di Zvi Mazel - ex Ambasciatore d’Israele in Egitto
Questo articolo è apparso in francese sul sito di Informazione Corretta il 16 maggio 2009
Il mese scorso Israele e l’Egitto hanno celebrato il trentesimo anniversario della pace. Da quel momento i due paesi sono sempre stati piuttosto vicini. La Bibbia racconta che le relazioni fra i nostri due popoli sono iniziate circa 4000 anni fa, quando Abramo fu spinto in Egitto dalla siccità e dalla carestia che aveva colpito il paese di Canaan.
Nel Medio Oriente antico era normale andare in Egitto in cerca di cibo, specialmente quando la siccità distruggeva l’agricoltura e causava gravi carestie. In Egitto infatti il Nilo continuava a scorrere e c’era sempre qualche cosa da mangiare. Dopo Abramo ci andarono Giuseppe e suo fratello Giacobbe, quindi Mosè, cui deve la sua nascita il popolo ebraico – in seguito alla schiavitù e all’esodo dall’Egitto, che noi celebriamo ogni anno a Pasqua da tempi ormai immemorabili.
Per 4000 anni c’è sempre stata un presenza ebraica in Egitto e la Ginza del Cairo ne è una testimonianza di rilevanza magistrale. Si è dovuti arrivare ai tempi di Nasser per assistere alla cacciata di questa comunità, costretta ad abbandonare l’Egitto senza documenti né beni, eccetto un lasciapassare su cui era stata apposta la scritta « senza ritorno ». Al momento in Egitto ci sono meno di 100 ebrei. È la fine di una grande storia.
In ogni caso oggi la pace fra Israele e l’Egitto è l’unica realtà politico-militare stabile del Medio Oriente - regione cronicamente instabile che soffre per diverse cause, dal sottosviluppo economico e sociale al terrorismo, al radicalismo islamico.
Questa pace ha contribuito a prevenire una catastrofe in Medio Oriente: malgrado tutti i suoi limiti, è durata più di trent’anni ed è sopravvissuta alle intemperie. Ha attraversato numerose crisi regionali e ha dimostrato che la pace fra Israele e i paesi arabi è possibile. Mubarak l’ha nuovamente ripetuto dopo il recente incontro con Netanyahu.
Sembra ormai appurato che senza la pace con l’Egitto non si sarebbe potuta avere la conferenza di Madrid del 1991, né gli accordi di Oslo del 1993 né tantomeno la pace con la Giordania del 1995. Una pace totale del Medio Oriente non è ancora stata realizzata e bisogna quindi lavorarci ancora.
È innanzitutto necessario trovare un compromesso fra gli Israeliani e i Palestinesi. Ma la più grande minaccia per il Medio Oriente proviene da quelle forze radicali che cercano in ogni modo di destabilizzare la regione. Mi riferisco soprattutto all’Iran e ai suoi fedeli alleati, Hezbollah ed Hamas, che vogliono la distruzione di Israele e fanno di tutto per impedire un accordo fra Israele e i Palestinesi, prolungando così la loro sofferenza.
Vorrei ora parlare di quegli aspetti che sono alla base della pace fra Israele e l’Egitto e dell’evoluzione delle relazioni fra i due paesi durante questi ultimi trent’anni.
Noi dobbiamo essere decisamente riconoscenti al presidente Sadat che ha avuto la chiaroveggenza e il coraggio di cambiare la politica del suo paese e di promuovere la pace. Sadat è andato controcorrente. L’intero mondo arabo era mobilitato contro Israele, le guerre erano continue e impedivano ogni progresso nella regione. Sadat capì che i soldati egiziani andavano a morire per niente, che la guerra non portava ad alcun risultato e che quindi bisognava uscire dal circolo vizioso.
