Il 24 dicembre il presidente serbo Boris Tadic e il presidente russo Dmitri Medvedev hanno firmato un “accordo politico” a Mosca, che prevede la costruzione di un tratto del gasdotto South Stream in Serbia. La delegazione serba ha inoltre firmato un accordo per la vendita del 51% dell’azienda energetica serba, la Naftna Industrija Srbije (NIS), alla Gazprom Neft per una cifra pari a 400 milioni di euro.
Il prezzo è basso, ma è il meglio che avrebbe potuto ottenere la Serbia al momento, vista la crisi finanziaria in atto.
La Russia è l’unico paese dotato di denaro sufficiente a comprare l’azienda energetica e il governo di Belgrado ha un disperato bisogno di denaro per far fronte alla crisi, considerato il tasso di crescita negativo e la svalutazione del dinaro. Gli altri due paesi che avrebbero potuto concorrere all’acquisto, Austria e Ungheria, versano in difficili condizioni economiche e hanno rinunciato in partenza.
Il clima finanziario sfavorevole ha permesso alla Russia di penetrare sul mercato dell’energia europeo: con il recente accordo Mosca entra in possesso di un pezzo della rete di distribuzione europea, da cui potrebbe espandersi nei paesi adiacenti, Bulgaria, Ungheria e Romania. Ma il patto ha un consistente numero di cavilli che lo rendono tutt’altro definitivo. La partita quindi non è ancora chiusa.
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