Stiamo vivendo una nuova fase del processo di globalizzazione che, secondo la maggioranza degli studiosi, è iniziato attorno al 1820 e ha già attraversato con successo due fasi.
La fase attuale è iniziata negli anni ’80 del Novecento e si è rapidamente accentuata per effetto dell’innovazione tecnologica che ha permesso comunicazioni istantanee in tutto il mondo (internet, telefonia cellulare), accompagnata dal crollo del sistema produttivo e sociale comunista e dell’Unione Sovietica che ne era il campione. Negli stessi anni iniziò anche la demolizione parziale delle strutture politiche, giuridiche e commerciali messe in piedi dall’Occidente per far funzionare egregiamente il sistema di produzione, la politica e la solidarietà sociale nelle società industrializzate. Il problema è che le strutture e le organizzazioni parzialmente smantellate non sono state sostituite o integrate da istituzioni e organizzazioni efficienti, e il processo di globalizzazione è ‘scappato di mano’. Da un lato gli effetti positivi dell’attuale fase di globalizzazione sono rappresentati dall’uscita dalla povertà e dal sottosviluppo di almeno un miliardo di persone in Cina, India e altri paesi asiatici e dal riequilibrio degli scompensi fra paesi ex comunisti e paesi a economia di mercato in Europa. Dall’altra, gli effetti negativi sono costituiti dall’inefficienza dei sistemi statali nel proteggere i diritti acquisiti e la sicurezza dei cittadini, dal penoso impoverimento di alcune società sviluppate (inclusa quella italiana), dal crollo degli stati in Medio Oriente, dalla feroce rivolta islamista, dall’emigrazione incontrollabile dai paesi africani, dall’ingovernabilità del sistema finanziario, causa prima della grande crisi internazionale degli anni 2008-2012.
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