Il grande equivoco: come i palestinesi vedono gli israeliani
Parte III – I temi della narrativa storica palestinese e il 1948

11/07/2024

Lezione di Haviv Rettig Gur ad un gruppo di studenti americani presso lo Shalem College,

il primo gennaio 2024

 

Arriviamo ora al 1948 (ho poco tempo, appena 17 minuti e non siamo neppure al 1948!)

Ma prima, ecco i temi: il tradimento islamico, il tradimento arabo. Non nel senso letterale di vendita al nemico, ma come debolezzaLa debolezza araba è il tema che ritorna ad ogni svolta della storia palestinese. Anche la debolezza islamicaIl desiderio disperato di riscatto è la molla della reazione. Fu la molla di una figura di secondo piano e dalla breve vita come di Izz al-Din al-Qassamche non ebbe successo, eppure oggi è l’eroe di Hamas, perché la sua è una storia islamica. Fu colui che disse che l’onore islamico è il cuore della storia ed insegnò una pietà islamica che sarebbe stata la molla del riscattoLa debolezza islamica, da Rashid Rida ad Haj Amin, attraverso Izz al-Din al-Qassam, è il cuore della narrativa palestinese ed è anche la controfaccia di come i Palestinesi ci vedono: come agenti dell’imperialismo. Tratteremo anche questo tema.

Abbiamo visto che nel 1882 il fatto che fossimo russi aveva lo stesso peso del nostro essere ebrei. Prima che nascesse un vero movimento sionista organizzato, il nostro essere russi fu motivo di paura per gli Ottomani. C’è sempre stato un patrono imperialista: quello russo fu sostituito da quello britannico. E incidentalmente, per un breve periodo, il patrono imperiale è apparso essere la Germania, quando gli ebrei iniziano a fuggire dalla Germania e venire qui in grandi numeri, negli anni ’20 (ne abbiamo parlato nel podcast). Allora c’è discussione fra gli ebrei: viene fondato il Technion, la grande università tecnica di Haifa, e si discute a lungo se l’insegnamento debba essere in ebraico o in tedesco. Perché in ebraico? Perché siamo sionisti. Perché in tedesco? Perché non ci sono parole ebraiche per la scienza. Nel 1920 non esistono i termini ebraici per la fisica quantistica, è meglio discuterne in una lingua che li ha. I giornali locali, incluso il Falastin a Giaffa, seguono questa discussione e, cosa affascinante, l’interpretano come un dibattito fra il nazionalismo ebraico e le connessioni all’impero tedesco delle elite dell’Yishuv, che sono di lingua tedesca. L’interpretano come un dibattito fra identità, ma per gli ebrei non è così. È un dibattito che riguarda che cosa si può fare con l’ebraico per costruire la nuova società, quindi in un certo senso tocca anche l’identità, ma non riguarda la lealtà al sionismo o alla Germania. Ma appare sempre una forza esterna, un patrono imperiale.

Nel 1948 la discussione arriva al parlamento egiziano. L’Egitto dichiara guerra nel 1948. Questa citazione è nel libro di Akex Jacobson e Amnon Rubinstein ‘Israel and the family of nations’, con tutte le fonti.

