Il 17 ottobre 2008 Lafif Lakhdar, pensatore arabo liberale, ha pubblicato su
www.elaph.com un saggio che mostra come Hamas sia un altro anello nella catena dei "no" palestinesi al compromesso per motivi religiosi, e come questi "no" abbiano sempre portato ai Palestinesi disastri politici.
Ne traduciamo alcuni estratti, di costante attualità.
La classe dirigente palestinese manca di realismo.
Nel 1937 al Commissione Peel propose al governo britannico la spartizione della Palestina assegnando l'80% del territorio agli Arabi, il 20% agli Ebrei. Il Gran Muftì di Gerusalemme Hajj Amin Al-Husseini, allora leader della Palestina, rifiutò subito la proposta per motivi religiosi. Disse che la Palestina è un waqf (patrimonio religioso islamico), e non è legalmente possibile cederne agli Ebrei neppure un centimetro. Invece David Ben Gurion, leader degli Ebrei, diede la seguente risposta articolata: la proposta delude le nostre aspettative, ma non mi sento di rifiutare questa possibilità. Anche la legge religiosa ebraica, come quella islamica, proibisce la cessione della terra agli infedeli. Ma Ben Gurion aveva una mentalità moderna e considerava quella legge ormai obsoleta.
Lo statuto di Hamas ribadisce ossessivamente i rifiuti del 1937 e del 1947, utilizzando espressioni che risalgono a testi religiosi islamici del Medioevo: la Palestina è patrimonio religioso islamico, non se ne può cedere neppure un centimetro. Questa è una forma di pensiero magico: continuiamo a dire no, e la cessione scomparirà miracolosamente, anche se rimane una realtà di fatto.
Il rifiuto della spartizione è uno scandalo dal punto di vista politico, e dobbiamo continuare a ricordarlo per far capire alle nuove generazioni quanto è pericoloso rimaner legati alle teorie di 'cospirazioni' contro 'la Palestina saccheggiata', e quanto sia pericoloso crogiolarsi nel masochismo religioso (nulla accade contro il volere di Allah) per giustificare i disastri causati dal mescolare la legge islamica e le decisioni politiche.
Ancora più pericoloso è continuare a rimandare l'abbandono della legge islamica nelle decisioni politiche. Rifacendosi alla legge islamica e alle sue massime inflessibili Amin Al-Husseini causò la perdita della patria ai Palestinesi. David Ben Gurion invece col suo atteggiamento politico basato sull'arte del possibile in quel momento storico e con quell' equilibrio di forze, ottenne una patria per il suo popolo. Invece di demonizzare l'avversario è preferibile esaminare i propri errori passati ed evitare di ripeterli ossessivamente per 70 anni, come hanno fatto i Palestinesi.
Il rifiuto fanatico pietrifica la mente.
Lo slogan ' tutto o niente' è un inconscio ritorno alla legge islamica che proibisce di cedere anche un solo centimetro di terra palestinese ed è questo slogan che ha causato la perdita della Palestina intera per 70 anni: nel 1937, nel 1947 e ancora nel 2000, quando Yasser Arafat - che si considerava titolato ad essere Muftì di Palestina- rifiutò la proposta del presidente Clinton, forse la migliore possibile per qualunque palestinese.
E' importante abbandonare questa politica di rifiuto totale che pietrifica la mente e impedisce di fare scelte razionali. L'atteggiamento oppositivo per partito preso è un atteggiamento mentale che appare nella prima infanzia, nella fase anale dello sviluppo della personalità…Negoziare significa contrattare. Sino a quando i dirigenti palestinesi rimarranno fermi alla fase anale del ragionamento politico?
Oggi ci sono due possibilità di negoziazione per i Palestinesi: un accordo parziale attuabile subito, mentre i punti più dolenti (Gerusalemme ed i diritti dei rifugiati) vengono rimandati ad altro momento, oppure un accordo sui principi, che rimarrà in sospeso per dieci anni, in attesa che si risolva il conflitto fra Hamas e Fatah. Questo conflitto ha la sua base nell'immaturità del pensiero politico e religioso palestinese, e più precisamente nel conflitto che ha opposto nella prima metà dello scorso secolo gli Al-Husseini agli Al-Nashashibi. Ma oggi pare che i Palestinesi rifiutino entrambi...
I dirigenti palestinesi non hanno imparato dagli errori passati
In politica non si rifiuta a priori una offerta in un impeto di rabbia. Si studiano e si ricercano le alternative possibili. I Palestinesi hanno proposte realistiche alternative? Se le alternative sono la richiesta di uno stato bi-nazionale (proposto da Sari Nusseibeh, che poi si pentì di essere apparso troppo moderato), o l'intifada delle Brigate Al-Qassam e Al-Aqsa (già sperimentata e già fallita), allora anche queste sono ulteriori dimostrazioni che la dirigenza palestinese non impara dai propri errori. Sarei contento di riuscire a risvegliare i Palestinesi intelligenti, come tentò di fare Habib Bourghiba nel suo discorso a Gerico del 1965, quando chiese di tentare ciò che non era ancora stato tentato: la via del realismo. E' necessario realismo per evitare la definitiva disastrosa divisione della Palestina in due aree: la Cisgiordania sotto controllo giordano e Gaza sotto controllo egiziano. La soluzione del problema di Palestina è cruciale per la stabilità del Medio Oriente, così come il petrolio ed i petrodollari sono cruciali per l'economia mondiale. La diplomazia internazionale non starà a lungo ad aspettare che i dirigenti palestinesi abbandonino la politica del rifiuto assoluto.