Inoltre l’Unione Sovietica - il principale fornitore di armi dell’Egitto - aveva spinto gli Egiziani a combattere contro Israele per il proprio tornaconto e continuò a trattare il paese come una colonia occupata, senza badare minimamente al suo sviluppo economico. Sadat prese quindi questa decisione coraggiosa per cambiare lo schieramento internazionale del proprio paese. Egli cacciò i consiglieri sovietici, si rivolse agli Stati Uniti e si preparò a siglare la pace con Israele. Si trattò di una scelta ragionata e solida. I successi iniziali dell’esercito egiziano nell’ottobre del 1973 – quando riuscì a cogliere di sorpresa le truppe israeliane - avevano restituito l’onore agli Egiziani, ancora provati dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967, e permisero a Sadat di avviare negoziati con Israele a testa alta. Egli si recò a Gerusalemme il 19 novembre 1977 per realizzare il suo progetto. Sadat volò direttamente a Gerusalemme perché voleva causare uno shock – positivo – fra gli Israeliani e convincerli che davvero voleva la pace.
Allo stesso tempo non si dimenticò dei Palestinesi. Al momento del suo discorso di fronte alla Knesset affermò chiaramente che non ci sarebbe stata una pace con i Palestinesi se prima non avessero avuto un loro stato. Negli incontri seguenti e soprattutto durante i negoziati di Camp David il problema palestinese fu al centro delle trattative. Così si arrivò ai famosi accordi di Camp David. Questi accordi furono firmati il 17 settembre 1978 dal primo ministro israeliano Menachem Begin e dal presidente egiziano Anwar Sadat, di fronte al presidente Carter. Gli accordi consistevano di due documenti: il primo conteneva i principi di pace fra Israele e l’Egitto e l’altro invece poneva le basi per un’autonomia palestinese sulla riva sinistra del Giordano e nella Striscia di Gaza. La pace era ancora lontana, ma in questo modo si ponevano basi solide su cui lavorare.
I paesi arabi e l’OLP, che rappresentava i Palestinesi, si opposero a questi accordi e minacciarono di boicottare l’Egitto nel caso in cui Sadat fosse avesse firmato la pace con Israele. Sadat però non si prese di coraggio e sotto l’egida degli Americani continuò a negoziare fino a quando il 26 marzo 1979 venne firmato alla Casa Bianca l’accordo di pace fra Israele e l’Egitto.
Fu un avvenimento di dimensioni storiche – la pace fra Israele e il paese più importante e potente del mondo arabo. In Israele questo avvenimento venne vissuto con grande emozione, e si sperava che questa pace avrebbe funzionato da ponte verso il resto del mondo arabo. Si pensava che tutto il Medio Oriente si sarebbe accodato dopo aver assorbito e compreso le dimensioni di tale avvenimento storico. Ma l’odio e il fanatismo ebbero la meglio.
I paesi arabi decisero di intervenire: l’Egitto venne espulso dalla Lega Araba, che trasferì la sede dal Cairo a Tunisi. Anche l’Unione Sovietica non gradì l’accordo, perché così perdeva di influenza nella regione. America, Israele ed Egitto volevano creare una forza di pace internazionale per controllare e garantire la smilitarizzazione della penisola del Sinai, ma Mosca minacciò di porre il veto al Consiglio di Sicurezza. La smilitarizzazione era di vitale importanza per il successo dell’accordo. Gli Stati Uniti allora decisero di inviare una forza multinazionale composta per il 90% da soldati americani, cui si unirono altri dieci paesi – europei ed asiatici –e sono felice di poter sottolineare che fra questi vi era l’Italia, che al giorno d’oggi continua a svolgere un ruolo fondamentale. Questa forza ha funzionato bene e tutt’ora l’Egitto e Israele applicano alla lettera le clausole contenute nell’accordo.
L’accordo di pace entrò in vigore il 25 aprile 1982, dopo che Israele ebbe ritirato le truppe dalla penisola del Sinai - che era tornata sotto la sovranità egiziana. Quel giorno mi trovavo in Egitto e ricordo ancora la gioia degli Egiziani: il Sinai ritornava all’Egitto e per l’occasione fu anche composta una canzone. All’orizzonte non c’erano più guerre, ma al contrario la pace e la prospettiva di un rapido sviluppo economico. Questa era l’epoca in cui gli autisti dei taxi, quando avevano passeggeri israeliani, dicevano « viva Sadat, viva Begin » e fermavano l’auto per invitarli a bere una coca o un caffè.
Così si giunse alla pace e questi furono i ragionamenti di Sadat. Gli Egiziani rimasero comunque ottimisti per l’avvenire, anche se la pace non era ben vista nel resto del mondo arabo. La popolazione egiziana aveva perso fiducia nei leader arabi e si era allontanata dai Palestinesi, non aveva più intenzione di morire per gli slogan dei dittatori arabi e per le decisioni di Yasser Arafat, che non avevano portato a nulla.