Quando a Maggio 1948 gli inglesi lasciarono la Palestina e iniziò la prima guerra arabo- israeliana, una delle ragioni che il primo ministro d’ Egitto, Nokrashy Pasha, addusse in parlamento per chiedere la dichiarazione di guerra fu che Israele era l’avanguardia del comunismo mondiale, e citò il movimento dei kibbutz come prova. Entrambe le camere del parlamento approvarono la guerra a ‘difesa dei diritti degli arabi a contro l’ateismo comunista e il nichilismo’. Perché mai gli ebrei dovrebbero essere l’avanguardia del comunismo? È una sciocchezza. Perché gli egiziani lo pensavano? Varie risposte dal pubblico: ‘il movimento dei kibbutz’, i tanti comunisti ebrei, il fatto che la Russia votò all’Onu per riconoscere lo stato di Israele (così fece anche il Cile, risponde Rettig Gur. Non basta). Perché? Perché i comunisti stavano finanziando e armando gli ebrei. La fonte di armi per gli ebrei nel ’48 fu l’ordine diretto di Stalin di dare armi a Israele attraverso la Cecoslovacchia. Gli ebrei avevano grave carenza di armi e le armi gli arrivarono inizialmente dai sovietici. Che cosa vedevano i sovietici negli ebreiUna probabile avanguardia del comunismo globale, o così speravano. Senza i comunisti gli ebrei non avrebbero avuto le armi. Quando gli arabi parlano, e per arabi intendo l’intero mondo arabo, dicono che quando c’è un confitto noi abbiamo sempre un ‘patrono’.

Nel 1956, non molti anni dopo, chi è il primo fornitore di armi all’Egitto? I sovietici! I sovietici forniscono agli egiziani le armi per distruggere gli ebrei. Ma nel 1948 la dichiarazione di guerra dell’Egitto è contro ‘l’avanguardia del comunismo’ ! Il che dovette sorprendere i palestinesi, che invece pensavano che gli ebrei fossero il braccio dell’imperialismo inglese.

Ricordate l’Algeria? Algeria 1962, vittoria del FNL (Fronte di Liberazione Popolare). 1964: PLO (Movimento di Liberazione della Palestina). Quale era la teoria dietro la vittoria de FNL? Una voce dall’uditorio: rendi troppo alto il costo di rimanere lì per i francesi. E così facciamo con gli ebrei: se li terrorizziamo e rendiamo troppo alto il costo di rimanere, se ne vanno. E dove vanno? Chi li potrebbe accogliere? Nel 1964, quando venne fondato il PLO secondo il modello del FNL, da dove veniva la metà degli ebrei d’Israele? Dal mondo arabo! La tragedia del PLO che costruisce il proprio modello su quello vincente del FNL è che quando tutti i francesi se ne vanno, chi altri è costretto ad andarsene? Gli ebrei! Se i palestinesi avessero saputo che cosa successe agli ebrei quando il FNL vinse, forse non sarebbero stati tanto convinti della teoria. Ma non badano a che cosa succede agli ebrei che fuggono quando vince il FNL. Non si accorgono che quello che succede agli ebrei con la presa del potere da parte del FNL rende invalida la strategia che proprio loro adottano sul modello del FNL!

Ma la parte di storia che non vi ho detto sull’Algeria del 1962, e che potete leggere in Alistair Horn, riguarda il 1956. Nel 1956 Israele si trova in una situazione di pericolo esistenziale, un momento strategicamente molto simile all’attuale, come sto scrivendo in un articolo per il Times of Israel. Nel 1956, otto anni dopo il 1948, gli ebrei si accorgono di essere circondati da un nuovo nazionalismo arabo guidato da un certo Nasser, armato e protetto dagli inglesi. Nel 1948 gli arabi erano essenzialmente nel caos, con poche armi, poco addestramento, nessun coordinamento. A stento riuscirono a schierare eserciti con qualche capacità. Nel 1956 non erano più così. Il 1956 fu in parte il tentativo di far arretrare il nemico mortale che ora gli ebrei vedono nel nazionalismo arabo. Gli arabi invece che cosa vedono? Chi aiutò Israele? Chi chiese agli ebrei di conquistare il Sinai in quella che noi chiamiamo operazione Kadesh? Inglesi e francesi. E da dove venivano le forze francesi che arrivarono nel Sinai – anche se poi non combatteranno perché Eisenhower non vuole? Dall’Algeria! Connettete fra di loro i punti? Se sei un arabo del 1956 non puoi non farlo e non pensare: credevo che il sionismo fosse comunismo, ma chiaramente oggi è imperialismo inglese e francese, perché ora i comunisti sono dalla nostra parte - perché siamo Terzo mondo. Nel 1962, quando il FNL caccia i francesi dall’Algeria, questa connessione è così profonda che diventa quello che noi chiamiamo  ‘mitbakesh’, ovvia. È difficile non pensare che l’Algeria è la Palestina, occorre uno sforzo consapevole per non arrivare a tale conclusione, perché la connessione è così coerente e così radicata.

