Da un saggio di George Friedman apparso su Strategic Forecast, 16 gennaio 2009.
Il concetto di geopolitica della Palestina è di per sé controverso, perché c'è chi sostiene che non esiste un'identità specifica palestinese, né una nazione palestinese. Il che era vero forse 50 anni fa, ma non ora. L'identità si è forgiata in battaglia. E - come sempre - assume caratteri legati alle caratteristiche e alla storia della regione abitata.
Iniziamo dalla storia.
L'Impero Ottomano dominò il Medio Oriente dal 1517 al 1918. Gli Ottomani lo divisero in province, fra cui la provincia di Siria, che includeva quelli che oggi sono Siria, Libano, Giordania e Israele. Alla fine della prima guerra mondiale, gli Ottomani furono fra i perdenti. Francia e Inghilterra, potenze vincitrici, si divisero la provincia di Siria in base all'accordo Sykes-Picot, lungo il parallelo che passa sul Monte Hermon: a nord di tale parallelo assunsero il potere i Francesi, a sud gli Inglesi, nella forma giuridica di Mandato Internazionale rilasciato dalla Società delle Nazioni (precursore dell'ONU).
La parte francese venne suddivisa in due stati: la parte della Siria abitata da una maggioranza relativa di Cristiano-Maroniti divenne il Libano. I Francesi e i Maroniti erano stati alleati sin dall'epoca delle rivolte anti-turche degli anni 1860. Con la creazione di un Libano indipendente dalla Siria i Francesi intendevano crearsi un alleato stabile nella regione.
Anche la parte inglese venne divisa, e anche qui ogni nuovo stato venne assegnato a dinastie locali che avevano aiutato gli Inglesi contro gli Ottomani: gli Hashemiti e i Sauditi, i quali per altro erano in guerra fra di loro per il possesso della penisola arabica. Negli anni ‘20 i Sauditi scacciarono gli Hashemiti dall'Arabia. Gli Inglesi allora crearono uno stato a nord dell'Arabia attorno alla città di Amman per gli Hashemiti, e lo chiamarono Transgiordania, perché si trovava oltre il fiume Giordano. La Transgiordania assunse poi l'attuale nome di Giordania.
Nel 1921 gli Hashemiti avevano ricevuto dagli Inglesi anche la sovranità sull'Iraq. Qui nel 1958 un colpo di stato di ufficiali nasseriani cacciò gli Hashemiti e instaurò la repubblica.
La parte inglese della vecchia Siria ottomana a ovest del Giordano, nota come Palestina (dal nome degli antichi Filistei il cui Golia aveva combattuto contro Davide) rimase sotto amministrazione inglese fino al 1948, con capitale Gerusalemme.
Gli abitanti dell'impero ottomano non avevano il concetto di nazione che avevano gli Europei. Si differenziavano chiaramente fra Turchi e Arabi. Si differenziavano per religione. E fra gli Arabi c'erano antiche rivalità tribali e dinastiche, che talvolta sfociavano in guerre, che però non venivano pensate come guerre nazionali.
Fin dal 1880 c'era stato un flusso di Ebrei europei nella regione. Costoro andavano ad aggiungersi alle relativamente piccole comunità di Ebrei che vivevano da molti secoli nella regione, così come in tutti gli altri paesi arabi (dai quali vennero espulsi dopo il 1948). Si trattava di Ebrei sionisti, cioè nazionalisti second il concetto europeo di nazione, che aspiravano a creare uno stato autonomo ebraico nella regione. I Sionisti si stabilivano su terreni incolti o semi- incolti, aridi o paludosi, comprandoli dal Fondo Nazionale Ebraico o acquisendoli da proprietari feudali che stavano al Cairo o a Istanbul. Poi trasformavano queste superfici in fertili aziende agricole collettive, in cui finirono col non trovare più né ruolo né spazio i pastori e i contadini arabi che vivevano stentatamente su quei terreni da secoli. Con l'accrescimento del flusso degli Ebrei europei negli anni ‘20 e ‘30 e all'inizio della Seconda Guerra Mondiale quello che era iniziato come un processo di sviluppo fondiario e imprenditoriale della Palestina divenne uno scontro sociale e politico aperto fra Ebrei e Arabi per il diritto alla terra e alla sovranità. Alla fine della guerra gli Ebrei europei sopravvissuti alla Shoah cercarono di raggiungere gli Ebrei di Palestina, aggiungendo ulteriore pressione. A questo punto gli Inglesi abbandonarono la Palestina, lasciando all'ONU la patata bollente. L'ONU decretò la spartizione di quella minuscola regione in due stati autonomi ma federati, uno per i Palestinesi Ebrei, uno per i Palestinesi Arabi. Gli Ebrei accettarono la spartizione, gli Arabi no, e iniziò una lunga catena di guerre, in cui Israele inaspettatamente riuscì sempre a vincere, o per lo meno a non essere sconfitto.
