve essere una concentrazione di ebrei. Perché? (Dalla sala uno studente dice che è pericoloso dare una terra a un popolo che con quella terra ha un profondo legame, ma se gli ebrei vanno in Siria o altrove non è così pericoloso, ma il docente risponde ‘lo dovresti dimostrare, ma sì, è un ragionamento più o meno di questo tipo’. Si levano altre voci con altre risposte).

Di che cosa hanno paura gli Ottomani? Di che cosa ha paura alla fine del 1800 un impero vecchio di 400 anni? Di che cosa hanno paura tutti gli imperi ala fine del 1800? Hanno paura del nazionalismo. Gli ebrei possono venire, sono benvenuti, ma sapete che cosa non potete fare? Essere una nazione, ne abbiamo già tante, basta con le nazioni. Incidentalmente, una quindicina di anni più tardi c’è un incontro fra un altissimo burocrate dell’Impero e un capo del movimento sionista e l’alto burocrate ottomano dice: “non potete continuare a portar via terre all’islam, ma se volete potete andare in Grecia, che adesso ha tanto spazio. Volete la Grecia?” Perché – più o meno nel 1905 – l’Impero ottomano pensa che convenga incontrare i sionisti e suggerir loro di andare tutti in Grecia? Che cosa sta succedendo in Grecia? Inizia il nazionalismo. E come si previene lo sviluppo del nazionalismo? Mescolando le popolazioni. I vecchi imperi erano tutti etnicamente mescolati, non perché tutti vivevano felicemente insieme in armonia, ma per prevenire il pericolo dello sviluppo di nazionalismi all’interno degli imperi.

Dunque gli Ottomani si preoccupano fin dall’inizio, quando ancora arrivavano pochissimi ebrei, perché leggono. Ci sono già documenti sui nazionalismi nell’Impero, ci sono lettere di diplomatici da Vienna, nell’Impero austroungarico, che leggevano i testi sionisti prodotti nell’Impero russo e si preoccupavano di questo nuovo nazionalismo ebraico che conveniva spezzare sul nascere, perché quando il nazionalismo prende piede è difficilissimo fermarlo. L’Impero ottomano è conscio della propria debolezza, fra poco lo sapremo dalle parole dello stesso Sultano, che è molto preoccupato dal nazionalismo.

 (Dall’uditorio qualcuno interrompe con una domanda: la Grecia non divenne indipendente nel 1821? Come potevano gli Ottomani concederla?) Credo si trattasse di qualche area specifica nella Tracia, che allora era considerata greca, forse anche di Salonicco. Gli Ottomani erano molto preoccupati dall’indipendenza greca e anche di ciò che accadeva in quelli che oggi sono i Balcani. Quattro anni prima dell’apparizione di quel cartello, nel 1878, l’Impero Russo aveva preso la Bulgaria, un territorio molto ampio. C’era guerra e i Russi avevano strumentalizzato il nazionalismo bulgaro. E c’era il nazionalismo greco nelle parti di lingua greca dell’Impero ottomano, che allora comprendevano anche aree dell’Anatolia occidentale, che oggi sono Turchia. Più si diluiva la componente etnica greca, più si riduceva il problema.

Perché è importante sapere questo? Nel periodo delle prime alyah, come noi le definiamo, le élite arabe di Giaffa si sentono élite ottomane, sono loro gli ufficiali ottomani che gestiscono il territorio, le famiglie importanti che ereditano tradizionalmente le alte cariche nella città, nella regione e nel territorio. Quando il rivolo di ebrei inizia ad arrivare la loro prima reazione non è affatto: ‘attenzione, perché i sionisti toglieranno la terra ai palestinesi’. Che cosa sono gli ebrei e perché preoccupano le persone che gestiscono il porto di Giaffa e la città di Gerusalemme?  (Varie risposte dal pubblico). Sono russi! La prima reazione degli arabi all’arrivo degli ebrei è di allarme perché sono russi. Se sei parte dell’élite imperiale ottomana che ha governato queste terre per 400 anni, gli ebrei ti preoccupano perché sono russi. L’arcinemico dell’Impero Ottomano è da 80 anni l’Impero Russo, ci sono già state quattro guerre con la Russia, che continua ad avanzare pretese persino sui luoghi santi di Gerusalemme, e ci sono state le capitolazioni. Le capitolazioni sono una serie di trattati firmati dall’Impero Ottomano nei circa 100 anni precedenti - forse dalla fine del 1600 o inizio 1700 - con le potenze occidentali: Venezia, l’Impero Russo e l’Impero Austroungarico. Trattati che sostanzialmente danno ai sudditi degli imperi cristiani l’immunità dalla legge ottomana e dai tribunali ottomani. Perché mai l’Impero Ottomano rinuncia al diritto di arrestare e processare e giudicare un cittadino di Venezia di Vienna o di Mosca che commetta reati o crimini in terra ottomana? Benché l’Impero sia debole, questa è una concessione enorme. Perché la fanno? Il commercio nell’Impero Ottomano è disperatamente povero, gli Ottomani vogliono attrarre i commercianti occidentali, vogliono che il commercio passi attraverso le loro terre anziché aggirarle via mare, perciò sono pronti a fare grandi concessioni agli imprenditori degli imperi cristiani d’Occidente.

