Il Medio Oriente oggi e gli interessi americani

23/02/2009

19 febbraio 2009

Dopo il declino dell’impero britannico – che dominava sotto varie forme su quasi tutto il Medio Oriente fino all’India – gli Stati Uniti hanno avuto una rapporto difficile con la regione.

Durante i 45 anni di Guerra Fredda la politica statunitense in Medio Oriente è stata orientata a contrastare i sovietici e a proteggere i propri interessi petroliferi. Gli Stati Uniti hanno anche cercato di risolvere il conflitto arabo-israeliano e, nel periodo più recente, di contenere il radicalismo islamico. Ma prima dell’11 settembre l’esercito non era mai stato direttamente coinvolto nella regione.

Dal punto di vista strategico l’imperativo di Washington nella regione è quello di prevenire la nascita di una potenza egemone che possa in futuro sfidare gli Stati Uniti. Nello specifico questo significa confrontarsi quotidianamente con i vari attori regionali, in primis con Iraq, Iran, Arabia Saudita, Israele, Egitto e Turchia.

 

Iraq

L’Iraq è di fatto un’entità artificiale con confini indifendibili in mezzo a stati geograficamente ben definiti.  La Turchia si estende in Anatolia, l’Iran è una roccaforte ben definita dai monti Zagros, la Siria controlla le pendici orientali delle montagne libanesi e la famiglia al-Saud tiene saldamente in mano il deserto della penisola arabica. I vicini dell’Iraq possono facilmente proiettare la propria influenza sull’Iraq stesso, poiché privo di quella sicurezza geografica necessaria a difendersi in modo efficace e a proiettare a sua volta la propria egemonia all’esterno. Le divisioni interne – fra Curdi, Arabi sunniti e Arabi sciiti – mettono a rischio l’unità del paese.

Un rigido controllo  dittatoriale può contenere  questi problemi, in quanto permette di minimizzare l’impatto dell’influenza straniera e di mantenere un esercito sufficientemente forte da far paura ai vicini.  In passato l’Iraq ha seguito questa regola alla lettera, ma al momento il panorama è cambiato: il paese è caratterizzato da profonde differenze interne e continua ad essere gestito da una forza di occupazione esterna. Questa forza – statunitense – ha interesse a mantenere un Iraq indipendente e filoamericano, in modo da proteggersi dalle altre potenze regionali, in particolare dall’Iran. Gli Stati Uniti però intendono anche ridurre il costo dell’occupazione, per questo l’amministrazione Obama sa di dover permettere anche ad altri attori regionali – specialmente l’Iran - di esercitare una certa influenza.

Gli altri stati della regione temono che l’Iran possa prendere il controllo dell’Iraq minacciando anche il loro territorio. Gli Stati Uniti sono consapevoli delle mire dei vari attori regionali e per questo hanno deciso di mantenere un contingente nel paese, per evitare che Teheran o  altri paesi si impossessino a poco a poco dell’Iraq.

Allo stesso tempo la leadership irachena sta iniziando a consolidarsi. Il primo ministro Nouri al-Maliki si pone ora come un mediatore autorevole fra i vari consigli tribali e le milizie paramilitari. Egli gode dell’appoggio degli Americani, è riuscito a convincere gli Iraniani – in quanto sciita - a lasciargli  la possibilità di governare e ha continuato a costruire alleanze selettive con le tribù sunnite per limitare il potere dei Curdi.  Non si può ancora dire se la strategia di al-Maliki avrà successo oppure no, ma sicuramente questa è la strada che dovrà seguire qualunque leader iracheno in futuro.   

 

Iran

L’Iran attuale appare come una roccaforte circondata dalle montagne. A ovest è protetto dai monti Zagros, a nord dai monti Alborz, a est dalle catene più basse del Turkmenistan, dell’Afghanistan e del Pakistan e a sud dall’oceano. All’interno l’Iran è montuoso ad eccezione delle aree desertiche, quasi del tutto disabitate. Gli Iraniani vivono principalmente sulle montagne e l’etnia persiana dominante rappresenta poco più di metà della popolazione, il che rende il paese molto difficile da governare. L’Iran da sempre persegue politiche egemoniche nella regione per difendersi dagli altri attori sunniti che lo circondano.

L’eliminazione del regime sunnita a Baghdad ha rimosso una consistente minaccia per l’Iran e ha offerto agli Iraniani l’opportunità di influenzare il futuro politico iracheno attraverso i legami con la maggioranza sciita del paese. I leader della repubblica islamica sperano di poter forgiare l’Iraq in modo tale che non rappresenti mai più una minaccia al loro stato  in futuro.

La necessità di ricostruire l’Iraq ha spinto gli Stati Uniti a chiedere all’Iran di collaborare dopo tre decenni di astio. Ora che l’amministrazione Obama ha deciso di avviare pubblici negoziati, l’Iran cercherà non solo di consolidare ciò che ha guadagnato in Iraq, ma anche di imporsi come attore importante per quanto riguarda le sorti del conflitto in Afghanistan. Teheran mira a ottenere una riabilitazione internazionale per rinsavire dalla terribile crisi economica che sta attraversando e imporsi sulla scena come importante esportatore di energia – il che permetterebbe all’Iran di divenire una superpotenza regionale. 

