Storicamente la Cina è stata principalmente una potenza di terra, a causa della sua economia di tipo rurale, ma la situazione è cambiata negli ultimi decenni.
Con il passaggio da un’economia agricola ad un’economia industriale a partire dalla fine degli anni ’70, la Cina ha iniziato a puntare sulla flotta per proteggere le rotte commerciali su cui si basa la sua attuale ricchezza.
La Cina in passato era una potenza di terra: il cuore della sua economia si trovava nella regione compresa fra il fiume Giallo e il fiume Yangtze – circondata da Xinjiang, Tibet, Manciuria e Mongolia interiore. Si trattava quindi di una potenza continentale che doveva controllare e difendere migliaia e migliaia di chilometri di confine per proteggersi dai nemici circostanti. Per un lungo periodo la sua economia si è basata sulle risorse naturali interne, che riuscivano a soddisfare il fabbisogno della popolazione, e i pochi prodotti di importazione giungevano principalmente via terra. I soldati avevano quindi il compito di proteggere le rotte di terra, che si estendevano in Asia centrale e oltre, attraverso la Via della Seta. Le principali minacce all’integrità del regno provenivano dalle altre potenze di terra, per questo non fu mai creata una flotta militare.
Gli imperativi geopolitici storici della Cina possono essere così riassunti:
· Mantenimento dell’unità delle regioni centrali – le regioni Han
· Controllo delle zone cuscinetto circostanti le regioni Han
· Protezione della costa da un’eventuale invasione straniera.
Dato l’elevato costo del controllo del territorio – proprio a causa dell’estensione territoriale – la zona costiera veniva protetta con una severa limitazione delle concessioni agli stranieri e con dure restrizioni al commercio marittimo (i trasporti marittimi vennero sostituiti dai trasporti sul Gran Canal, navigabile, che attraversa da nord a sud il cuore della Cina, collegando fra di loro anche i grandi fiumi). Inoltre l’enorme mole della popolazione cinese è sempre stata un deterrente efficace contro un’eventuale invasione.
Il cambiamento
Dopo l’apertura economica della Cina – cioè dopo la morte di Mao Tse Tung nel 1976 – la situazione è cambiata. All’inizio degli anni ’80 la produzione di petrolio del paese era superiore ai consumi, e questo continuò per un decennio circa. Ma a partire dal 1993, a causa del titanico sviluppo industriale, i dati si invertirono e Pechino iniziò a importare petrolio dall’estero.
Nel 2003 la Cina era già il secondo più grande consumatore di petrolio del mondo e nel 2008 era divenuta il secondo maggiore importatore di petrolio del pianeta.
Negli ultimi vent’anni la Cina ha iniziato a importare anche ingenti quantità di ferro, bauxite e soprattutto rame – il 76% del rame utilizzato viene importato dall’estero. Con il massiccio aumento delle importazioni di materie prime, le rotte commerciali hanno iniziato a essere oggetto di attenzione. Data l’inefficienza cronica della flotta, Pechino non riusciva a difendere adeguatamente i propri interessi e quindi ha deciso di investire un’ingente somma per sviluppare il settore navale.
Lo sviluppo di una flotta oceanica
La costruzione di una flotta militare in grado di coprire lunghe distanze e difendere gli interessi commerciali cinesi in alto mare non è un compito semplice. Per raggiungere questo obiettivo la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese ha attuato una strategia articolata in diversi passi:
· Assicurarsi il controllo della Zona Economica Esclusiva (quell’area di mare adiacente alle acque territoriali, a 200 miglia dalla costa), ovvero buona parte del Mare Cinese Meridionale e Orientale e il Mar Giallo, per ottenere una zona cuscinetto e proteggersi dall’esterno.
· Estendere la linea costale attraverso accordi con altri stati per creare una rete più vasta di porti (in territori lontani dalla Cina, ad esempio su alcune isole) da cui salpare per raggiungere destinazioni più remote.
· Sviluppare contromisure asimmetriche per contrastare la superiorità tecnologica degli Stati Uniti.
· Costruire una flotta navale.
La Cina sta cercando di lavorare in accordo con le potenze asiatiche per mantenere salda la presa sulla Zona Economica Esclusiva (ZEE), ma di tanto in tanto ricorre ad azioni militari per risolvere le dispute con i vicini.