I negoziati per l’autonomia palestinese iniziarono immediatamente. L’autonomia avrebbe permesso ai Palestinesi di creare le proprie istituzioni nazionali e di prepararsi all’indipendenza già 15 anni prima degli accordi di Oslo. Sfortunatamente l’OLP boicottò i negoziati, che furono abbandonati un anno dopo. Quel giorno i Palestinesi persero un’opportunità importante.
Ma l’assassinio di Sadat nell’ottobre del 1981 complicò la situazione. La popolazione egiziana nel complesso aveva accolto la pace con la speranza che questa avrebbe portato a un mondo migliore, ma le èlite intellettuali formatesi nel panarabismo di Nasser avevano continuato ad opporvisi. Queste continuavano a sognare una grande nazione araba unita priva di non-arabi – e anche di Israele – anche se il panarabismo era ormai morto e ognuno dei 22 stati arabi aveva i propri interessi da realizzare. L’opposizione alla pace si fece strada anche all’interno dei circoli islamici, soprattutto all’interno del movimento estremista dei Fratelli Musulmani - la cui ideologia è intrisa di antisemitismo.
Quando Mubarak prese il potere, non volle affrontare questi elementi e decise invece di puntare a far sì che l’Egitto mantenesse un ruolo centrale all’interno del mondo arabo.
Per questo pensò che fosse necessario limitare le relazioni con Israele e renderle ‘discrete’ – perciò di parla di pace fredda. Da questo punto di vista gli sforzi di Mubarak furono coronati da numerosi successi: nel 1989 l’Egitto venne riammesso nella Lega Araba e la sede venne nuovamente trasferita al Cairo.
Mubarak non ha fatto nessuno sforzo per moderare gli attacchi anti-israeliani ed antisemiti dei media egiziani, che hanno contribuito a creare una barriera psicologica e ad impedire il riavvicinamento fra i due popoli. Purtroppo questo incitamento all’odio continua tuttora.
A causa di queste scelte le relazioni fra i due paesi sono rimaste piuttosto limitate, e i contatti avvengono quasi esclusivamente a livello governativo. Da una parte l’Egitto vende a Israele petrolio e gas naturale - e questi sono contratti importanti – ma d’altra parte le autorità egiziane effettuano un rigido controllo sui viaggi in Israele degli Egiziani. Il turismo egiziano in Israele è del tutto inesistente mentre gli Israeliani, che non devono sottostare ad alcuna restrizione, amano recarsi in Egitto e soprattutto nel Sinai. Inoltre le associazioni professionali delle elite egiziane – avvocati, medici, artisti - che normalmente sono guidate da fermi oppositori della pace, vecchi nasseriani o Fratelli Musulmani, hanno obbligato i loro affiliati a boicottare Israele e ad evitare ogni contatto fra i due paesi, il che ha ridotto ulteriormente la cooperazione fra Egitto e Israele.
Nel periodo fra il 1979 e il 1982, cioè negli anni immediatamente successivi alla firma del trattato di pace, Israele e l’Egitto hanno firmato altri 20 accordi di normalizzazione delle relazioni in diversi ambiti - commercio, trasporto aereo e terrestre, cultura, agricoltura, etc. - come accade normalmente fra i paesi in pace.
Israele sperava che la comprensione reciproca dei due popoli migliorasse grazie ai maggiori contatti. Ma i risultati sono stati piuttosto scarsi. La maggior parte degli accordi non sono mai stati applicati. Esiste però un ambito dove i risultati sono stati invece eccellenti: quello agricolo.
Nel 1981 Sadat domandò ad Ariel Sharon, allora ministro dell’agricoltura, di aiutarlo a migliorare il rendimento dell’agricoltura, perché l’Egitto non aveva autosufficienza alimentare. Israele inviò in Egitto diversi esperti e mise a disposizione le proprie conoscenze, esportando la tecnologia per l’irrigazione goccia a goccia e applicando tecniche di coltivazione più avanzate.