Andiamo vero la fine. Voglio finire con gli anni ’60 e nei prossimi minuti corro verso la conclusione.

Nel 1974 Yasser Arafat parla all’ONU. In questa foto è alla porta di Brandeburgo nel 1971, con l’appoggio sovietico, nella Germania dell’est. Arafat nel 1974 è introdotto al podio dell’Assemblea generale ONU dal presidente dell’Algeria, che era anche il leader del FNL! E dice (leggete tutto il discorso tradotto online): ‘Viviamo in tempi di gloriosi cambiamenti. Il vecchio ordine mondiale crolla davanti ai nostri occhi, mentre imperialismo colonialismo e neocolonialismo (la variante smart del colonialismo di Matrix, commenta Rettig Gur) e razzismo, di cui la forma principale è il sionismo (la cosa più importante sono i tanti -ismi, commenta Rettig Gur) periscono ineluttabilmente. Abbiamo il privilegio di essere testimoni di una grande ondata storica che porta i popoli a un nuovo mondo di loro creazione’. Arafat indossa la pistola e parla di tutti i movimenti anticoloniali e della ritirata di tutti i grandi imperi occidentali. ‘In quel mondo trionferanno le giuste cause. Ne siamo certi. La questione di Palestina appartiene a questa prospettiva di emergenza e di lotta. La Palestina è cruciale per le giuste cause per cui combattono senza sosta le masse travagliate dall’imperialismo e dall’aggressione’.

Che cosa è il sionismo?  Dal pubblico una voce risponde: razzismo. Tutti quegli -ismi insieme, dice Rettig Gur. Perché? Per tutti i motivi che abbiamo visto. Arafat è un idiota, un cretino? È un assassino di massa, ma è anche idiota? (Varie risposte non comprensibili dal pubblico). A volte arroganza e audacia sono maschere della disperazione, ma penso che lui ci creda. Lui ci crede, e penso sia perché così pensavano anche i suoi genitori e i suoi nonni. Sapete perché? Perché è proprio così, e perché sembra ragionevole (voci dal pubblico).

Siamo due anni dopo il massacro alle Olimpiadi di Monaco, subito prima o subito dopo il massacro di Ma’alot , quando membri del DFLP (una delle correnti del PLO) infiltrati dal Libano entrarono nella scuola elementare e uccisero 22 scolari (nell’anniversario della proclamazione dello stato d’Israele. Ci furono altre sei vittime adulte e molti ostaggi). Dunque Arafat è l’anticolonialista che combatte la battaglia d’Algeri e viene a dirci: abbiamo 75 anni di prove che il sionismo è imperialismo e colonialismo, neo-colonialismo e razzismo. Questa è anche quanto dice la risoluzione ONU che equipara il sionismo al razzismo: succede proprio allora. Mi seguite?

