3 febbraio 2009, tratto da An Escalating Regional Cold War – Part I: The 2009 Gaza War, di Y. Carmon, Y. Yehoshua, A. Savyon, introduzione di H. Migron
La recente guerra di Gaza è stata descritta dai media internazionali come uno scontro locale fra Israele e Hamas, ma la vera battaglia si è combattuta invece fra Iran e Arabia Saudita – con i rispettivi alleati – che si contendono l’egemonia regionale.
La battaglia, che dura ormai da 30 anni, è iniziata con la Rivoluzione Islamica dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini: vi sono state senz’altro delle interruzioni, come durante il periodo del presidente Khatami, ma dopo l’elezione di Ahmadinejad lo scontro si è nuovamente inasprito. Il conflitto vede da una parte Iran, Siria, Qatar, Hezbollah e Hamas e dall’altra un’asse composta da Arabia Saudita ed Egitto, con cui si identificano quasi tutti gli altri paesi arabi.
La guerra di Gaza: cronologia
27 dicembre - Khaled Meshal (leader di Hamas), dopo aver rifiutato di partecipare ai colloqui per la riconciliazione con Fatah mediati dal Cairo, rompe la tahdia (tregua) con Israele aizzato dal ministro degli esteri iraniano Mottaki: decine di miliziani di Hamas iniziano a lanciare razzi sul sud del paese, Israele reagisce e attacca la striscia di Gaza.
31 dicembre – Egitto e Arabia Saudita, durante un incontro al Cairo fra i ministri degli esteri, bloccano l’iniziativa di Siria e Qatar, che volevano organizzare un summit della Lega Araba per venire in appoggio ad Hamas.
16 gennaio – Il summit di Doha, convocato da Siria e Qatar, va in fumo perché non viene raggiunto il numero legale di partecipanti. Egitto e Arabia Saudita non partecipano.
18 gennaio – l’asse Arabia Saudita-Egitto ottiene l’appoggio dei leader europei durante un incontro tenutosi a Sharm Al-Sheikh. Hamas accetta il cessate il fuoco unilaterale israeliano e la mediazione egiziana nei colloqui fra le fazioni palestinesi, condizioni che non avrebbe accettato prima della guerra.
19 gennaio – la conferenza sull’economia del Kuwait, pianificata da tempo, verte quasi interamente sulla guerra di Gaza. Arabia Saudita ed Egitto rifiutano di accettare la risoluzione di Doha – che prevede la rottura dell’accordo di pace fra Egitto e Israele e il ritiro dell’Arabia Saudita dall’Iniziativa di Pace per il Medio Oriente.
A differenza della guerra in Libano del 2006 e del successivo scontro fra Hezbollah e le forze della Coalizione 14 marzo, terminati con la vittoria di Hezbollah e di conseguenza dell’asse Iran-Siria, che riuscì a prendere il controllo sul Libano, la guerra di Gaza ha avuto un esito diverso.
La rivalità dopo la Rivoluzione Islamica del 1979
Il conflitto è radicato nella competizione fra Iran e Arabia Saudita per l’egemonia sulla regione: dalla nascita della Repubblica Islamica i rapporti fra i due paesi sono stati contrassegnati da una forte inimicizia, alimentata dalle secolari frizioni religiose, etniche e sociali fra la società araba, sunnita e wahabita, e la società iraniana sciita.
Lo scontro ha raggiunto il suo apice nel 1984, quando migliaia di pellegrini iraniani si sono ribellati nelle strade della Mecca per rovesciare il regime saudita, che ha risposto schiacciando l’insurrezione nel sangue. Agli Iraniani venne inoltre vietato il pellegrinaggio per molti anni. I Sauditi risposero a questo attacco appoggiando Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran.
A causa dell’onda di solidarietà nel mondo sunnita verso la repubblica islamica, l’Arabia ha dovuto fare maggiori sforzi per rafforzare l’Islam sunnita. A questo scopo i Sauditi alimentarono il jihad in Afghanistan contro i Sovietici e investirono miliardi di dollari per mantenere scuole, moschee e altre istituzioni religiose del mondo. Gli sforzi riuscirono a invertire la tendenza e la popolarità della rivoluzione iraniana diminuì.
Sin dalla sua elezione nel 2005, Ahmadinejad dimostrò sin da subito una forte ostilità verso i Sauditi. Iniziò a diffondere una visione messianica sull’imminente apparizione del Mahdi e sulla nascita di un nuovo e forte impero persiano.
