Cronista asiatico rischia la morte per aver difeso Israele

22/07/2009

da 'il Foglio',  21 agosto 2009
 
Roma. Sedizione, tradimento e offesa alla religione (leggi l’islam). Sono questi i tre capi d’accusa che potrebbero portare alla condanna a morte di Salah Uddin Shoaib Choudhury, uno dei più coraggiosi giornalisti asiatici, detenuto e perseguitato in Bangladesh per aver invocato una normalizzazione dei rapporti fra Israele e il suo paese, noto per essere “islamico moderato”. Direttore del settimanale Blitz, Choudhury ieri è tornato in aula per rispondere alle accuse rivolte dai giudici e da un’opinione pubblica sempre più islamista che non vede l’ora di vederlo messo a tacere, per sempre. Le hanno provate tutte, il 6 luglio 2006 gli hanno anche bombardato gli uffici del giornale. Tre mesi dopo stavano per linciarlo in un pogrom, al grido di “spia d’Israele”, pogrom guidato da due noti esponenti politici. Una risoluzione del Congresso americano ne chiede la protezione e la libertà. Il Bangladesh non ha rapporti diplomati ci con Israele e questa circostanza è già bastata al regime per incarcerare Choudhury per ben diciassette mesi. Il 29 novembre 2003, mentre Choudhury si accingeva a partire per Israele al fine di partecipare a un convegno di studi, è stato bloccato all’aeroporto dalla polizia e tenuto in carcere in base all’accusa di “spionaggio”. Choudhury è diventato uno dei più importanti refusnik del nostro tempo, tanto più importante perché non è un dissidente in un regime totalitario islamista, ma un intellettuale perseguitato in un paese che dovrebbe essere retto da un “governo musulmano moderato”. I suoi crimini? Difesa delle relazioni tra Bangladesh e Israele, promozione del rispetto e della tolleranza interreligiosa e denuncia del radicalismo islamico. Per queste “trasgressioni”, Choudhury potrebbe ora essere condannato a morte. Finora è stato imprigionato, posto in isolamento e torturato, mentre gli uffici del suo giornale sono stati fatti esplodere due volte. Nel maggio del 2006, l’American Jewish Committee invitò Choudhury a Washington per ricevere il nostro premio al Coraggio morale. Lo stesso premio è andato a due altri musulmani pro Israele, la scrittrice apostata Ayaan Hirsi Ali e il parlamentare iracheno Mithal al Alusi, che fece appello per stabilire relazioni con Israele, e che per quel “crimine” subì l’assassinio dei suoi due figli. “Dovremmo semplicemente ritirarci o arrenderci?”, ha chiesto Choudhury. “Noi dobbiamo lottare. Noi dobbiamo vincere la battaglia nel Bangladesh stesso. Non mi piacciono quelle persone che parlano del laicismo e criticano i radicali, ma poi, alla prima opportunità, vanno a cercare asilo politico nei paesi occidentali, conducono una vita tranquilla e tengono delle grandi conferenze. Il problema è nel mio paese, ed io devo restare e combattere la battaglia. E noi dobbiamo vincere questa battaglia. Io sto aspettando ansiosamente un mondo in cui noi tutti eleviamo insieme la nostra voce e diciamo di no al jihad, no alla negazione dell’Olocausto, e no alla cultura dell’odio”. Choudhury sarebbe stato il primo giornalista del Bangladesh a parlare pubblicamente nello stato ebraico, ma il suo caso è passato del tutto inosservato sulla stampa italiana. Avvocati di Washington di Freedom Now, insieme con Reporters Sans Frontières e l’ex ministro canadese Irwin Cotler, si stanno battendo per la sua libertà. A suo fratello Sohail il governo ha chiuso l’attività commerciale, alla famiglia sono state interdette le chiamate internazionali e la polizia si è rifiutata di accogliere le loro denunce per le aggressioni subite a Dhaka. In un tazebao fatto uscire di nascosto dalla prigione quando il governo bengalese lo teneva in carcere, Choudhury scrisse di sentirsi completamente privo di garanzie.

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