Il sionismo ha usato l’imperialismo, o gli imperi, o chiunque avesse il potere al momento. Herzl tentò di aver accesso al Sultano – e l’Impero ottomano era imperialista, molto imperialista. I sionisti lo usarono. Ma il sionismo fu imperialista? Usò l’imperialismo, usò il potere del momento, ma fu mai il potere del momento? No. Perché no? Un indizio che avrebbe dovuto far riflettere gli intellettuali palestinesi è che quei poteri cambiavano sempre. Il miglior esempio è la rivolta anti-inglese del ’36 che lascia i palestinesi meno capaci di combattere nel ’48, e gli ebrei non se ne vanno quando se ne vanno gli inglesi. Il presupposto della Grande Rivolta è l’idea che se spariscono gli inglesi spariscono anche gli ebrei. Ma che succede se gli ebrei usano gli inglesi, come fanno i popoli minoritari, anziché essere il braccio degli inglesi? Che succede se gli ebrei prendono le armi dai cecoslovacchi perché non possono averne altre? Truman riconobbe lo stato di Israele in 11 minuti, ma poi sottopose lo stato ebraico a embargo militare per tutta la durata della guerra. Non so se ve lo dicono ai seminari sul sionismo nelle scuole ebraiche in America. E gli ebrei prendono le armi dai comunisti, ma sono sovietici? Gli ebrei non sono imperialisti russi, non sono imperialisti tedeschi, sono rifugiati dallo Zar, che lo Zar trova utile considerare suoi sudditi quando vanno nell’Impero ottomano, per strappare un po’ di potere agli Ottomani un po’ ovunque. La Francia durante la guerra d’Algeria si lega ad Israele, suggerisce persino agli arabi il parallelo fra francesi e sionisti – non un gran complimento per il sionismo. Ma sono ben diversi dai sionisti. I francesi possono andarsene, i sionisti non paiono mai andarsene.

Poi attorno al 1970 l’America diventa il grande sostenitore di Israele, per motivi che hanno a che vedere più con la geopolitica che con l’amore, perché se fosse stato amore sarebbe iniziato ben prima. Così i palestinesi anche oggi sono convinti che l’appoggio imperiale sia l’unico motivo per cui resistiamo. Vi ho già detto perché non è così, perché la lotta anticoloniale non funziona contro gli ebrei, anche se ha funzionato nei confronti di tanti altri. Noi siamo ebrei e siamo convinti che non funziona perché non abbiamo un altro posto in cui andare. Ma i palestinesi hanno una risposta che non presuppone di dover riconoscere che non abbiamo altro posto in cui andare. Quale è la risposta? Tanto hanno sempre qualche impero o qualche patrono che li sostiene. Che cosa succede nelle vostre università? La campagna anti-Israele, il movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) e tutto ciò che li ha preceduti, da dove arrivano? Una parte di substrato ideologico viene dall’era sovietica, è vero, dalla propaganda sovietica, ma non è la corrente principale. La corrente principale viene dalla società civile palestinese. I palestinesi hanno avviato la campagna BDS nel 2001 a Durban (se non sapete di che parlo, cercate online), le élite palestinesi in occidente guidano il movimento, gli forniscono linguaggio e strategia. Quale è la strategia? Perché questa campagna ossessiva contro Israele e contro il sionismo in occidente? Forse per bigotteria, è anche possibile, ma non è necessario essere bigotti. Perché ha senso questa strategia? (risposte non udibili dal pubblico). Rimanete in argomento, non andate oltre. Se andate oltre trovate altri collegamenti, li trovate ovunque. ‘Se vogliamo indebolire Israele, dice la strategia, voi resistenti l’indebolite dall’interno, noi diaspora palestinese ci occupiamo del grande patrono – c’è sempre un grande patrono. E se scolleghiamo l’America da Israele che cosa succede a Israele? (voci incomprensibili dal pubblico). Abbiamo 100 anni di storia, 100 anni di prove, sappiamo che succede sempre; c’è sempre un impero. Io direi ai palestinesi: sì, ma è sempre un impero differente.  ‘Sti ebrei astuti! Forse non vi accorgete del peso della forza e della resilienza interna degli ebrei. Ma se la forza e la resilienza sono interne agli ebrei, è con me che i palestinesi dovrebbero parlare, ma non vogliono parlare con me, perché gli costerebbe. Così vanno a cercare l’Impero e operano per staccarlo da noi. Ma se funziona che succede? Disappariamo, evaporiamo? Non abbiamo più l’arsenale nucleare, secondo reports internazionali?  Che succede?  Torniamo a Baghdad?