Durante la prima metà del '900 fra le popolazioni del Medio Oriente avvenne un cambiamento culturale: nel passaggio dall'Impero Ottomano al Mandato Inglese e Francese anche le tribù e le dinastie arabe acquisirono il concetto europeo di nazione, e iniziarono a ragionare in termini nazionalisti. Coloro che entrarono a far parte del nuovo stato di Siria, ad esempio, incominciarono a pensare che tutte le regioni che avevano fatto parte del distretto amministrativo ottomano chiamato Siria dovessero far parte del territorio nazionale siriano, e che perciò l'indipendenza di Libano, Giordania e Palestina (o Israele) fossero lesive dei diritti nazionali dei Siriani. Nella retorica nazionalista siriana erano (e sono) presenti elementi di nazionalismo pan- Arabo e pan-Islamico, ma nella sostanza i Siriani consideravano di aver diritto a estendere il proprio potere statale su tutti i territori della vecchia provincia ottomana di Siria.
Infatti i Siriani nel 1970 invasero il Libano per impossessarsene, e anche per sconfiggere e scacciare gli aderenti all'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) che si erano installati nel sud del Libano. Infatti nel 1948 i Giordani assunsero il controllo della Cisgiordania e lo mantennero fino al 1967, ma non si adoperarono né allora né mai per offrire l'indipendenza ai Palestinesi di Cisgiordania, ma al contrario contrastarono l'OLP, e nel settembre del 1970 (Settembre Nero) combatterono una guerra sanguinosa contro quest’ultima e Fatah, cacciando l'esercito guerrigliero fuori della Giordania, fino in Libano. Gli Hashemiti hanno sempre avvertito i Palestinesi come il maggior pericolo alla stabilità del loro regno, hanno sempre temuto di essere rovesciati da un colpo di stato di Palestinesi intenzionati a costruire un grande stato palestinese al di qua e al di là del Giordano.
Nel 1948 gli Egiziani assunsero il controllo di Gaza e lo mantennero fino al 1967, ma non si adoperarono neanche loro per dare l'indipendenza ai Palestinesi. Consideravano Gaza come una appendice del Sinai. La visione di Nasser era ancora più radicale: considerava la Palestina come parte della Repubblica Araba Unita, che effettivamente venne proclamata come federazione fra Siria e Egitto dal 1958 al 1961. Arafat assunse un ruolo chiave nella lotta dei Palestinesi contro Israele proprio in quanto sostenitore della visione nasseriana di un nazionalismo pan-arabo, che non contemplava uno stato palestinese indipendente nei confini tracciati dall'ONU, ma aspirava al rovesciamento delle monarchie Hashemite e Saudite per creare la grande Repubblica Araba Unita.
Siria, Giordania, Egitto, Arabia Saudita si opposero da sempre alla creazione dello Stato di Israele e tuttora vedrebbero con favore ancora oggi la cancellazione dello stato d'Israele, ma non per questo hanno voluto né vogliono la creazione di uno stato autonomo palestinese, che avvertono come una potenziale minaccia ai propri interessi statali e al proprio ruolo nella regione. La politica degli stati arabi del Medio Oriente dal 1948 in poi ha sempre mirato a mantenere viva e attiva l'ostilità dei Palestinesi contro Israele, senza mai metterli in condizioni di raggiungere davvero l'indipendenza.
Soltanto nel momento dell’accordo di pace fra Egitto e Israele prima e fra Giordania e Israele poi, l'Egitto ha rinunciato a rivendicazioni su Gaza, e la Giordania ha rinunciato a rivendicazioni sulla Cisgiordania e su Gerusalemme. I due hanno lasciato Palestinesi ed Israeliani a vedersela fra di loro, faccia a faccia.
