Il 9 aprile 2009 è esploso un gasdotto che portava il gas dal Turkmenistan alla Russia: Mosca infatti aveva ridotto le importazioni di gas senza avvertire Ashgabat, che ha continuato a pompare il combustibile nelle tubature a pieno regime. L’eccessivo aumento della pressione ha quindi causato la rottura del condotto.
Il governo turkmeno, per esprimere il suo disappunto alla Russia, ha firmato un accordo energetico con una compagnia tedesca, la RWE, in segno di sfida.
Mosca però ha immediatamente reagito minacciando di ritirare le forze di sicurezza dal Turkmenistan. Per non perdere il prezioso alleato Ashgabat - che teme l’ascesa del rivale regionale, l’Uzbekistan - ha tentato prontamente di ricucire i legami offrendo a Mosca la proprietà del gasdotto che collega Turkmenistan e Iran.
Se questa decisione diventasse definitiva, la Russia potrebbe mettere le mani su un secondo gasdotto iraniano - dato che Gazprom controlla già quello che scorre tra Iran e Armenia.
Teheran dipende dalle importazioni di gas turkmeno - circa 8 miliardi di metri cubi all’anno - che viene per la maggior parte destinato ai consumi della popolazione delle montagne settentrionali. In passato Ashgabat ha più volte chiuso i rubinetti a causa di alcune dispute sul prezzo del combustibile, mettendo in seria difficoltà all’Iran.
La scelta del governo turkmeno rischia di danneggiare ulteriormente l’Europa, che da anni cerca di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico per districarsi dalla presa del Cremlino: se
Mosca metterà le mani sul gasdotto Turkmenistan-Iran potrà influenzare le scelte della Repubblica Islamica ed evitare che stringa accordi energetici con gli Occidentali, consolidando ulteriormente la sua posizione.
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