Teheran comunque deve ancora risolvere alcune questioni. Innanzitutto deve dare una risposta definitiva sul suo controverso programma nucleare, deve cercare di consolidare la sua posizione in Iraq, specialmente ora che le recenti elezioni hanno scosso il panorama politico sciita, e deve interrogarsi sulla natura delle future relazioni con l’Occidente – e in particolare con gli Stati Uniti.

 

Arabia Saudita

L’Arabia Saudita è uno stato militarmente debole, ma dopo la scoperta del petrolio nel XX secolo è diventato uno degli stati più ricchi del mondo. Questo ha spinto la famiglia al-Saud a stringere alleanze con le grandi potenze straniere (prima con il Regno Unito,  dopo la Seconda Guerra Mondiale con  gli Stati Uniti) per garantire la sicurezza al regno.

Grazie ai petrodollari i Sauditi sono riusciti a contenere il jihad schierandosi con Washington e stanno cercando  di allontanarsi dal conservatorismo religioso.  L’invasione dell’Iraq del 2003 ha potenziato i principali avversari dell’Arabia Saudita nella regione, ovvero l’Iran e i suoi alleati. I Sauditi temono che un riavvicinamento fra gli Stati Uniti e l’Iran possa incidere negativamente sulla sicurezza nazionale del paese.

I Sauditi hanno comunque alcune opzioni. Nonostante il crollo dei prezzi, l’immensa quantità di petrolio che giace nel sottosuolo saudita permette a Riyadh di esercitare una notevole influenza sugli Stati Uniti in un periodo di recessione globale e di crisi finanziaria. Nonostante le aperture verso l’Iran, le relazioni degli USA con l’Arabia Saudita rimangono comunque molto  forti – entrambi i paesi hanno tutti gli interessi a garantire una presenza sunnita in Iraq sufficientemente forte da impedire all’Iran di impadronirsi del paese.

 

Israele

La politica di Israele dipende principalmente da due fattori: dalla sua dimensione – è uno stato piccolissimo – e dalla presenza di attori ostili che lo circondano.  Questi due aspetti hanno spinto lo stato ebraico a concentrarsi attivamente - e aggressivamente – sulle minacce alla propria sicurezza nazionale.  Attraverso una combinazione di forza e di alleanze Israele ha sempre cercato di evitare che i suoi vicini arabi si compattassero in chiave anti israeliana e ha deciso di allearsi con gli Stati Uniti per la propria  sicurezza. Nel tempo la dipendenza di Israele da Washington è diminuita e al giorno d’oggi gli interessi dei due paesi a volte divergono.

L’amministrazione Bush, nel tentativo di debellare l’estremismo islamico dopo l’11 settembre, ha compiuto diverse scelte che andavano contro gli interessi israeliani. Fra queste la mossa di spingere la Siria a ritirare le truppe dal Libano, che Gerusalemme ha duramente contestato, consapevole del fatto che la presenza siriana su suolo libanese avrebbe messo un freno alle milizie di Hezbollah. Inoltre il recente tentativo di Washington di democratizzare la regione ha aumentato il radicalismo di alcuni attori islamici della regione come Hezbollah, Hamas, i Fratelli Musulmani, gli islamici iracheni, sia sciiti che sunniti, e l’Iran.

Sicuramente l’alleanza fra Stati Uniti e Israele rimane forte, dato che i due alleati concordano sulla necessità di mantenere alto il livello di frammentazione del mondo mediorientale. Permangono comunque alcune preoccupazioni da parte di Israele per la decisione di Obama di voler avviare un dialogo con l’Iran e più in generale di stringere accordi con altri paesi del mondo islamico.  

Gli Israeliani stanno lavorando strategicamente e tatticamente per contenere la crescita dell’Iran.  Un elemento chiave è rappresentato dai colloqui di pace con la Siria, unico alleato dell’Iran nel mondo araboUna pace con la Siria permetterebbe a Israele di neutralizzare la minaccia militare della principale cellula iraniana della regione, Hezbollah. Gli Israeliani hanno poi cooperato con i Sauditi e con altri stati arabi che condividono le preoccupazioni israeliane  per contrastare Hezbollah e allontanare Hamas dall’orbita iraniana.

 

Siria

I confini della Siria, prodotto della disintegrazione dell’Impero Ottomano all’indomani della prima guerra mondiale, sono ambigui e, osservati dalla prospettiva siriana, piuttosto stretti. Per questo gli interessi geopolitici della Siria sono concentrati sul vicino Libano, motore economico della regione. Senza il Libano la Siria è povera e isolata. Soltanto proiettando la propria influenza su  Damasco può raggiungere il Mediterraneo e trasformare il paese in potenza regionale.

Militarmente la Siria deve affrontare la minaccia della Turchia a nord e di Israele a sud.  Dato che in un confronto diretto non ha nessuna possibilità di vincere contro questi paesi, deve ricorrere a continui accordi politici per garantirsi la sicurezza. Al momento Damasco condivide alcuni interessi con la Turchia – entrambi i paesi intendono contenere il separatismo curdo. La Siria non ha ancora raggiunto accordi politici con gli Israeliani. Saranno necessari  sforzi decisamente maggiori per arrivarci.