 È sempre lo stesso punto, che è il cuore della discussione palestinese nei nostri riguardi: il colonialismo. È ora che vi parli della nota cui ho già accennato, quella del geografo israeliano antisionista, perché per lui il sionismo è colonialismo, perciò lui è antisionista. Ricordate? Siete pronti? Ora la leggo. Me l’ha segnalata Alex Yacobson, autore del libro di cui abbiamo già parlato. ‘Il sionismo è puro colonialismo, con alcune differenze. Ora leggo testualmente le differenze:’ la natura del progetto sionista è etnico e nazionalista più che economico’(Altrimenti è puro colonialismo). ‘Lo status di rifugiati della maggioranza degli ebrei giunti in Palestina’ (altrimenti è puro colonialismo). L’organizzazione informale delle comunità della diaspora ebraica, in contrasto con i collegamenti ben organizzati con la potenza coloniale madre’ (cioè, se siete studenti universitari, Metropoli), ed infine il ritorno a Sion che è radicato nella tradizione ebraica’ Il sionismo è certamente colonialismo fatta eccezione per le differenze. Questo dice la nota. Ora citerò il mio grande maestro Alex Yakobson: ‘In altre parole, il sionismo era un fenomeno coloniale da ogni punto di vista, del tutto simile ad altri esempi di colonialismo moderno, eccetto per il fatto che era un movimento nazionale, non motivato da scopi economici, che nacque dalle sofferenze e fu realizzato da rifugiati. E che i coloni non avevano una madre patria coloniale e la terra d’Israele era parte dell’identità storica del popolo ebraico’. Per il resto, è puro colonialismo! Perché è importante? Come vivono e sentono il sionismo i palestinesi? Quando i palestinesi dicono ‘siete imperialisti, siete colonialisti’, o quando Arafat tiene questo discorso?

Questa è una bella citazione: ‘il focolare nazionale ebraico è sorto sulle punte delle baionette inglesi’. Credo sia di Ilan Pappe. Dunque è chiaramente un progetto imperialista. Mi piace questa citazione, perché è così colorita. Fu proprio così, ma poi gli inglesi divennero nostri oppositori, eppure noi non sparimmo.

Il sionismo visto come colonialismo è importante in questa storia, ed è la convinzione vera e sincera delle élite palestinesi sino ad oggi, è quello che li fa essere così riluttanti ad accettare di dover avere un tipo diverso di rapporto con noi. Perché nella loro esperienza ci sono sempre stati tre passaggi ricorrenti, sempre uguali, per un intero secolo. Gli altri due temi sono il tradimento del mondo arabo e islamico. Nel discorso islamico, arabo e palestinese il sionismo diventa il simbolo della debolezza islamica, della resa islamica, del fallimento dell’islam nell’affrontare l’età moderna. Ecco perché il mondo islamico non fa marce contro il genicidio di Assad in Siria e non alza la voce né piange per ciò che avvenne in Yemen – 250 000 morti in massa per la fame. In questo momento in Sudan ci sono un milione e mezzo di rifugiati, ma il mondo islamico non ci fa caso, perché non è una storia che dica qualche cosa su di loro, ma soltanto sul fatto che il Sudan è un paese allo sbando. Ma lo scontro israelo-palestinese è da un secolo una storia sull’islam, sulla sua debolezza e sul tradimento della politica araba e della debolezza islamica. E su quanto è patetico essere in ritirata davanti a rifugiati ebrei. Se dovessero ammettere apertamente che gli ebrei sono miseri rifugiati – come in fondo in fondo sanno, come abbiamo visto dalla lettera del padre del Muftì - e non gli agenti di qualche potente impero occidentale, sarebbe ancora peggio, come abbiamo capito da Rashid Rida. È meglio essere sconfitti da un grande impero che dalla feccia umana in fuga dai progrom. Così la storia del risorgimento islamico coincide con la storia di Israele e Palestina. L’energia del mondo islamico e del discorso intellettuale islamico, della storia nazionalista panaraba e della specifica storia nazionale palestinese è il motivo per cui Hamas è popolare anche se è odiato. È il motivo per cui il modo arabo ha per noi un’ossessione, il motivo per cui il primo ministro malese Mahatir Mohamad non cessa di parlare degli ebrei israeliani che pure non ha mai conosciuto. Perché mai un primo ministro malese dovrebbe interessarsi agli ebrei israeliani? Perché è un modo per parlare dell’islam e del suo posto nella storia.