Quando gli ebrei arrivano a Giaffa nel 1887, chi pensano di essere? Sono ebrei che scappano dall’inferno dei pogrom dell’Impero russo, ma le élite arabe, che ancora si considerano élite dell’Impero Ottomano, come li vedono? Come sudditi russi, che creano comunità non soggette alla legge locale, né alla giustizia locale, né alla polizia locale.

Veniamo a Haj Al Husseini. Il Gran Mufti che sostenne Hitler nella Seconda guerra mondiale, a destra nell’immagine, era suo figlio. Quello a sinistra è il padre Kamil, anche lui Gran Muftì di Gerusalemme sotto gli Ottomani, perciò anche membro del Consiglio Municipale di Gerusalemme che nel 1914 si riunisce su richiesta del governatore Mutas Sharif (so appena tre parole di turco, scusate se pronuncio male il nome). Kamil è nel Consiglio in quanto suprema autorità religiosa di Gerusalemme ed ha una grande idea, che è riportata nelle minute della seduta. Dice: perché arrivano qui gli ebrei? Sono cittadini russi, il che è terribile, ma perché vengono qui? Sappiamo dei congressi sionisti e sappiamo che non vengono in quanto agenti dell’Impero russo, vengono perché non sanno dove altro andare. Sono rifugiati. I Romeni (termine con cui gli ottomani indicano un’area che comprende l’attuale Romania più vasta parte degli stati vicini) li tormentano, per questo vengono qui. Come liberarsene? Tormentiamoli anche noi e se ne andranno da qualche altra parte. Che ne pensate? Come reagisce il governatore ottomano? Deve riuscire a scansare vari pericoli (passare fra goccia e goccia): l’Impero non può mettersi a tormentare cittadini russi in terra ottomana, oppure può farlo, ma correndo un grosso rischio. Lo Zar vuole cacciare gli ebrei dall’Impero perché li detesta, ma quando arrivano qui sono cittadini russi che lo Zar deve proteggere per il prestigio dell’Impero. Non si possono opprimere cittadini russi, neppure se sono ebrei. Così quel mondo inizia ad avere la percezione del perché gli ebrei arrivano qui. E inizia la grande esperienza dei palestinesi che ancora pensano in termini ottomani e cercano di operare tramite le istituzioni ottomane. In che cosa consiste?

Negli anni 1910 Kamil Al Husseini è a capo di un comitato costituito dal governo di Costantinopoli per indagare sulla questione dell’immigrazione ebraica. Come presidente del Comitato scrive le sue raccomandazioni:

-       dobbiamo fermare l’immigrazione ebraica (ma il governo ottomano non fa niente);

-       dobbiamo fermare la vendita di terre agli ebrei (ma il governo ottomano non fa niente)

Di tanto in tanto il governo ottomano manda a Gerusalemme un governatore più competente, che capisce che se continuano ad arrivare tanti ebrei presto ci sarà un problema con gli arabi. E gli arabi sono importanti per l’Impero. Non è più tanto questione di fermare l’arrivo degli ebrei, dopo i primi provvedimenti del 1882, ma di bloccare le vendite di terre e impedire lo sviluppo di organizzazioni sioniste. Blocca anche l’immigrazione, ma ha giurisdizione soltanto sulla piccola area da Gerusalemme a Giaffa.  Se si va a nord verso Nablus o alla latitudine dell’odierna Netanya, si è già in altra provincia che dipende da Beirut, perché per gli ottomani il termine Palestina non evoca la nostra visione geografica. Così quando i sionisti non possono comperare terre attorno a Gerusalemme, che fanno? Vanno dal governatore di Beirut che forse è più conciliante, o meno competente, o più corrotto, e comprano terre attorno a Tiberiade, che è parte di Beirut. Dopo un paio d’anni il governatore di Gerusalemme cambia e quello nuovo non crea difficoltà, perciò gli ebrei tornano a comperare terre attorno a Gerusalemme. E che cosa pensa Kamil al Husseini nel vedere succedere questo? Vede e pensa qualchecosa che è la pietra fondante dell’identità palestinese fino ad oggi. Che cosa? (qualche mano alzata fra il pubblico, qualche risposta, che l’oratore accetta soltanto parzialmente). Vede qualche cosa di profondo che riguarda il mondo islamico: l’abbandono, il tradimento. Chi lo tradisce?