Si iniziò così a sfruttare il deserto, cercando di ottenere il massimo rendimento con la minor quantità d’acqua possibile. Bisognava uscire dalle terre della regione del delta, eccessivamente popolate, ed estendersi nelle lande desertiche. Israele passò all’Egitto anche diverse varietà di legumi e di frutta appositamente selezionate dagli specialisti per vivere nel deserto, e rinomate in tutto il mondo. Nel giro di pochi anni l’Egitto divenne autosufficiente e ora esporta persino una parte della sua produzione verso l’Europa.
Sfortunatamente queste sono cose che la maggior parte degli Egiziani ignora o non dice, e l’opposizione addirittura accusa Israele di aver avvelenato la terra. La verità e stata deformata e il fanatismo ha preso il sopravvento. Israele aveva anche proposto una collaborazione in altri ambiti – turistico, industriale e dell’alta tecnologia. Ma il governo ha preferito attenersi alla politica della cooperazione minima ed ha ridotto ulteriormente i rapporti economici. Non vi sono assolutamente contatti in ambito culturale, scientifico o sportivo. La propaganda contro la stabilizzazione delle relazioni è ormai incalzante e la situazione sta peggiorando.
La storia dell’accordo sulle ZIQ (Zone Industriali Qualificate) illustra perfettamente i vantaggi di una cooperazione fra due paesi vicini che vivono in pace. Si tratta di zone industriali speciali. L’Egitto non ha ancora raggiunto un livello economico tale da permettergli di siglare accordi di libero scambio con gli Stati Uniti, ma questo ostacolo può essere aggirato grazie alla collaborazione con Israele. L’accordo firmato nel 2004 fra Israele ed Egitto - con il consenso degli Stati Uniti - permette agli Egiziani di esportare i propri prodotti industriali agli Stati Uniti senza che vengano applicati diritti doganali, passando attraverso il corridoio commerciale israelo-americano, a condizione che il 12% del valore dei prodotti finiti sia di provenienza israeliana, e che la produzione egiziana sia concentrata in alcune zone industriali speciali (ZIQ) autorizzate dagli Stati Uniti.
Questo accordo ha salvato l’industria tessile egiziana, che si trovava sull’orlo del collasso in seguito all’introduzione delle nuove regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Allo stesso tempo ha permesso all’Egitto di aumentare le esportazioni di prodotti tessili verso l’America aumentando notevolmente gli introiti - che sono passati da 200 a 800 milioni di dollari. Anche la Giordania ha firmato un accordo simile ed ha aumentato le proprie esportazioni verso gli Stati Uniti per un valore di due miliardi di dollari.
Va sottolineato poi che le compagnie aeree di Israele ed Egitto garantiscono 6 voli alla settimana fra il Cairo e Tel Aviv ed è sempre difficile trovare posto. È infatti probabile che il volume di affari fra i due paesi continui comunque a crescere nonostante le restrizioni egiziane.
Anche se la cooperazione bilaterale fra Egitto e Israele è decisamente più limitata di quanto potrebbe essere, i due paesi sono perfettamente consapevoli del fatto che condividono interessi comuni per quanto riguarda la sicurezza nazionale - e questo richiede senza dubbio maggiore dialogo e collaborazione.
Vi sono due problemi fondamentali da affrontare: il problema dei Palestinesi e la guerra contro il terrorismo e il rischio di insurrezioni. Per quanto riguarda il conflitto, è vero che l’Egitto sostiene la posizione palestinese, ma non ha nessuna intenzione di rinunciare alla stabilità regionale. Ed è per questo motivo che il Cairo cerca di favorire una riconciliazione fra l’Autorità Palestinese ed Hamas e vuole ottenere la liberazione del soldato Gilad Shalit.
L’Egitto è pronto ad accettare una qualsiasi soluzione al conflitto israelo-palestinese, ma sa che fino a quando le divisioni fra i Palestinesi persisteranno un accordo sarà impossibile - dato che al momento esistono due entità politiche distinte che litigano e che hanno un’opinione completamente diversa su Israele. Tutti sanno che Hamas rifiuta di accettare l’esistenza dello stato di Israele. In ogni caso l’Egitto continuerà a svolgere un ruolo importante nei negoziati fra Israeliani e Palestinesi, perché non ha intenzione di lasciarsi trascinare in un nuovo conflitto con il vicino.