Se siete attenti al discorso sul terzo mondo e pensate che sia una storia di colonizzatori e di colonizzati, di oppressori e di oppressi, siete ossessionati da Israele. Gli accademici sono ossessionati da Israele, anche quando non gli converrebbe, perché dovrebbero interessarsi ugualmente di tutti i morti e di tutti i problemi del mondo, in quanto accademici. Ma no, Israele è la storia più grande, perché è un simbolo. La narrazione islamica su di noi non è semplicemente antisemita: è profonda e possente e coerente, ma i palestinesi torneranno a perdere, perché è anche una diagnosi sbagliata su di noi, che li guida verso politiche e strategie che non possono che fallire nel cercare di mandarci via, farci sloggiare – non finché non abbiamo un altro posto in cui andare.

Uno dei miei argomenti favoriti sono i ragazzi dei college che gridano ‘decolonizzazione!’ perché hanno letto qualche pagina di Fritz Fanon. Quando gridano ‘decolonizzazione’ che cosa vogliono dire? Non fanno danni a me, penso facciano danni a voi. Gli israeliani non li possono sentire, dunque gridano per voi, per gli ebrei americani, per distaccarvi da noi. È antisemitismo verso di voi, non ha nulla a che vedere con me, perché non possono raggiungermi. A che tipo di ragionamento si attaccano? Non si accorgono che si attaccano a tutte queste errate diagnosi della storia palestinese, che hanno preso l’avvio fin dall’inizio. Non abbiamo più tempo per dire altro.

E la soluzione è… Dr. King. Domande? (applausi, Rettig Gur riprende). Qualche parola su Dr King e perché è la soluzione. Pronti? Proviamo a risolvere il conflitto in tre minuti!

Martin Luther King era molto intelligente. Quand’ero studente alla High School di Glendale in Wisconsin non lo sapevo, ma il mio insegnante di storia mi obbligò a letture su di lui. Dapprima mi annoiò, perché era troppo oratorio e dolce e intelligente – e io in quanto figlio di un rabbino apprezzavo che fosse un religioso, però non esageriamo con l’incensarlo! Io sono un cinico sapientone. Poi lessi dr King direttamente e me ne innamorai perdutamente, perché non è un grande capo spirituale, come se ne trovano a dozzine – e di solito sbagliano tutto - per lo meno così succede qui in Israele, non so in America. Era un magnifico stratega. Dr King marciava nel Sud, e le sue marce non avevano nessun successo, finché non ebbe un lampo di genio. Non è che King creda nella non violenza, crede in quella che chiamò nonviolenza coercitiva, cioè crede nella violenza degli altri, non nella propria. Così andò al sud a cercare sceriffi, ufficiali della polizia locale che avrebbero risposto con grande violenza alla marcia degli attivisti neri americani e dei loro alleati, fra cui molti ebrei. Aveva bisogno della loro violenza. Andò a Selma e a Birmingham e in altri luoghi che cercò apposta, dove ci sarebbe stata riposta violenta da parte dello sceriffo, che fosse o non fosse razzista - ma per lo più lo erano tutti. È l’America degli anni ’50, è il sud. La maggior parte degli sceriffi pensano che il loro primo compito sia mantenere pace e ordine nelle strade. Non devono aver simpatia per chi protesta, devono mantenere la quiete per le strade. Dr King aveva bisogno di sceriffi che pensavano che il loro primo compito fosse tenere i neri al loro posto. Di questi aveva bisogno. Andò da loro e loro servirono al suo scopo in modo eccellente. Spero che gli abbia poi mandato dei fiori. Con la violenza istigata dalla sua nonviolenza portò a forza la storia della giustizia sugli schermi dell’America bianca.