Pechino ha poi iniziato a costruire porti in diverse isole – ed es. sulle isole Nansha, nel Mar Cinese Meridionale – e ha stretto accordi con diverse isole-nazioni del Pacifico. Ora sta iniziando a guardare a occidente verso lo stretto di Malacca e il Mare Arabico, per estendere ulteriormente la propria “linea costale”.
La Cina dovrà poi cercare di contrastare il dominio tecnologico della Marina statunitense - ad esempio installando sistemi antimissilistici costali o sviluppando missili balistici di medio e lungo raggio – e cercherà di mettere in crisi il sistema anti-missili balistici che gli Stati Uniti stanno insediando nella regione con la collaborazione di Giappone e Corea del Sud.
Lo scontro
Ai tre imperativi geopolitici storici occorre quindi aggiungerne un quarto, cioè la necessità di controllare le rotte commerciali per trasportare le risorse verso la madrepatria. Questo solleva però una serie di problemi, perché l’espansionismo marittimo cinese inevitabilmente alimenterà il conflitto con le altre potenze marittime già consolidate – Giappone, India e Stati Uniti.
INDIA
Uno degli imperativi geopolitici dell’India riguarda la necessità di proiettare il proprio potere nel bacino dell’Oceano Indiano, per evitare un’eventuale penetrazione straniera dall’esterno. Per sviluppare la sua potenza marittima Nuova Delhi ha potuto contare sull’appoggio prima di Mosca e poi di Washington, che le hanno permesso di sviluppare una tecnologia navale moderna.
L’ascesa di Pechino preoccupa molto l’India, che teme l’accerchiamento: la Cina infatti intrattiene strette relazioni con Myanmar, Bangladesh, Sri Lanka e Pakistan – vicini o rivali di nuova Delhi. La presenza della Marina dell’Esercito Popolare lungo le tratte che dal Medio Oriente e dall’Africa raggiungono la Cina viene percepita come una minaccia per l’India. Il governo indiano ha quindi deciso di investire maggiormente nella marina e di avvicinarsi a Washington.
GIAPPONE
Il Giappone è un’isola altamente industrializzata e dipende in larga parte dalle importazioni di risorse prime provenienti dall’estero. Le vie di rifornimento coincidono virtualmente con quelle cinesi e quindi Tokyo non può che osservare con preoccupazione le mosse di Pechino. Il governo giapponese ha quindi iniziato a riallacciare legami con le nazioni del sudest asiatico, interrotti dopo la difficile crisi economica che ha colpito il paese negli anni ’90 – quando Tokyo fu costretta ad interrompere il flusso di denaro diretto verso la regione.
Inoltre il Giappone, grazie alla sua lunga tradizione navale, ha la seconda flotta del mondo e negli ultimi anni ha continuato a fare notevoli passi in avanti dal punto di vista tecnologico – specialmente dopo la fine della Guerra Fredda, quando Tokyo decise di puntare sulla marina militare per controbilanciare la diminuzione della presenza statunitense nelle acque giapponesi.
STATI UNITI
Ogni potenza navale in ascesa dovrà inevitabilmente fare i conti con la prima potenza marittima del mondo, gli Stati Uniti. Il controllo degli oceani è uno dei principali imperativi geopolitici americani, in quanto da una parte permette a Washington di controllare le rotte commerciali e dall’altra consente all’esercito di attaccare in qualsiasi direzione per bloccare le minacce provenienti dall’esterno.
Lo sviluppo della flotta cinese ha già portato in più occasioni al confronto diretto (a livelli molto bassi), ma gli Stati Uniti hanno ribadito più volte di avere il diritto di operare al largo delle coste cinesi per qualunque motivo.
Conclusioni
La Cina considera di vitale importanza lo sviluppo della marina militare, come testimoniano i notevoli progressi degli ultimi anni. È possibile però che la strategia di Pechino a lungo andare rischi di coinvolgere non solo Giappone, India e Stati Uniti, ma anche entità minori altrettanto preoccupate come la Corea del Sud, la Malesia e altri stati del Sudest Asiatico.
Per ora gli Stati Uniti rappresentano il principale limite all’espansionismo cinese. È probabile che Washington cerchi di stringere accordi con gli stati che circondano la Cina, per contrastarne il potere navale.
Fonte: Strategic Forecast, curato da Davide Meinero
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