Un tavolo per i tiranni
di Vaclav Havel

21/05/2009

 pubblicato su Herald Tribune il 10 maggio 2009   PRAGA - Provate a immaginare un’elezione in cui i risultati siano già stabiliti e dove un certo numero di candidati sia palesemente incompetente. Qualsiasi esito in questo caso si rivelerebbe una farsa. Ebbene, domani l’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti si presterà ad un’operazione simile nel momento in cui dovrà eleggere i membri che andranno ad occupare i posti vacanti del Consiglio per i Diritti Umani. Vi sono solo 20 paesi che concorrono per l’assegnazione di 18 seggi. I posti sono divisi fra le cinque aree geografiche del mondo e tre su cinque hanno presentato un numero di candidati pari al numero dei seggi disponibili, rendendo di fatto nulla la competizione fra gli elementi migliori di ogni area. I governi sembrano già aver dimenticato l’impegno preso solo tre anni fa, ovvero quello di creare un’organizzazione capace di proteggere davvero le vittime e di individuare le violazioni dei diritti umani ovunque esse accadano. È innanzitutto doveroso rivedere i parametri di accesso. Il precursore dell’attuale Consiglio, la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, venne sciolta nel 2006 perché per troppo tempo aveva permesso ad assidui violatori dei diritti umani come lo Zimbabwe o il Sudan di bloccare azioni contro i loro stessi abusi. Il Consiglio per i Diritti Umani doveva essere diverso. Per la prima volta i paesi decisero di vincolare l’ingresso nel consiglio alle reali condizioni dei diritti umani all’interno dei singoli paesi. Gli stati incapaci di soddisfare i requisiti basilari - ovvero secondo le parole della risoluzione incapaci di “garantire i massimi standard nella promozione e protezione dei diritti umani” -sarebbero stati sottoposti a nuovi controlli e avrebbero anche potuto perdere il posto. Per le vittime delle violazioni dei diritti umani del mondo la nascita di un entità simile poteva sinceramente rappresentare una speranza. Ora pare invece che questo principio sia venuto meno. I governi hanno ricominciato con la pratica del voto di scambio per l’accesso ai vari organi delle Nazioni Unite anteponendo considerazioni di carattere politico alla questione dei diritti umani. La totale assenza di competizione indica chiaramente che i diversi stati non nutrono alcun interesse verso i diritti umani. L’America Latina, una regione ricca di fiorenti democrazie, ha nuovamente permesso a Cuba di presenziare all’interno del Consiglio. I paesi asiatici hanno appoggiato la candidatura dei cinque paesi della loro regione – fra cui Cina e Arabia Saudita – per i cinque seggi disponibili. I passato i paesi occidentali hanno incoraggiato gli stati più ligi delle diverse aree del mondo a partecipare attivamente alle elezioni, ma quest’anno hanno cambiato rotta presentando una lista assolutamente non competitiva per le elezioni del Consiglio. La Nuova Zelanda si è ritirata quando gli Stati Uniti hanno dichiarato di volersi candidare, lasciando così a tre paesi – Belgio, Norvegia e Stati Uniti – la possibilità di correre per tre seggi. E anche dove la competizione esiste, è pur sempre minima. Nell’Europa dell’Est, che in base alle regole delle Nazioni Unite comprende tutti i paesi al di là dell’ex Cortina di Ferro - incluso il mio, la Repubblica Ceca - i paesi in corsa per la rielezione sono la Russia e l’Azerbaigian, i cui dati in materia di diritti umani rivelano una situazione piuttosto inquietante. Solo l’Ungheria ha deciso di fare un passo avanti e di partecipare alle elezioni. La riluttanza dei paesi dell’Europa Orientale a rivendicare i loro diritti di fronte a violatori cronici dei diritti umani non ispira fiducia. Io, proprio come i cittadini di Azerbaigian, Russia, Cina e Cuba, so che cosa significa vivere in un paese dove lo stato reprime la libertà di parola ed imbavaglia l’opposizione. Quindi è doppiamente frustrante per me vedere le democrazie dell’America Latina e dell’Asia far finta di niente e osservare con indifferenza il consiglio mentre perde di credibilità e rispetto. Gli attivisti e i giornalisti dell’Azerbaigian e di Cuba hanno già lanciato un appello alla comunità internazionale affinché le loro nazioni non vengano elette nel Consiglio per i Diritti Umani. Gli stati che davvero credono nei diritti umani non possono rimanere indifferenti ed hanno il dovere di esprimere la loro solidarietà alle vittime degli abusi rifiutandosi di votare quei paesi che si macchiano di tremende violazioni durante queste vergognose elezioni.    Tradotto e curato da Davide Meinero  

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