Arafat è considerato il padre del nazionalismo palestinese. I nemici del nazionalismo palestinese non furono soltanto gli Israeliani, ma anche, di volta in volta, la Siria, la Giordania, l 'Arabia Saudita e l'Egitto. Anche nel 2009 nessuno stato arabo si è seriamente opposto all' operazione Piombo Fuso su Gaza. Nessuno è andato oltre affermazioni retoriche, neppure la Siria, che anzi si è adoperata perché gli Hezbollah nel sud del Libano non attaccassero Israele dal nord durante la guerra con Hamas a Gaza.
Quando si dice che il nazionalismo palestinese si è forgiato nella lotta, si intende non soltanto la lotta contro Israele, ma anche quella meno evidente e meno propagandata, ma non meno dolorosa, contro gli altri stati arabi. Si può ipotizzare che, se Israele cessasse di esistere, gli stati arabi vicini si opporrebbero attivamente alla creazione di uno stato indipendente palestinese. È interesse dei vicini mantenere Palestinesi e Israeliani in uno stato di guerra, che impedisce sia agli uni sia agli altri di diventare forti e di rappresentare un pericolo per l'egemonia locale cui gli altri stati aspirano.
È da notare che nessuno stato arabo ha mai esplicitamente dichiarato di sostenere il diritto dei Palestinesi ad un proprio stato: hanno sempre sostenuto il diritto dei Palestinesi arabi a non voler riconoscere la sovranità israeliana su terre arabe. Ora sono gli Iraniani a sostenere attivamente i Palestinesi fornendo armi, propaganda e denaro ad Hamas: questo rende gli Arabi ancora più timorosi di una possibile indipendenza palestinese sotto l'egemonia iraniana.
Passiamo ora ad esaminare come la geografia condiziona la cultura e le prospettive nazionali dei Palestinesi.
La Cisgiordania e Gaza sono separate fra di loro. Gaza è oggi una trappola, in cui i Palestinesi in fuga da Israele sono stati confinati dagli Egiziani, che non li hanno voluti in Egitto. La Cisgiordania è stretta fra due diversi concorrenti ostili: Israele e la Giordania. Sia la Cisgiordania che Gaza dipendono da Israele per il proprio sviluppo economico. Israele potrebbe fornire lavoro, tecnologia, apertura ai mercati, innovazione. Ma il conflitto impedisce la collaborazione che potrebbe mettere in moto l'economia palestinese.
Molti Palestinesi aspirano a distruggere Israele per ottenere l'indipendenza sull'intera regione, in modo da poter godere di autonomia economica oltre che politica. Ma da soli non riusciranno a distruggere Israele: occorrerebbe la piena collaborazione degli altri stati della regione, che, come abbiamo visto, non sono favorevoli alla creazione di uno stato autonomo palestinese, nonostante le tante espressioni di solidarietà puramente verbale. Né è facile immaginare una situazione diversa, che inverta i rapporti di forza al punto che i Palestinesi possano prevalere sugli Israeliani. L'unica possibilità di un totale sconvolgimento degli equilibri di forza regionali è quella, paventata ugualmente dagli stati arabi e dall'Occidente, di un attacco atomico dell'Iran a Israele in appoggio alla Siria, che si espanderebbe di nuovo a incorporare il Libano, e forse la Palestina e la Giordania, tornando ad essere la Grande Siria d'epoca ottomana.
Inoltre per la loro posizione geografica e per la conformazione del territorio, la striscia di Gaza e la Cisgiordania dovranno seguire modelli di sviluppo diversi: la Cisgiordania è a vocazione agricola, Gaza è una grande città costiera, fittamente popolata, che potrebbe diventare un porto commerciale, dotato di industrie specialistiche. Se le due parti si unissero in un unico stato, ma senza pace e cooperazione con Israele, Gaza non potrebbe sviluppare un'economia sufficiente a garantire la vita della popolazione e dovrebbe continuare a vivere di assistenza internazionale, oppure mandare parte della propria popolazione in Cisgiordania, che probabilmente non saprebbe come ospitare e garantire un livello di vita decente a tante persone.
In breve, lo sviluppo economico dei Palestinesi dipende dalla collaborazione e dalla integrazione economica con Israele. Ma per ottenerla i Palestinesi dovrebbero rinunciare all'indipendenza politica e all'unità territoriale cui aspirano.
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