I Palestinesi sono i peggiori nemici di se stessi
Il primo passo per superare la politica del rifiuto assoluto è l'autocritica: ammettere che molti Palestinesi,arabi e islamici sono i peggiori nemici di se stessi, che sono loro gli artefici dei disastri da cui sono colpiti, non i sionisti, gli imperialisti, i massoni, i comunisti, la globalizzazione o il nuovo ordine internazionale, come sostengono coloro che presentano gli Arabi come vittime e li inducono a lagnanze infantili. L'incapacità dei dirigenti palestinesi di accordarsi su di un progetto nazionale, con la conciliazione fra Hamas e Fatah, è il motivo per cui non riescono a raggiungere obiettivi nazionali. La storia del 20° secolo ci dice che nessun gruppo nazionale ottenne l'autonomia finché rimase coinvolto in guerre civili. Il movimento sionista, ad esempio, comprendeva varie fazioni politiche, ma le sue forze armate vennero unificate sotto un'unica autorità, e questa fu la chiave del suo successo.
La folle esitazione dei leader di Hamas.
L'iniziativa egiziana di riconciliazione fra le fazioni palestinesi sotto la supervisione di una delle menti migliori d'Egitto, il capo dell'Intelligence Omar Suleiman, potrebbe essere l'ultima possibilità di porre fine all'incapacità di fare guerra da parte di Fatah e all'impossibilità di fare pace da parte di Hamas. Per i più intelligenti membri di Hamas è un'occasione d'oro per superare la barriera che impedisce di passare dalla mentalità religiosa alla mentalità politica, dall’osservanza della sharia nelle questioni politiche all'uso degli strumenti di legalità internazionale, ad esempio accettando la risoluzione ONU sulla legittimazione dello stato di Israele e il principio dei negoziati per la creazione dello stato palestinese.
E' vero che il capo dell'ufficio politico di Hamas Khaled Mash'al ha definito Israele 'una realtà di fatto', ma per la legge internazionale un mezzo riconoscimento non è un vero riconoscimento. Hamas deve riconoscere legalmente Israele, con una dichiarazione ufficiale che riconosca tutte le risoluzioni internazionali già accettate dall’OLP e dall'Autorità Palestinese. Una tale dichiarazione verrebbe ricordata in lettere d'oro nella storia della Palestina, perché capace di avviare il motore del processo di pace israelo-palestinese.
Sotto lo sceicco Ahmad Yassin. Hamas era propensa a cancellare alcuni articoli del proprio statuto, fra cui l'impegno a liberare la Palestina fino all'ultimo grumo di terra e a mantenerla come Waqf di tutti i musulmani, in cambio della costituzione di uno stato palestinese entro i confini del '67. Implicitamente era propensa anche a rinunciare al dovere di proseguire il jihad fino al giorno del giudizio universale. Ma dopo la vittoria elettorale del 2006 i capi di Hamas sembrano presi dal complesso di Amleto: un'esitazione che impedisce l'iniziativa politica. Non hanno sconfessato l'ammissione implicita di Ahmad Yassin che la liberazione totale della Palestina non è un'ipotesi realizzabile, né quella di Khaled Mash'al che Israele è una realtà di fatto, ma neppure l'hanno esplicitamente accettata.
Chiunque voglia uno stato palestinese entro le frontiere del ‘67 deve usare la logica e accettare che è necessario riconoscere Israele e negoziare con Israele, come ha fatto l'Autorità Palestinese per anni. Lo stato Palestinese non è come Gesù, che venne al mondo per Immacolata Concezione. Fino a quando i capi intelligenti di Hamas rimarranno ostaggi delle brigate di Al Qassam, per i quali la violenza è divenuta una seconda natura? Chi si arroga il diritto di uccidere una volta se lo arrogherà sempre in futuro…
Se fossi uno dei capi intelligenti di Hamas accetterei il tentativo di conciliazione che il generale Omar Suleiman cerca di promuovere fra le fazioni palestinesi, senza timore di possibili insidie o tranelli.
Una tregua (tahdiah) con Israele non sarebbe un fine ma un mezzo per giungere a negoziati. Per la tahdiah occorre eliminare quegli elementi interni al Jihad Islamico che non intendono rispettarla.
I capi di Hamas hanno paura dei loro stessi seguaci
Il principe saudita Bandar bin Sultan ha detto che i capi di Hamas promisero di persuadere i propri seguaci a riconoscere (se necessario) Israele entro tre mesi dalla propria elezione. Ma ora hanno forse paura dei loro seguaci, specialmente di una fazione delle brigate Al-Qassam. Dovrebbero ricordare il consiglio di Roosevelt sul coraggio politico, che “la sola cosa di cui aver paura è la paura”. Un movimento politico deve fare l'interesse della popolazione. E' interesse del popolo rimanere senza stato, nella fame, sotto assedio, soltanto perché i loro capi non hanno coraggio politico? Hamas è a un punto di svolta e deve scuotersi e rimettersi in sesto per affrontare le sfide che toccano al suo popolo.
Molti politici in Medio Oriente sono mentalmente miopi. Molti politici israeliani vedono soltanto i “vantaggi” dell'occupazione della Cisgiordania e di Gerusalemme, alcuni politici palestinesi hanno un anelito patologico a liberare l'intera Palestina mandataria, e gli Iraniani hanno un desiderio folle di bomba atomica.
Questi politici non vedono la realtà. Ma nei fatti prima o poi tutti dovranno accettare la realtà e accettare la necessità di un accordo fra Arabi, Turchi, Israeliani, Iraniani per fare passi avanti, invece di perdere tempo, soldi e vite umane nella dialettica assassina della guerra e della resistenza.
Lascia un commento
Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!
Accedi
Non sei ancora registrato?
Registrati