Lui capisce che gli ebrei scappano – non tutti lo capiscono, ma lui sì. C’è il problema che sono sudditi dello stesso impero che li caccia ma poi li protegge, anche se continua a cacciarli. Sa di far parte dell’élite ottomana e che l’Impero Ottomano non riesce a tirarsi su le braghe nell’età di TikTok nessuno si scandalizzerà per il mio linguaggio). Capite la sua frustrazione? Questo è il tema che di generazione in generazione ritorna: l’abbandono da parte del mondo arabo, da parte del mondo islamico.

Dopo il 7 Ottobre i capi di Hamas che stanno all’hotel Four Seasons a Doha sono apparsi alle televisioni di tutto il mondo arabo e hanno detto: “dov’è l’Iran? Dov’è il mondo arabo? Dove sono le legioni dei mujaheddin che avanzano in Palestina?”

Il 1948 e il 1967, ogni giorno, ogni anno della loro storia, che inizia con la debolezza dell’Impero Ottomano, è una storia di debolezza islamica e di debolezza araba (voce dal pubblico: ci sono anche i carri armati che l’Egitto ha posto al confine con Gaza per fermare i palestinesi). La cosa su cui il mondo arabo è d’accordo è che non vogliono i palestinesi a casa loro (altre voci dal pubblico)

Nel 1896 Herzl va a Costantinopoli e cerca di incontrare il Sultano, tramite un amico che ha un amico aiutante a corte. Cerca di entrare a corte, ma Abdul Hamid rifiuta di incontrarlo. Herzl scrive nel diario che cosa dice l’aiutante che ha parlato con il Sultano o con il proprio capo. Il Sultano dice: ‘Se Herzl è vostro amico tanto quanto voi lo siete a me, consigliategli di non fare un passo avanti in questa direzione. Non posso vendere neppure un palmo di terra, perché non appartiene a me ma al mio popolo (forse intende gli ottomani o forse gli islamici, perché aveva il titolo di Califfo dell’Islam). Il mio popolo ha conquistato questo impero combattendo, versando il sangue, l’ha reso fertile col suo sangue. Torneremo a coprirlo di sangue prima di permettere che ci vengo tolto.

Gli uomini di due reggimenti di Siria e Palestina si sono fatti uccidere uno a uno a Plevne (Bulgaria) combattendo con i Russi. Non uno di loro ha ceduto (non è esattamente vero, ma è buona propaganda imperiale). L’impero turco non appartiene a me ma al Popolo turco (all’epoca turco significava ottomano, non indicava appartenenza a un’etnia), non posso darne via nessuna parte. Gli ebrei possono risparmiare i loro miliardi (lui è il sultano di un impero in bancarotta e i finanzieri ebrei potrebbero salvarlo. Ci sono negoziati in corso per aprire linee di credito da parte di famiglie ebree e banche ebree). Se il mio impero sarà fatto a pezzi (attenzione a queste parole!) l’avranno per niente. Ma sarà fatto a pezzi soltanto il nostro cadavere, non permetterò la nostra vivisezione.

Di che cosa è consapevole l’ultimo imperatore o sultano ottomano nel 1908, 13 anni prima di cadere per la rivolta dei Giovani Turchi? Sa di essere debole, che gli ebrei possono dargli il denaro di cui ha disperatamente bisogno, tanto è patetico il suo bisogno. Il denaro degli ebrei non può cambiare la politica tedesca, non può cambiare la politica britannica, ma potrebbe cambiare la politica dell’Impero Ottomano, tanto è debole. Ma il Sultano rimane saldo e si rifiuta. Perché? (varie voci dal pubblico offrono risposte diverse) Non sono un esperto, ma ho letto che quando il Sultano parla di popolo intende le popolazioni ottomane, che includono un vasto numero di arabi e un vasto numero di curdi e di varie altre etnie, tutte collegate all’interno della struttura di potere dell’Impero. Non intende un’etnia. Lui cadrà proprio per la ribellione nazionalista dei turchi in quanto etnia. Ha una concezione ottomana della popolazione – io credo - cioè essenzialmente una varietà di islamici. Anche se molti islamici vivono al di fuori del suo impero, lui si considera Califfo, cioè leader di tutti i mussulmani. (Uno studente suggerisce che l’Imperatore non crede di aver scelta, non crede che il suo popolo accetterebbe una politica diversa). Non soltanto non lo accetterebbe il popolo, ma per l’Imperatore è meglio cadere che cedere, meglio cadere che sopravvivere ancora un giorno dopo aver ceduto. Per questo motivo Herzl non incontra il Sultano.

