L'Asia centrale
nuovi equilibri

21/04/2009

15 aprile 2009   L’Asia centrale ha vissuto un lungo periodo di stagnazione dal crollo dell’Unione Sovietica fino ad oggi. Nonostante gli investimenti cinesi e occidentali nel campo energetico, la situazione economica finora non aveva dato segni di cambiamento e gli equilibri regionali erano rimasti pressoché immutati. Ma ora sta accadendo qualcosa e i diversi stati dell’Asia centrale stanno iniziando a prendere strade diverse.   Kazakistan leader regionale   Dalla caduta dell’URSS il Kazakistan ha sempre fatto la parte del leone grazie all’estensione del suo territorio, ricco di risorse energetiche: ogni anno vengono infatti estratti circa 35 trilioni di metri cubi di gas e 27 miliardi di barili di petrolio.   Dopo il 1991 gli Occidentali hanno investito molto denaro nelle infrastrutture energetiche kazake. I vicini Turkmenistan e Uzbekistan, anche loro ricchi di risorse energetiche, devono necessariamente attraversare il Kazakistan per raggiungere i propri clienti – Cinesi, Russi o Europei – e Astana si trova quindi in una posizione privilegiata. Ma la vastità del territorio può rappresentare anche un limite. Il Kazakistan infatti ha una popolazione molto scarsa rispetto all’estensione del paese e non ha barriere naturali che lo proteggano dall’esterno, perciò non può agire in modo indipendente senza prima consultarsi con il suo potente vicino, la Russia. Quindi, nonostante i forti investimenti cinesi e occidentali nelle infrastrutture kazake, la Russia ha continuato a condizionare pesantemente le scelte politiche di Astana, tramite cui riusciva a raggiungere gli altri quattro stati della regione.   La guerra russo-georgiana   Con la guerra dello scorso agosto, Mosca ha mandato un messaggio non solo al piccolo stato del Caucaso, ma anche agli altri ex paesi satelliti, dimostrando di avere ancora molto potere sulla sua periferia.   Dopo la guerra stati come Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan hanno subito iniziato a rafforzare i legami con il Cremlino e ad accantonare gli accordi presi con le altre potenze. Ad esempio dopo il conflitto di agosto il Kazakistan decise di bloccare definitivamente il flusso di petrolio diretto in Azerbaigian (e poi in Occidente) attraverso il Caspio – già interrotto a causa della guerra. I contatti fra gli stati dell’Asia centrale e i paesi occidentali vennero decisamente ridimensionati dopo il conflitto.   La crisi finanziaria    Astana è stata duramente colpita dalla crisi finanziaria, mentre gli altri stati limitrofi non hanno patito troppo perché le loro economie non sono ancora sufficientemente sviluppate. Il Kazakistan è fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e dagli investimenti stranieri: con lo scoppio della crisi il flusso di denaro occidentale si è interrotto, il prezzo del petrolio è crollato e le banche, che ottenevano numerosi prestiti dall’Occidente, si sono svuotate.   Di fronte a questa situazione, il presidente Nursultan Nazarbayev ha prima iniettato 20 miliardi di dollari nell’economia per evitare il tracollo e ha poi deciso di nazionalizzare le banche – alcune straniere – per avere il totale controllo sul denaro del paese, bloccando così il processo di occidentalizzazione del paese.   I negoziati fra Stati Uniti e Russia   Nel 2008 gli Stati Uniti hanno iniziato i negoziati con alcuni paesi dell’Asia centrale per la creazione di una nuova via di rifornimento per le truppe presenti in Afghanistan, dato che il corridoio pakistano stava diventando sempre più insicuro. Prima Washington ha cercato di stringere accordi bilaterali con i singoli paesi, ma il Cremlino ha fatto sapere agli Stati Uniti che senza il suo consenso ogni patto sarebbe stato privo di significato. La Russia ha recentemente spinto il Kirghizistan a chiudere la base di Manas, l’unica base americana operativa della regione, dimostrando di avere ancora molto potere nella regione.   Mosca ha avviato dei colloqui con i singoli paesi dell’Asia centrale per discutere di questa delicata questione, dedicando particolare attenzione all’Uzbekistan. È molto probabile che Tashkent svolga un ruolo importante in questa fase, in quanto è uno dei pochi stati della regione in grado di agire in modo relativamente indipendente. Infatti non confina con nessuna delle grandi potenze della regione (Cina, Russia e Iran), non ospita al suo interno minoranze etniche capaci di minare la stabilità dello stato ed è autosufficiente dal punto di vista alimentare ed energetico. Recentemente il Kirghizistan e il Tagikistan si sono rivolti a Tashkent per chiedere aiuto economico ed energetico.   L’incognita del Turkmenistan   Storicamente il Turkmenistan è stato più legato al Kazakistan e continua a temere che l’Uzbekistan un giorno o l’altro invada il suo territorio, dato che ospita una grande minoranza uzbeka al suo interno. A febbraio i leader turkmeni e uzbeki si sono però incontrati ed è stato siglato un patto di non aggressione, per scongiurare ogni preoccupazione. Il Turkmenistan è un paese piuttosto chiuso e recentemente ha siglato numerosi patti con Mosca per garantirsi la sopravvivenza e proteggersi da eventuali ingerenze dall’esterno.   Prospettive future   L’Uzbekistan sta approfittando della crisi che ha colpito il Kazakistan per ritagliarsi un ruolo regionale di prim’ordine. Ma quando la situazione migliorerà, Astana con ogni probabilità cercherà di riappropriarsi della sua posizione di leader regionale scontrandosi anche con Tashkent se necessario.   È comunque certo che il futuro della regione dipenderà in larga parte dai piani di Mosca, che non ha intenzione di farsi da parte. 

Fonte: Strategic Forecast

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