L’ingiustizia è difficile da vedere come una cosa specifica, che si può afferrare: è una cosa lunga, lenta, cui si fa l’abitudine. Così devi rendere l’ingiustizia potente e immediata e dolorosa, tanto da non volerla più vedere. E questo lo fai con la violenza della controparte in risposta alla tua non violenza. Così facendo Dr King forzò la narrativa nell’America bianca, finché divenne sgradevole, intollerabile. Dunque doveva cambiare. Allora dr King andò al Mall e tenne il suo famoso discorso ‘ I have a dream’ di cui tutti ricordano le parole… (l’uditorio ripete in coro : “that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin, but by the content of their character”). Tutti ricordano quelle parole perché sono belle, perché sono belli i bambini. Io ne ho quattro e anch’io spero che non saranno giudicati dal colore della loro pelle, che è un bel beige, ma non è quello il cuore del discorso. Quale è il cuore del discorso? L’assegno, la promessa. Leggete e guardate il discorso. Dice che i fondatori dell’America hanno rilasciato a tutti i cittadini la promessa del diritto inalienabile alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità. Ma sono andato alla banca della libertà per incassare la promessa (lui lo dice meglio, guardate direttamente il video) e mi è tornata indietro per mancanza di fondi. Io rifiuto di credere alla bancarotta della libertà. Quale è il punto?  Sì’, l’America è in debito, ma non soltanto questo: voi l’avete promesso. Non voglio che siate qualchecosa di diverso, voglio che siate quello che voi pensiate di essere. Se voi foste quello che pretendete di essere, la questione sarebbe risolta. Se foste quello che dite di essere ai vostri giovani, cioè che siete buoni, avremmo libertà ed uguaglianza. Sono venuto alla banca della libertà, fate in modo che ci sia abbastanza libertà perché voi possiate mantenere la vostra promessa. Voi, schiavisti che prometteste libertà. Assicuratevi che quell’assegno venga pagato. Siate quello che pretendete di essere.

I conflitti sono di due tipi. Quelli a somma zero: se io vinco, tu perdi – se tu vinci io perdo. Dunque debbo vincere. Ci sono conflitti così. Credo che quello con i nazisti fosse di tale natura. E c’è un altro tipo di conflitto, che chiamerei tragico, in cui entrambe le parti hanno ragioni, entrambe le parti hanno un buon argomento, entrambe le parti vogliono qualchecosa che meritano. Questi non sono conflitti di realtà, ma piuttosto di psicologia dei capi che guidano il conflitto. Che cosa voglio dire? In un conflitto a somma zero io sono soltanto giustizia e tu sei soltanto malvagità, se vengo a dirti ‘facciamo un compromesso fra la mia giustizia e la tua malvagità’, come fece Chamberlain a Monaco … che cosa successe? Che cosa succede a un leader che va dalla controparte che è tutta malvagità per fare un compromesso? Si scava la fossa da solo, perché la controparte è pura malvagità. Come si può trovare un compromesso con il male assoluto? Ma che succede se il conflitto è ridefinito non a somma zero, ma un confitto in cui l’avversario ha un buon argomento? Ovviamente io ho ragione al 90% perché sono io, ma c’è un 10% di ragione dall’altra parte. Che cosa disse dr. King a proposito dell’America bianca in un implicito e talora esplicito dibattito con Malcolm X? C’è qualchecosa con cui negoziare, anche dopo 250 anni di schiavitù e 100 anni di Jim Crow e dopo la guerra più sanguinosa della storia americana, proprio per la schiavitù. C’è qualchecosa con cui negoziare, c’è una giustizia che posso usare per raggiungere il nemico: la storia che loro raccontano di se stessi. Se in un conflitto tragico, con fonti diverse di diritto o giustizia, il leader di una parte si appella alla giustizia della controparte e segna un punto, porta più giustizia. Non è somma zero. Non ci sono esattamente 40 parti di giustizia e se una parte ne ha una l’altra ne perde una. Puoi avere 20 parti da una parte e 20 dall’altra, e averne 80 in totale. Si può tender la mano alla controparte in un conflitto che ha molteplici fonti di diritto e dire: non faccio pace con i tuoi crimini, con i tuoi orrori ed errori, ma posso far pace con il resto, con la storia di libertà che narri di te stesso. È strana una storia ed una identità centrata sulla libertà, è strano che l’identità nazionale americana sia l’idea di libertà. Con questo posso far pace, in questo posso trovare una patria.