Yusuf Diya al-Din Pasha al-Khalidi, reso famoso dal trisnipote - credo -  Rashid al-Khalidi, professore alla Columbia University. Il suo libro ‘100 Years War on Palestine’ si apre con la citazione della lettera di Yusuf a Herzl nel 1899, dopo il primo Congresso sionista. Gli al-Khalidii sono parte dell’élite politica di Gerusalemme, così come gli Hosseini e i Nashashibi: una manciata di cinque o sei famiglie che costituiscono l’élite araba a Gerusalemme e Giaffa e si sentono essenzialmente ottomani; credo che Yusuf stesso fu diplomatico ottomano a Bordeaux. Vedono se stessi come una élite imperiale e sono i primi a preoccuparsi per l’immigrazione ebraica.

‘In via di principio’, scrive a Herzl, “il sionismo è naturale, bello e giusto. Chi contesterebbe il diritto degli Ebrei in Palestina?’ È storia nota a tutti che gli Ebrei hanno ragione. Dio mio, storicamente è il vostro paese!” (C’è un gran dibattito fra gli storici sionisti e quelli palestinesi sul fatto che questo sia o non sia un riconoscimento, ma certamente era la cosa giusta da dire a Herzl, se lo si voleva convincere a cambiar le sue intenzioni). “Ma occorre prendere in considerazione la forza brutale delle circostanze”.  I vostri diritti sono una cosa, ma se venite qui c’è un problema. Quale? “la Palestina è parte integrante dell’Impero ottomano e…”  – questa è la parte di cui nessuno si preoccupa, ma di cui io mi preoccupo di più perché è il pilastro della narrazione palestinese - “...ed è abitata da altri”. Il secondo problema è più grave. Noi viviamo qui, che cosa sarà di noi?

(Tenete a mente l’islam e la rilocazione, perché ne riparleremo).

Nel 1898 uno dei grandi intellettuali d’allora, Rashid Rida (ha un nome lunghissimo, di cui non ricordo il resto) ha un giornale al Cairo, al Manar. Personalmente viene da Beirut, il che significa che si sente parte della Palestina, perché il nord della Galilea per gli Ottomani è già Beirut. La sua prima risposta al sionismo è positiva, ma poi molto rapidamente diventa molto negativa. Il 1898 è il primo anno dopo il Congresso sionista, che lui seguì con attenzione. Lesse i sionisti e ragionò sul sionismo. Fu un grande intellettuale, fu anche maestro di Haj Amin al-Husseini, figlio di Kamil, di cui presto parleremo. Rashid scrive su al Manar, in modo elegante, agli arabi di Palestina: ‘E voi compiaciute non-entità, siete contenti che i giornali di ogni paese scrivano che i diseredati del più povero dei popoli – così chiama quelli che oggi nei campus universitari sono chiamati sionisti –  cacciati da tutti i governi, abbiano tanta conoscenza e comprensione della civiltà e dei suoi metodi da poter prender possesso del vostro paese stabilendovi colonie, trasformare i signori della terra in loro dipendenti, i ricchi in poveri’.

Quale è la sua preoccupazione? Sì, sono la più debole delle élite e perderanno tutto, ma Rashid non si preoccupa tanto del fatto che perdano, non scrive nulla delle altre terre da cui gli islamici si ritirano di fronte ai nuovi nazionalismi, né dell’espansione russa nei Balcani. Che cosa lo preoccupa? Una questione di onore, di orgoglio, che è ancora più dolorosa. In questo periodo sta pensando seriamente a come l’islam possa tornare ad essere un potente motore della storia, è un rappresentante del riformismo islamico. Non so se è davvero preoccupato per l’Impero Ottomano, ma lui vive nell’Egitto che è già sotto controllo britannico, vive già sotto il dominio di un impero cristiano. Perché mai si preoccupa per la Palestina? (varie risposte o proposte dal pubblico). Signori, vi state perdendo metà del testo: perché c’è da vergognarsi? Quale è il problema? Sì, gli ebrei! Se gli ebrei ci possono sconfiggere, quale è il limite? Come è possibile scendere più in basso? Se gli ebrei del 1898 vi possono conquistare, la vostra fine è patetica, o voi compiaciute non entità!

 

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