Gli estremisti del mondo arabo hanno incitato più volte il Cairo a rompere gli accordi di pace – specialmente durante la guerra contro il Libano e più recentemente durante la guerra a Gaza. Nasrallah – capo di Hezbollah – ha addirittura invitato i soldati egiziani a ribellarsi ai propri comandanti. Mubarak ha risposto che il suo paese conosce bene le ingiurie della guerra e per questo non ha nessuna intenzione di impegnarsi in un nuovo conflitto. Coloro che vogliono fare la guerra a Israele, che la facciano, ma non coinvolgano l’Egitto. Mubarak è rimasto fedele all’appello di Sadat: « Niente più guerra, niente più spargimenti di sangue ! ». Bisogna inoltre aggiungere che non vi è alcun contenzioso territoriale fra i due paesi.
L’occupazione illegale della striscia di Gaza da parte di Hamas costituisce una seria minaccia per l’Egitto. Hamas è la branca palestinese dei Fratelli Musulmani, un movimento islamico estremista bandito in Egitto ma ancora attivo e diffuso al giorno d’oggi. Hamas rifiuta di riconoscere Israele a lancia appelli per la sua distruzione. L’Iran lo sostiene e gli invia delle armi che passano illegalmente attraverso i tunnel sotterranei che collegano Gaza al Sinai. L’Egitto s’è impegnato a bloccare questo micidiale contrabbando, ma non ci riesce, perché il blocco attira l’ira della popolazione locale che si arricchisce grazie alle attività illecite. L’Egitto non vuole intervenire militarmente contro i Palestinesi di Gaza e spera ancora di risolvere la questione promuovendo la riconciliazione fra Hamas e l’Autorità Palestinese. Ma questa soluzione sembra alquanto improbabile al momento. Sfortunatamente non si può invece escludere un nuovo conflitto fra Gaza e Israele, specialmente se Hamas continuerà a lanciare razzi. Quindi ci troviamo di fronte ad una situazione potenzialmente esplosiva.
La minaccia più grave per l’Egitto e per Israele – e di fatto per tutto il Medio Oriente - proviene dall’Islam radicale, ovvero dal terrorismo di al Qaeda e dalla politica destabilizzante promossa dall’Iran con l’aiuto della Siria, di Hezbollah e di Hamas.
L’Egitto e l’Arabia Saudita si sono posti alla guida dei paesi arabi pragmatici che lottano contro l’Iran e i suoi agenti. Durante l’ultimo summit che ha avuto luogo in Qatar alla fine di Marzo – cui Mubarak ha preferito non partecipare – i rappresentanti egiziani hanno attaccato l’Iran accusando i suoi leader di gravi interferenze negli affari interni dei paesi che si oppongono all’espansionismo iraniano. La recente scoperta di una cellula di Hezbollah che operava in Egitto dimostra che l’ideologia iraniana non si limita semplicemente alla propaganda. L’eventualità di un Iran nuclearizzato rappresenta una seria minaccia, dato che vi sono ormai prove concrete della sua corsa agli armamenti. Vista la debolezza della maggior parte dei regimi mediorientali il problema appare ancora più grave.
Di fronte a queste minacce Israele e l’Egitto si trovano dalla stessa parte: entrambi devono cercare di contenere l’Iran e lottare contro gli estremisti, e questo non può che favorire il dialogo.
Per quanto concerne l’avvenire, siamo consapevoli del fatto che l’era Mubarak si avvia verso la fine. Il regime si prepara ad un cambio generazionale e l’Egitto dovrà affrontare un periodo delicato. Molti si chiedono se la pace con Israele continuerà a reggere anche dopo i cambiamenti politici. Da una parte la pace « fredda » e gli incessanti attacchi mediatici contro Israele non ci rallegrano. Dall’altra non bisogna dimenticare che questa pace ha tenuto per oltre trent’anni ed è sopravvissuta a gravi momenti di crisi, proprio perché poggia su basi solide. I due paesi sanno di condividere numerosi interessi e che il Medio Oriente potrebbe finire nel caos se questa pace venisse meno. D’altronde noi viviamo in una regione dove l’imprevisto è all’ordine del giorno. Comunque penso che sia lecito anche po’ di ottimismo, dato che in fin dei conti siamo pur sempre dei vicini di lunga data.
Tradotto e curato da Davide Meinero
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