Le dichiarazioni del presidente e la retorica dei leader iraniani – appoggiati dagli ayatollah al potere – sono stati percepiti dai paesi arabi, specialmente dall’Arabia Saudita, come una minaccia. La politica della leadership iraniana, che mira a fare del paese una superpotenza militare attraverso l’acquisizione di tecnologia nucleare e di missili a lungo raggio, non fa che aumentare le preoccupazioni dei paesi limitrofi.
I tentativi iraniani di estendere la propria influenza in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein hanno alimentato le preoccupazioni dei Sauditi e degli altri paesi sunniti. L’Arabia Saudita ha reagito appoggiando la minoranza sunnita in Iraq e le minoranze cristiane e musulmane in Libano e in altri paesi (Yemen, Sudan, Palestina).
Le conquiste politiche e militari di Hezbollah - strettamente legato all’Iran - in Libano durante la guerra del 2006 e durante gli accordi di Doha del 2008 (che hanno di fatto affidato a Hezbollah il controllo del Libano) hanno accresciuto ulteriormente la tensione.
L’asse Iran-Siria-Qatar-Hezbollah
Le mire egemoniche iraniane hanno portato alla nascita di un’asse politica e militare che comprende non solo l’Iran e gli sciiti dell’Iraq, del Libano e dello Yemen, ma anche diverse forze sunnite che intendono opporsi all’Arabia Saudita e all’Egitto. Hamas è entrato a far parte dell’asse e negli ultimi anni ha ricevuto cospicui finanziamenti dall’Iran e dai Fratelli Musulmani dell’Egitto. Recentemente anche il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan si è avvicinato al gruppo.
La guerra di Gaza ha accentuato lo scisma fra le due parti. Già prima del conflitto la Siria e l’Iran avevano accusato l’Egitto e l’Arabia Saudita di perseguire una politica filoisraeliana e filoamericana e di sabotare le attività dei movimenti di resistenza. La fazione saudita ha dal canto suo accusato Hamas di servire gli interessi della Siria e dell’Iran, e non quelli dei Palestinesi.
Il Qatar ha svolto un ruolo cruciale nell’esacerbare lo scontro all’interno del mondo arabo, a partire dall’incontro di Doha del 16 gennaio scorso. L’invito a partecipare rivolto al presidente dell’Iran (che non fa parte della Lega Araba) ha rivelato fin da subito gli obiettivi che il Qatar voleva raggiungere con il summit. Infatti dopo il conflitto Meshaal ha ringraziato pubblicamente il Qatar per l’appoggio offerto ad Hamas.
Due approcci distinti al conflitto arabo-israeliano
Sia l’appoggio di Iran e Siria alla “resistenza” che le iniziative di Arabia Saudita ed Egitto volte a raggiungere un accordo di pace con Israele vanno quindi osservati alla luce dello scisma saudita-iraniano.
Si spiega quindi l’opposizione saudita a Hezbollah nella guerra del 2006 e la recente opposizione ad Hamas. L’Arabia Saudita intende risolvere il conflitto israelo-palestinese per rafforzare la sua posizione di fronte all’Iran e ai suoi alleati. L’Egitto ha cercato di promuovere il dialogo fra le fazioni palestinesi per evitare che l’Iran si impossessasse di Gaza attraverso Hamas.
L’asse iraniano ha chiesto a più riprese di ritirare tutte le iniziative di pace con Israele e di cancellare ogni tentativo di normalizzazione. In seguito al summit di Doha, la Mauritania e il Qatar hanno deciso di recidere ogni legame con Israele. Il Leader Supremo iraniano, Ali Khamenei, ha addirittura paragonato gli arabi moderati che continuano a intrattenere relazioni con Israele agli Ebrei del periodo di Maometto, ovvero a dei traditori da combattere con ogni mezzo.
Anche il presidente siriano Bashar al-Assad ha dichiarato che l’Iniziativa di Pace Araba era ormai morta e sepolta, aggiungendo che la “resistenza” è l’unico modo per raggiungere la pace, perché una pace senza resistenza equivale alla resa.
Egitto e Arabia Saudita invece si oppongono alla strategia della “resistenza” e quindi non hanno accolto l’appello della Repubblica Islamica, che li invitava a tagliare i legami con Israele e a ritirare l’Iniziativa di Pace. Alcuni esponenti sauditi ed egiziani hanno chiesto il ritorno alla versione originale dell’Iniziativa di Pace Araba – prima dell’introduzione degli emendamenti del 2002 fortemente voluti dalla Siria, i quali prevedevano anche il diritto del ritorno per i Palestinesi.
A cura di Davide Meinero
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