I Siriani intendono estendere la propria egemonia sul Libano, ma prima di agire in tal senso è necessario che le potenze della regione – inclusi gli Stati Uniti – riconoscano e accettino le rivendicazioni siriane.  Per ottenere un accordo con Israele, la Siria dovrà impegnarsi a neutralizzare l’ala militare di Hezbollah in Libano e dovrà ritirare l’appoggio a gruppi palestinesi come Hamas – richieste che la Siria probabilmente accetterà pur di garantirsi un certo livello di sicurezza.

Gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Bush hanno voltato le spalle al regime di Assad, ma la nuova amministrazione probabilmente cambierà strategia per spingere il governo baathista e alauita a uscire dall’isolamento. Washington intende coinvolgere la Siria in questo processo purché Damasco si impegni attivamente a impedire la prolificazione di cellule terroriste in Iraq. Questi negoziati richiederanno comunque un notevole sforzo a causa dei timori del regime siriano, che sarà costretto a rivedere radicalmente la propria politica estera dopo trent’anni.

 

Egitto

L’Egitto, ovvero il delta del Nilo - dove si trova la maggior parte della popolazione - già al tempo dei faraoni aveva notevoli difficoltà a proiettare la propria influenza al di là della stretta valle del Nilo  a causa della conformazione desertica della regione. Gli Egizi non dovettero combattere contro le invasioni di altri popoli, almeno fino a quando i mezzi tecnici permisero alle altre potenze di sorpassare la barriera desertica e raggiungere il cuore dell’impero.  Dopo la fine della civiltà egizia  l’Egitto fu dominato per 2500 anni da diverse potenze – Persiani, Greci, Romani, Arabi, Turchi. Anche dopo la fondazione della repubblica egiziana da parte dei nazionalisti arabi guidati da Gamal Abdel-Nasser nel 1952,  l’Egitto non riuscì a diventare il leader del mondo arabo a causa dei limiti  geografici.

Proprio come Israele e l’Arabia Saudita, l’Egitto moderno si allineò con le grandi potenze straniere. Durante la monarchia il Cairo intrattenne rapporti con i Britannici, poi sotto il regime di Nasser si schierò con l’Unione Sovietica e negli anni ’70 il leader Sadat siglò la pace con Israele,  portando il paese nell’orbita occidentale. Da allora l’Egitto è rimasto un valido alleato degli Stati Uniti.

Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti hanno dovuto però cercare l’appoggio di altri attori nella regione. La posizione privilegiata dell’Egitto rischia di essere intaccata dall’attuale riavvicinamento fra Stati Uniti e Iran e da una potenziale riabilitazione della Siria. In questo contesto il Cairo dovrà accettare il primato dell’Arabia Saudita nel mondo arabo (dovuto alle risorse petrolifere). Gli Stati Uniti però dovranno monitorare attentamente il processo di transizione che avverrà al termine del mandato del presidente egiziano, l’ottantenne Hosni Mubarak, per evitare che il paese finisca in mano al radicalismo islamico.  

 

Turchia

La Turchia si estende su un territorio chiave dell’Eurasia, all’incrocio fra Europa, Medio Oriente, ex Unione Sovietica, Mar Nero e Mar Mediterraneo. L’altopiano dell’Anatolia, grazie alla sua posizione geografica, è facilmente difendibile. A partire del XIV secolo i Turchi – proprio come avevano fatto i Bizantini prima di loro - si sono serviti di questi vantaggi territoriali per governare.

Storicamente il controllo dell’Anatolia ha garantito lo status di superpotenza regionale a chiunque lo detenesse. Gli ultimi 90 anni, durante i quali la Turchia non ha cercato di ottenere lo status di superpotenza, rappresentano un’anomalia.  Ankara non ha finora perseguito politiche egemoniche per diverse ragioni:

- la caduta dell’Impero Ottomano;

- i conflitti interni fra secolarismo e islamismo;

- la logica della Guerra fredda, che divise l’Eurasia e spinse la Turchia ad allinearsi con il blocco occidentale.

In quanto alleato degli Stati Uniti e membro della NATO, la Turchia ha sempre cercato di bloccare l’espansione sovietica in Medio Oriente.

La vittoria nel 2002 del partito Giustizia e Sviluppo - dalle profondi radici islamiche – che si è dimostrato capace di lavorare con l’establishment secolare dominato dai militari, ha permesso al paese di raggiungere la  stabilità interna. Quindi la Turchia ha nuovamente iniziato a pensare a se stessa come potenza regionale, specialmente dopo l’ascesa dei Curdi nel vicino Iraq - in seguito all’invasione statunitense – e dopo il mancato ingresso nell’UE.

Inoltre la dipendenza energetica dalla Russia impedisce alla Turchia di avvicinarsi troppo all’occidente. È perciò probabile che in futuro Ankara continui ad esibire il proprio dissenso verso gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati, come è accaduto recentemente nel caso della guerra di Gaza. 

fonte: Strategic Forecast

 

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