Prendete questo modello e applicatelo all’esperienza palestinese. Sino ad ora abbiamo visto ebrei ed arabi in un conflitto a somma zero: quello che guadagnano gli ebrei lo perdono i palestinesi – quello che i palestinesi guadagnano lo perdono gli ebrei. È nefario, è estraneo, si può sperar di eliminare soltanto versando molto sangue. Ma che succede se non si può eliminare? E non soltanto non si può eliminare, ma c’è giustizia, ci sono diritti anche dalla parte degli ebrei?  Non necessariamente tanti, abbastanza da potercisi afferrare. Che succede se dagli ebrei accetto non che il sionismo è vero e questa è la loro terra. No, questa è la mia terra, ma loro sono rifugiati senza altro posto al mondo, un popolo del mondo che ha bisogno di respirare l’aria della terra? È abbastanza da potercisi afferrare? Posso venir a patti con questo?

Quale è il problema politico dei palestinesi oggi riguardo alla pace? Abbiamo parlato a lungo (durante una gita in pullmann) del lungo arco di esperienze nel processo di pace, di perché gli israeliani pensano di aver tentato e ritentato e i tentativi sono finiti tutti, ripetutamente, in fiumi di sangue. Non voglio dire che questa sia la verità storica obbiettiva, tutta la verità storica, ma è l’esperienza vissuta degli israeliani. Ma che cosa succede se diciamo ‘Ok, sei Hamas e dici che siamo in un conflitto a somma zero e se ti tendo la mano danneggio me stesso, ma…? Quale è il problema per tutti i mediatori di pace in Palestina? Quale è il problema di Yasser Afarat quando va a Oslo? È lo stesso Arafat del discorso del 1974 che va a Oslo per far pace con che cosa? Con che cosa pensa di dover far pace? Con il colonialismo, l’imperialismo, il razzismo e il neocolonialismo. Così si scavò la fossa da solo. Perché Mahamud Abbas è odiato? Perché è un dittatore? No, Hamas è una dittatura ben peggiore e non è altrettanto odiato. Abbas è odiato perché si presenta come il Chamberlain della situazione.

Quando i palestinesi conoscano la nostra storia, quella di cui abbiamo parlato nell’incontro precedente, non perdono l’esperienza della propria storia, ma intravvedono fra le nuvole anche l’esperienza della controparte e vedono i buchi della propria narrazione, che non invalidano ciò che hanno vissuto, ma indicano che c’è anche un altro pezzo di storia. La loro storia non è falsa, il loro modo di pensare non è stupido, ma c’è di più, c’è anche altro. E se trovano qualchecosa da afferrare non è più necessario essere Chamberlain per far pace con quella cosa. Fra l’altro dr. King non era né gentile né beneducato.

I palestinesi hanno a disposizione una strategia non violenta profondamente coercitiva.

Gli ebrei stanno creando insediamenti. Che cosa possono fare? Tirarli giù dalle colline? Ne fondano altri. Che fare allora? Tirarli di nuovo giù? Ma se nessuno spara, se nessuno tira sassi, presto la sinistra israeliana tornerà al potere. I palestinesi hanno a disposizione una strategia, ma deve iniziare e finire con il resto della storia, di quella storia che si raccontano su di noi.

Grazie.

Lascia un commento

Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!

Accedi

Non sei ancora registrato?

Registrati

I vostri commenti

Per questo articolo non sono presenti commenti.